Pier Mario Fasanotti
A proposito de "La ragazza di Lesbo"

Il segreto di Saffo

L'amore, il dolore, il piacere, la libertà: sono i temi che hanno fatto grandi il mito di Saffo. Lo racconta Silvia Romani in un bel saggio. Con l'Iliade e la guerra di Troia sullo sfondo, come se due concezioni della vita si contrapponessero

L’assalto degli achei alla città di Troia ha avuto una testimone d’eccezione: Saffo, che molti indicano come una delle più grandi poetesse del mondo. I greci, dopo il rapimento della bionda Elena da parte di Paride il troiano, calarono in mare migliaia di navi armate di tutto punto (per l’esattezza 1186, compreso il contingente di Achille). Volevano vendicarsi di un tradimento. Dopo anni e anni di guerra dopo assedi e duelli, distrussero una delle più importanti città dell’Asia Minore. Come sappiamo da un altro gigante della poesia, Omero (nell’Iliade).

Ma gli achei una volta sbagliarono (non di molto, tuttavia) rotta. Ed ecco che Saffo, che abitava a Lesbo così come un altro gigante della lirica mondiale, Alceo, riuscì a vedere l’approdo di quella enorme macchina da guerra in terra turca, distante da Lesbo pochi chilometri. Saffo ci ha lasciato decine di frammenti lirici. La vita e la morte (tragica) di questa giovane con i capelli neri ci viene magistralmente raccontata da Silvia Romani, docente universitaria a Milano, in Saffo, la ragazza di Lesbo (Einaudi, 195 pagine, 18,50 Euro). Data la vicinanza geografica, la poetessa riusciva a percepire il clangore delle spade.

Viene alla mente quanto scritto su di lei da una grande scrittrice, Marguerite Yourcenar, la stessa autrice di Le memorie di Adriano. La narratrice belga definisce Saffo “una funambola”, nella finzione di un racconto intitolato Saffo o Del suicidio. La Yourcenar racconta che la poetessa col carattere da acrobata della vita, si innamorò di Attide, si spingeva spesso sulle rive del Bosforo, a bordo di una piccola barca. E lì rimaneva per giorni interi e frequentava le osterie del tempo. Saffo, come abbiamo accennato, volò drammaticamente verso la morte lanciandosi, ormai anziana e terrificata dalla propria vecchiaia, da una rupe.

Non solo letterati e filologi si arrovellarono sulla vita e sul destino di Saffo. Nel 1843 Honoré Daumier la ritrae in una feroce litografia: Saffo, vecchissima e sgraziata, viene spinta verso l’abisso (forse il mare) da un amorino “senza reticenza o rimpianto”. Scrive la Romani: “Solo per questo Saffo detesta la sua mortalità: non certo perché ha paura degli spazi bianchi della morte, dove sa già che sarà ammirata persino di fronte a un pubblico di spettri. Odia il trapasso perché questo porta con sé la fine della bellezza. E forse non è neppure la perdita della bellezza n sé a sconvolgerla tanto, ma la sicurezza di smarrire con la luminosità rugiadosa anche l’amore”. Questo sentimento era vissuto intensamente, forse anche morbosamente. Saffo lo paragonava a “un corpo morbido, apalòs: la pelle dell’eterno bambino, la dolcezza del principio del giorno”. La Yourcenar di lei scrive una sorta di epitaffio: “Era artigliata alla sua morte come a un promontorio… voler morire, tuttavia, non basta: c’è un che di patetico e buffo in questa silhoulette di danzatrice dell’aria… agli inservienti non resta che trascinarla nell’ombra, il corpo pallido che stilla sudore come d’acqua di mare un’annegata”.

A quando datare l’Iliade? “Come noi la conosciamo”, scrive la Romani “non può essere più antica del VIII secolo a.C, così al massimo un secolo separa la nascita di Saffo (circa nel 636 a.C) dai giorni in cui, per la prima volta, la spedizione troiana ha avuto il suo racconto compiuto”. Pare che la città a lei più vicina fosse Militene. “Alla prima spedizione Saffo non fa cenno”.

