Lucia Dell’Aia
“Poesie d’aria” di Gabriella Sica

Dove danzano le ninfe del vento

Suggestioni dell’aura petrarchesca e memoria dantesca, in una raccolta di versi rigorosa e precisa, fatta di sezioni che richiamano il tema dell’aria, nelle sue varie accezioni. Nella convinzione che è proprio l’aria «l’unico resto che rimane al poeta oggi»

Studium fuit alma poesis: così Boccaccio voleva essere ricordato, quando compose un carme latino (X) come epitaffio per il suo sepolcro. Qui confessava di aver avuto come padre Boccaccino, come patria Certaldo e come amore che lo aveva nutrito l’alma poesia, quella che dà vita e che ristora. Per lui che non aveva mai conosciuto la madre, su cui aveva fantasticato per tutta la vita attraverso immagini poetiche, la poesia aveva assolto il compito di nutrice o di Alma Venus. La tradizione dell’alma poesia sembra così giungere alle Poesie d’aria di Gabriella Sica (Interno Libri, 204 pagine, 14 euro), a ricordarci che non c’è vita senza aria, senza respiro e quindi senza poesia, perché, come la stessa poetessa ricorda in un autocommento posto alla fine del volume, «l’aria è l’unico resto che rimane al poeta oggi» (p. 184). 

Il generarsi da sé nella poesia, nell’aria e nelle chiare, fresche e dolci acque dei paesaggi dell’anima, è anche la suggestione del pastello di Monica Ferrando scelto da Sica per la copertina, che raffigura le cascate presso Chia, un luogo pieno di fascino e di suggestione della Tuscia, amata dalla pittrice e dalla poetessa. E non è forse privo di importanza rammentare che tale paesaggio fu scelto da Pier Paolo Pasolini per girarvi, nel film Il Vangelo secondo Matteo, la scena del Battesimo, nella quale le inquadrature e la recitazione si accompagnano al sottofondo musicale dello struggente brano Sometimes I feel like a motherless child cantato da Odetta, proprio a ricordarci che, come Boccaccio, a volte ci sentiamo come figli senza una madre, ma possiamo sempre consacrarci all’alma poesia. 

Rigorosa e precisa, fatta di sezioni che richiamano il tema dell’aria, nelle sue varie accezioni, è la struttura in cui Sica ha organizzato i suoi versi, nei quali alla suggestione dell’aura petrarchesca si aggiunge anche la memoria dantesca, medievale e antica del profumo della pantera che si sparge per l’aria. In uno dei componimenti più belli e più potenti dell’intera raccolta leggiamo infatti che una pantera è stata avvistata nella campagna della Tuscia ed essa «è una creatura braccata, fa sentire il suo profumo / nei dintorni ma non si manifesta in nessun luogo. / […] Sparisce per secoli e riappare come rosa tra i boschi / con la sua elegante potestà e l’altera forza elusiva. / Corre voce che abbia dormito anche cento e più anni, / svegliata dal soffio leggero di un bacio o del vento. / […] Una volatile traccia olfattiva, tuttavia persistente / e fedele, si sente nell’aria soffia soave e violenta» (p. 16). Nell’aura di Sica «dove danzano le ninfe del vento» (p. 27) e dove si respira la luce, si spargono quindi anche le volatili tracce del profumo della pantera, il solo animale fornito dalla natura di un odore gradevole che gli permette di attirare e di catturare le vittime, in un intreccio fra caccia ed erotica che Marcel Detienne ha così efficacemente ricondotto alla ritualità del mito dionisiaco. 

Le poesie di questa raccolta mescolano la metafora dell’aria, del profumo e del soffio con leggiadria armoniosa e non manca nemmeno nei titoli dei componimenti e delle sezioni il riferimento all’aria in senso musicale. Si veda, ad esempio, il titolo della sezione Tre arie, dedicata a tre figure femminili mitiche, quello della sezione Tre sonatine e il sottotitolo della sezione L’alta letiziaFantasia per due voci e pianoforte, in cui le voci sono quelle della poetessa stessa e del figlio Pietro al suo pianoforte, una sezione dialogica che fa tornare suggestivamente alla memoria il Saba delle fughe a due voci. 

In questo cielo arioso non mancano nemmeno le impalpabili nubi, se pensiamo al titolo dell’ultima sezione (Tutto è meravigliosa nuvola) e chi si fa avvolgere dalla nube poetica materna, come il Nembifero primogenito Giorgio (p. 75). Nell’aria favolosa della scrittura di Sica pullula la sua vita di madre nutrice che si manifesta con il suo io lirico, ma anche dietro la figura di Demetra, «d’aspetto umile e umano e mortale» (p. 21). Le sue poesie «affabili parlano con tutti» e hanno le sue «fattezze piane / oneste come il pane» e come lei stessa «non riescono a darsi un certo tono» (p. 145). 

Eppure, questa moglie lirica cui è stato rivolto un addio alle Porte Scee è madre poetica maestosa e deliziosa anche di figlie mai nate e che continuamente rinascono nella sua delicata e mitica poesia: «Quante ne ho amate di care figlie / ci parlo le ascolto giochiamo / una consonante qui e là una vocale / le vesto di sillabe e le pettino piano / in noi scorre un fiume profondo e sonoro / è flusso femminile di antenate / ognuna m’è musa madre e memoria / camminano con scarpette di ninfa / le creature floride e sottili / intorno a me le raduno / le figlie di stare con me felici / mi salvano dal tempo che va via. / Sono le mie care poesie bambine / chissà come senza me cresceranno» (p. 83). Alla figura del poeta, che pure ha perso la sua “aura”, Sica dunque restituisce l’aria, ovvero il respiro, il soffio, un spirto soave pien d’amore che da sempre abbiamo immaginato muoversi dalle labbra di Beatrice.

Nell’immagine vicino al titolo: la Ninfa di Domenico Ghirlandaio, particolare della “Nascita del Battista”, in Santa Maria Novella a Firenze

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