Marco Vitale
“La materia dei giorni” di Marco Corsi

Ai confini del Mondo

Originalità e finezza di scrittura distinguono la nuova raccolta del poeta toscano. Un viaggio tra i ghiacci della Terra del Fuoco e la sensualità del Centro America, al cospetto della potenza della Natura che ci interroga sulla bellezza e sulle offese della Storia

A distanza di quattro anni da quello che per generale riconoscimento era apparso uno degli esordi più interessanti e sicuri della giovane poesia, il toscano ma milanese di adozione Marco Corsi propone una nuova raccolta (La materia dei giorni, Manni, Lecce 2022, 106 pagine, 13 euro), che al pari della precedente si segnala per originalità e finezza di scrittura. Due tonalità, in apparenza distinte, convivono nel nuovo libro; una tonalità schiettamente lirica e accanto ad essa una voce dalla propensione narrativa che ha modo di distendersi in una suggestiva poesia odeporica. Il grande viaggio ai confini del Mondo è un tema importante per Marco Corsi, che ne organizza il riscontro in grandi campiture poematiche: i ghiacci della Terra del Fuoco con la loro fauna enigmatica, i colori violenti e sensuali del Centro America costituiscono altrettanti poli di un Altrove che chiama in causa il Soggetto, ne saggia la capacità di sguardo, la rispondenza con i moti interiori. Si respira un clima di allarme al cospetto di una Natura compresa in tutta la sua altera potenza, fin dal notevole incipit del poemetto “australe”: «un bisogno inesausto di nodi / invade le doline bianche / dove si annida la luce polare / portata per ogni vivente. / in queste zone corticali di ghiaccio / assediate dal niente, si muove / con passo umano / il filo elettrico del pensiero. / i nodi formano pensieri / nell’infinita apertura del bianco / quando lampeggia, quando si ritrae / la scintillante visione del tanto / desiderato farmaco radioattivo / e diventa una macchia bulbosa / che toglie nomi alle cose / e volti amati alle persone». 

Il tono come si può vedere è alto, a tratti visionario e impronta l’intero svolgimento poematico legandosi alle riflessioni che l’autore, nel punto massimo della distanza, viene elaborando durante il suo cammino. Ed è tanto più convincente la sua voce che a tale cammino pare di assistere in presa diretta, condividendo lo stupore, il senso del mistero e fino di smarrimento che quell’inconcepibile estensione di bianco evoca allo sguardo. Tutto all’opposto, ma per analoga energia di scrittura, l’azteca Quetzalcoatl riluce nel suo mondo di ferite e di inculturazioni a simbolo di una incommensurabile tragedia, e la bellezza creaturale la contorna e sommerge ma non la riscatta. Buon lettore di Octavio Paz, esplicitamente citato, Corsi ci porta a riflettere su quanto è stato e drammaticamente avviene e tuttavia egli ci seduce con le epifanie di una terra che sembra respirare in una prima luce del mondo «e mentre intorno granisce l’amaranto / fiorisce l’ibisco, mentre crescono nel buio / le orchidee che generano frutto, / si ravvivano nel sonno argani e cavi / per dare voce al paradiso». 

L’intero svolgimento di questa costruzione vive nel contrasto tra la bellezza e le offese della Storia, una Storia che poco ci ammaestra e si riproduce nelle sue devastazioni, come è cronaca dei nostri giorni con i suoi nuovi Cortés e le sue eterne vittime innocenti. Così che non è puro esercizio ricordare, nei termini del più eloquente scambio colombiano, come «diverso fu il battesimo / delle anime primitive, altro l’avvento / che piombò sulle vite già incandescenti / in focolai sparsi: peste, vaiolo, escherichia / coli salmonella shigella giardia lamblia / roravirus calicivirus enterovirus».

Alternando modernamente più registri, come si può vedere fin da questi pochi esempi, e del pari alternando versi e prose, va ricordato come questo bel libro, e non è motivo ultimo del suo fascino, si offra tramato di echi letterari che rispondono al suo disegno e ne stabiliscono significativi points de repère; a Paz si è fatto cenno, e si vorrebbe dire di Catullo, di Orazio, ma anche di Auden, che sembra risuonare nel bellissimo notturno che chiude la raccolta, ma non la suggestione nel suo riverbero oltre l’ultima pagina:

quante cose ancora nella vita
ma poi c’è sempre lei, la morte,
la morte, la morte che regola
tutta la specie umana, le piante
e gli animali. stasera, mio dolce
amore, copriamo con un panno finissimo
gli specchi, togliamo le pile
agli orologi, non senti?, fa freddo
e che pace, ora, nei tuoi occhi.

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