Saffo danzava e insegnava alle sue più strette amiche – con le quali aveva formato una sorta di cenacolo, dove pure si ballava inseguendo la leggerezza fisica e spirituale. Leggiamo il frammento lirico di Saffo (numerato come 16):

“C’è chi dice che un esercito di cavalieri, di fanti,
una parata di navi sia la cosa più bella/ sulla terra nera,
in ciò che si ama.
È facile a capirsi per chiunque:
colei che di molto superava
i mortali tutti in bellezza, Elena
lasciò lo sposo,
il migliore,
e se ne andò per Troia per mare.
Svanì d’incanto la memoria
della figlia e dei cari genitori, ma fu quella a sviarla

E mi prende il ricordo
di Anattonia lontana.
Vorrei rivedere l’amabile passo,
quel lampo vivace sul volto
più che i carri dei Lidi e gli eserciti
di fanti in armi.

Scrive ancora la Romani: “La cosa più bella non sono i carri, le navi, i fanti, ma ciò che si ama… ed Elena non è più la distruttrice di eserciti, ma una viaggiatrice, al pari degli eroi achei che vanno e tornano da Troia: trascinata dal vento irresistibile di Afrodite che la priva della memoria di quel che è stata, del marito, della figlia, dei genitori. Una donna sola sul mare, senza neppure il suo amante Paride a farle compagnia”.

Saffo è tormentata dall’assenza dell’amatissimo fratello Carasso. Nel frammento 10 la poetessa è esplicita, sperando “che alle grandi tempeste segue il sereno: e se gli dei vogliono ci troveremo tutti insieme, senza più pesi nel cuore”. “A Lesbo c’è una perfetta fusione tra mito e rito, fra intimità domestica e respiro pubblico… e questo è da sempre il mistero insondabile della poesia saffica”.

La danzatrice-cantante è capace di chiamare “d’imperio” le divinità al suo fianco… intreccia il lessico dell’amore con le parole dell’epica guerresca. L’isola, così vicina alla Turchia delle armi incrociate, veniva considerata la più musicale di tutto l’Egeo. La leggenda vuole che il canto fosse il perno della vita quotidiana di Lesbo, dove, non a caso viveva Terpandro cui si deve, pare, l’invenzione del ditirambo. Canto, danza, ma anche fiori. In base a una tarda testimonianza, sembra che i fiori coronassero il capo di Saffo. Addirittura solo uno, per vezzo. Scrive la Romani che “la corona di viole e di rose è anche un pegno d’amore: solo chi ricorda ha amato davvero”.

Tutto questo s’incastra nella mitologia greca. Uno degli eroi “imperfetti”, Teseo, ha perso la memoria del suo amore per Arianna (che lo chiamerà “immemore” come reciterà Catullo). Pure la la parabola triste di Orfeo ed Euridice viene cantata come l’esito inevitabile di un’amnesia amorosa. Saffo ama i fiori (lo afferma nel frammento del “congedo”), i quali rappresentano plasticamente un giardino perenne e immaginario, e mai cifra del trapasso.

Il frullio dei passeri ricorda a Saffo i destrieri di Afrodite. La poetessa ne lamenta l’assenza:

Frammento 1:

Vieni qui, come hai fatto altre volte,
udendo le mie invocazioni da lontano,
mi hai prestato ascolto e lasciata a casa
d’oro del padre
sei giunta, aggiogato il carro. Belli ti
portavano i passeri
frullando veloci le ali sulla terra bruna
nel fondo del cielo.

Annotazione curiosa: per Saffo la terra ha sempre un colorito bruno, a volte cupo. A Lesbo c’erano i boschi, ma per lei erano solo o soprattutto materia di sogni. L’amore (per sua natura violento) s’insinua dappertutto e deforma, in un certo senso, anche la fantasia.

Frammento 47:

Eros mi squassa dentro,
come il vento in montagna si abbatte sulle querce.

È lecito porsi una domanda: Saffo e Alceo si amarono? No. Semmai passeggiavano insieme tra le piazze e i vicoli di Militene, discorrendo con grazia e amicizia. Sull’amore, squassante per antonomasia: il Frammento 31, recita così: “Basta un solo sguardo/ e perdo le parole,/ la lingua si spezza, un rivolo/ di fuoco scorre veloce sotto la pelle…”.

E ammette: “Non è facile per noi/ assomigliare alle dee/ nell’aspetto amabile. (Frammento 96).

