Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Il razzismo assoluto

In margine alla strage compiuta a Buffalo da Payton Gendron, l'immagine di un Paese dove ormai il razzismo non ha vergogna di sé. Anzi, sembra quasi il collante di un vasto pezzo degli Usa. Sarà così finché non si scriveranno nuove leggi per fermarlo

Dopo averlo annunciato in un manifesto di più di 180 pagine pieno di parole di odio che fanno capo ai principi del suprematismo bianco, il diciottenne Payton Gendron ha compiuto un massacro, l’ennesimo, negli Stati uniti. Questo è avvenuto nel quartiere nero di Buffalo nello stato di New York. Il giovane squilibrato ha ucciso 10 persone. Quando è stato catturato dalla polizia era vestito con una tuta mimetica, indossava un giubbotto antiproiettile e aveva una cinepresa per riprendere le sue azioni. Quest’ultima idea gli è venuta – ha ammesso egli stesso – dal suprematista bianco che nel 2019 uccise 51 fedeli in Nuova Zelanda nella moschea di Christchurch da cui ha copiato lo stile.

Il manifesto preceduto da una serie di post sul server Discord per un periodo di sei mesi è basato su una delle tante teorie del complotto esplose durante la presidenza Trump. Parla di un rimpiazzo dei bianchi da parte dei gruppi delle minoranze etniche e degli emigrati e si esprime con parole antisemite e razziste. Chiama in maniera dispregiativa gli afroamericani apostrofandoli con epiteti razziali. In una ricerca dei post dal 2021 a oggi la parola “immigrati” compare 12 volte, “rimpiazzo” 18, ma la parola “nero/i” e la parola dispregiativa “Nigger” 100 volte.

Il manifesto come scrive Keanga Yamantha Taylor sul New Yorker del 15 maggio: “intende conferire un senso di sofisticatezza intellettuale al suo atto di selvaggia crudeltà. Ma i post Discord dell’assassino sono pieni di stereotipi banali e di seconda categoria riguardo ai neri definiti come geneticamente inferiori e come predisposti al crimine”.  L’interrogativo che ci si pone con sempre più frequenza è come la combinazione tra la figura di Trump che ha insignito di una dignità mai avuta prima i suprematisti bianchi e il Ku Klux Klan e la vendita e la proliferazione indiscriminata di armi senza alcun controllo, determini sempre più frequentemente questi massacri. Fino ad ora abbiamo pensato che queste manifestazioni di razzismo fossero relegate negli stati del sud, ma adesso vediamo che questo non è più vero. Dunque questo episodio di cui si è parlato decisamente troppo poco segna un aggravante turning point.

Abbiamo ripetutamente sentito dire da molti americani, compreso il presidente Biden, che “questo non quello che siamo come paese”, ma forse sarebbe il caso di dire invece che “è proprio quello che siamo”. Questo infatti aiuterebbe a cercare soluzioni legislative e di costume che possano affrontare una situazione ormai è divenuta insostenibile. Non si può continuare a vedere questi episodi come isolati, anche perché ormai non lo sono più.

Tutto si aggrava, come ho ripetutamente scritto su queste pagine, dall’elezione di Barack Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti che, per contrasto, ha risvegliato il sopito razzismo sempre esistito negli Usa. La successiva elezione di Donald Trump, quasi come reazione di massa, che ha riportato in primo piano l‘idea di una sorta di replacement dei bianchi da parte delle minoranze, ha fatto il resto, creando una paura del tutto irrazionale. Soprattutto alla luce del fatto che la ricchezza e la varietà degli Stati Uniti sono proprio dovute alla sua diversità Ciò assieme al proliferare della vendita delle armi ha incoraggiato quello delle teorie del complotto che si sono ancor più capillarmente diffuse dopo l’atteggiamento di rifiuto dello stesso Trump di accettare la sconfitta alle ultime elezioni, culminato con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

Come ha dichiarato Brandi Collins-Dexter – del Centro Shorenstein di Harvard che studia la disinformazione e lavora con il gruppo per i diritti civili Color of Change – si pensa erroneamente che la teoria del “great replacement” sia confinata ai problemi degli immigrati, ma in realtà ha una lunga storia di razzismo contro i neri. Sin dalla decisione del 1857 delle Corte Suprema nel caso Dred Scott vs John F. A. Sandford che proclamò che secondo la costituzione americana i neri non avrebbero potuto essere cittadini degli Stati Uniti “i neri sono assolutamente stati il gruppo etnico più esteso oggetto di crimini d’odio”. Inoltre, continua la studiosa, “c’è la tendenza a non riportare nei media quanto di frequente i neri siano attaccati nelle loro case, nelle loro comunità, nelle strade o nei supermercati. È un elemento che non si può più ignorare nella giornaliera lotta per definire cosa sia una vera democrazia in un paese che ancora sta facendo I conti con l’esperimento multirazziale”. I problemi da risolvere sono due: il primo quello di una legislazione restrittiva nei confronti della vendita delle armi e poi fare i conti con quella che viene definita Critical Race Theory (CRT) secondo la quale il razzismo è pervasivo e vige nelle leggi e nelle istituzioni americane che includono il sistema educativo, quello lavorativo, quello giudiziario e quello sanitario. “L’assenza di questo storytelling nel nostro sistema di istruzione – afferma la studiosa- autorizza qualcuno a credere di potere salvare il paese e di avere il diritto di disporre delle vite degli altri, eliminandole a suo piacimento… E sono le comunità ai margini, i neri, e tutti coloro che non hanno potere a pagarne il prezzo”.

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