Sabino Caronia
Considerazioni sulla guerra

Compagni d’armi

Come ha osservato Liliana Segre, «sembra che la storia non insegni mai nulla agli esseri umani». Così dopo la Shoah e a quarant’anni dal conflitto tra Argentina e Regno Unito, la guerra in Ucraina ritorna a far piangere i morti, uomini che si combattono, volti incancellabili, vittime ignote che (citando Manzoni), Dio conosce

Nel diluvio quotidiano di informazioni della nostra tv nazionale mi ha colpito l’intervista a una donna ucraina cui la guerra ha portato via il misero campicello che era l’unica fonte di sostentamento per lei e per la vecchia madre invalida. Mi sono ricordato di Brothers in Arms, il brano di Mark Knopfler, già frontman dei Dire Straits, che apre ogni suo concerto e che ho ascoltato dal vivo alcuni anni or sono al Palazzo dello Sport dell’Eur. Quel brano si ispira alla guerra che fu combattuta esattamente quaranta anni fa, dal 2 aprile al 14 giugno 1982, tra Argentina e Regno Unito per il possesso delle isole Falkland, della Georgia del sud e delle isole Sandwich australi, una guerra che vide la morte di circa un migliaio di uomini. 

È il racconto immaginario di un soldato inglese colpito a morte: «Queste montagne coperte di nebbia / sono ora una casa per me / ma la mia casa è la pianura / e sempre lo sarà. / Un giorno tornerete / alle vostre valli e alle vostre fattorie / e non desidererete più di essere / dei compagni d’armi». È una dichiarazione di affetto nei confronti di quei compagni d’armi che non lo hanno mai abbandonato ed è soprattutto una denuncia sommessa ma ferma della follia di qualsiasi guerra: «Ora il sole andrà all’inferno / e sorgerà alta la luna / lasciate che vi saluti per l’ultima volta. / Ogni uomo deve morire / ma questo è scritto nella luce delle stelle / e in ogni linea del palmo della mano / siamo folli a fare la guerra con i nostri compagni d’armi».

Quanto durano gli strascichi di una guerra! Alla morte di Margareth Thatcher nell’aprile del 2013 un quotidiano argentino titolò: “Gualtieri la aspetta all’inferno”. Chi non ricorda il primo gol di Diego Armando Maradona in Argentina – Inghilterra dei Mondiali 1986 fatto, come egli dichiarò, «un po’ con la testa e un po’ con la mano di Dio»? Basta pensare anche solo al recente film di Paolo Sorrentino. Ebbene Maradona quel gol e il successivo, il cosiddetto gol del secolo, li volle dedicare, come dichiara nella sua autobiografia, a quei ragazzi argentini caduti in guerra come payaritos, ovvero come uccellini.

Gerusalemme, “Yad Vashem” per la Memoria della Shoah

La senatrice Luciana Segre ha dichiarato in una recente intervista concessa al direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda che la memoria è la sua missione, osservando amaramente: «Sembra che la storia non insegni mai nulla agli esseri umani, basta vedere quello che arriva dal fronte della guerra in Ucraina». La missione della memoria. Un monumento e un nome. Si chiama così, Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah che è stato costruito sul versante occidentale del monte Herzl, il “Monte della Memoria” ovvero il “Monte del Ricordo”. Durante la mia visita laggiù ripensavo tra me alle parole del discorso tenuto in quel Mausoleo, l’11 maggio 2009, da papa Benedetto XVI: «“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato”. Questo passo, tratto dal Libro del profeta Isaia, offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato, yad -“memoriale”-shem –“nome”-. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria di milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia sopravvissuti e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio onnipotente… Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo Memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome… Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei?».

Pensavo e osservavo il cono di fotografie che si alza verso la luce. Eccolo davanti a me.Le seicento foto si riflettono in un pozzo scavato in fondo alla roccia dove i volti sembrano improvvisamente dissolversi, ma questo effetto dura solo un attimo e basta alzare nuovamente lo sguardo per ritrovarli tutti, nitidi e incancellabili. Al pensiero delle tante vittime ignote della follia della guerra vengono in mente le parole che, sulla scia di san Paolo, Lucia, nei Promessi sposi, rivolge all’Innominato: «Dio sa che ci sono».

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