Saffo e Alceo

Sempre secondo il libro di Silvia Romani, quando se ne va una sua amica, alla volta dell’Asia minore, la donna diventa luna “dalle dita rosa”. Questa splendida definizione verrà usata anche da Alceo. Saffo osservava molto spesso il cielo, pensando alla solitudine delle Pleiadi. Secondo la Romani “a quelle Pleiadi trasportate dalle montagne del cielo, paragonandolo al proprio, o forse, come capita spesso nella poesia greca, l’allusione agli astri vale come indicatore temporale. Le Pleiadi, Venere, Sirio, la luna nei versi degli antichi sorgono e tramontano per dare inizio alla celebrazione del matrimonio che si allungava per tutta la notte alla luce delle fiaccole; oppure segnando segnalano il momento in cui, come nel notturno di Saffo, è ora di andare a dormire dopo la festa, anche se ci si rivolta insonni nel letto e ci sente lontani, nel cuore, dalla gioia della danza e dalla musica”. Questi pensieri rimandano involontariamente a un passo dell’Iliade, in cui durante certe oscurità magiche alcuni famosi eroi di guerra, come Ulisse e Diomede, si preparano s un’imboscata nel campo nemico, proprio quando solo una parte, (una moira in greco), della notte resta. Gli assalitori di Troia si muovono come cani nervosi attorno gli accampamenti.

Il sonno per Saffo è “insieme malattia e cura”. Le sue giornate, a parte lunghe parentesi di solitudine, le passa con le amiche (“hetairai”). Cantano e danzano, e la grande poetessa si cala nel ruolo di maestra di cerimonie. Qualcuno ha ipotizzato che durante quei cenacoli si scambiassero molti bigliettini nei quali si confessava segreti amorosi, dolori, inviti alle feste. C’era un che di segreto. A proposito del quale pare occorra distinguere tra amore e ambiguità sociale. Pare che il termine lesbismo sia nato in realtà in qualche salotto parigino, nell’età dei Lumi. Per la narratrice Anna Maria Ortese si verificavano veri e propri “coming out”. Erano, secondo la stessa fonte, delle “bestiole parlanti”: “Si deve sottolineare il fatto che una donna che scrive sia anche una rivoluzione anatomica”. La Ortese azzarda: Saffo appartiene alla Sicilia, “terra in cui il cristianesimo arriva pigro e lento e non riesce mai a mettere in fuga gli dei pagani”.

Insomma, quel che succedeva e si diceva in quelle riunioni non fa che alimentare “una foresta di interpretazioni che si sono sovrapposte nei millenni: le ragazze di Saffo conoscevano di sicuro i piaceri dell’amore. Annota Silvia Romani che in base a un papiro del III secolo d.C., appaiono cenni all’“olisbo”, un antico dildo, o vibratore, di cui abbiamo ampia rappresentanza nella pittura vascolare greca. Certo, questo particolare non illumina del tutto le pratiche sessuali a cui si dedicavano le ragazze di Lesbo e della loro vera o presunta libertà sessuale. Il presunto “sex toy” poteva, tra ragazze della stessa età essere usato per indurre a una stagione soporosa e magica che prelude a un importante cambiamento.

L’immagine di Saffo che ne verrebbe alla luce può essere interpretata come “una benevola educatrice” che fa da scudo contro “il contagio colloso della presunta omosessualità e, in generale, della perversione sessuale che svolazza da sempre intorno all’ensemble di Saffo come un coro di avvoltoi”. Una filologa tedesca non esclude l’ipotesi che la ragazza di Lesbo abbia avuto una sorta di metamorfosi “capitale”, diventata direttrice di un collegio di fanciulle. Da un’ipotesi all’altra emergerebbe anche la presenza di bambole. “Il termine imeneo è una di quelle parole che sembrano guidarci senza fatica verso la membrana sottile che rappresenta la verginità, tanto sul piano anatomico quanto su quello simbolico”.

Rileggiamo un Frammento lirico della poetessa (numero 111): “In alto l’architrave,/ Imeneo,/ alzate, carpentieri!/ Imeneo/,lo sposo avanza come Ares,/ Imeneo/,molto più grande di un uomo grande,/Imeneo”.

E ancora (Frammento 115): “A chi, sposo caro, ben ti somiglio?/ A un giunco flessuoso più ti somiglio“.

Insomma, ancora una volta si deve far fede alla mitologia omerica quando si accenna alle gare di bellezza (Kallisteia), “in cui le ragazze sfilavano leggere nei loro pepli ondeggianti, mentre le donne riunite attorno alzavano un grido rituale”. La grandezza di Saffo, assieme a tutte le ipotesi mitologiche di quella zona, non consiste solo nella sua superiorità poetica, ma anche nei vari misteri che, sondati tutti, avvolgevano la personalità e il comportamento di una donna eccezionale.

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