Roberto Verrastro
A proposito di “Käfigland”

Fantapolitica svizzera

Intrighi di potere, finanziamento illecito dei movimenti neonazisti, dati economici falsati: è la Svizzera di Danielle Baumgartner. Una storia inquietante che fa luce su un mondo dove le libertà sembrano a rischio ogni giorno di più

Il Novecento e i suoi conflitti si riaffacciano pericolosamente ai nostri giorni anche nel romanzo d’esordio di Danielle Baumgartner: Käfigland Un thriller politico svizzero (Knapp Verlag, 343 pagine, 27,21 Euro). Il Paese in gabbia, a cui alludono il titolo e la copertina dell’opera, è quello dell’autrice, una Svizzera senza vie d’uscita in prossimità del trentennale della morte di Henrik Christensen (alla cui memoria il romanzo è dedicato), 29enne segretario dei Socialisti Internazionali danesi, ucciso il 16 marzo del 1992 dall’esplosione di una bomba nella sede del partito a Copenaghen. Il romanzo, inedito in Italia, uscì in patria nel 2016. Richiamandosi a un evento mai chiarito di un anno in cui il mondo sembrò finalmente al riparo dalla possibilità di uno scontro militare tra grandi potenze, Danielle Baumgartner, che in Danimarca ha trascorso 13 anni della sua vita, prefigurava quello in corso come un inquietante decennio di libertà sempre più a rischio.

È il 2 settembre del 2021, una data importante per la protagonista del romanzo, la 60enne Patricia Niederbaum, presidente dei socialisti e leader dell’opposizione al governo di Sebastian Bracher, sostenuto da una risicata maggioranza parlamentare di centro-destra che fa perno sul suo partito, l’Unità Nazionale. Per la prima volta nella storia della Svizzera un voto di sfiducia, che deve raggiungere una maggioranza dei due terzi a votazione segreta, punta alle dimissioni del governo. I motivi che fanno di Patricia la principale sostenitrice della mozione di sfiducia sono presto detti: “Trovo insostenibile che la piazza finanziaria continui a costruire prodotti finanziari oscuri che danneggiano l’economia reale, che il segreto bancario sia stato reintrodotto e che la cosiddetta strategia del denaro bianco sia ammuffita nei cassetti”.  Sono le 18 quando, nell’imminenza della votazione al Palazzo federale di Berna, Bracher cala l’asso nella manica: l’offerta delle elezioni entro un mese e mezzo in cambio del ritiro della mozione. La combattiva Patricia acconsente, contro il parere del 68enne Hans Bühlmann di Lucerna, il suo predecessore alla guida dei socialisti, che interpreta invece la proposta di Bracher come un segnale di debolezza di cui si sarebbe dovuto approfittare. Ma per Bühlmann non è certo questa l’unica ragione di disaccordo.

L’uomo nell’ombra della competizione elettorale si chiama Heinrich Tüllinger. Ha 87 anni, è tra le 300 persone più ricche del Paese e vive con la moglie Irene in una spettacolare villa a tre piani con vista sul lago di Zurigo, dove da 15 anni risiede anche il 67enne Anton, il suo assistente personale. Meno spettacolari sono le idee politiche di Tüllinger: “Per fortuna durante la vecchia legislatura non c’era stato il tempo di portare in Parlamento il disegno di legge per una maggiore trasparenza nel finanziamento dei partiti”. Per uno come Tüllinger, inoltre, la Finma (acronimo di Finanzmarktaufsicht), l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, non rappresenta un grande problema: “Le leggi antiriciclaggio dell’era pre-Bracher erano ancora in vigore, ma da tempo la sorveglianza della Finma non era più rigorosa come prima. Da un paio d’anni Tüllinger aveva piazzato lì uno dei suoi uomini, con il cui aiuto lui e Anton avevano sviluppato un modello sicuro”. Tramite i dossier forniti ogni settimana da un informatore, non resta quindi che scovare qualcosa di compromettente nel passato di Patricia Niederbaum, perché nessuno meglio di Tüllinger sa che “ogni essere umano ha dei segreti”.

I risultati non tardano ad arrivare. Nella seconda settimana di campagna elettorale, il giornale Der Schweizer Demokrat pubblica nell’edizione online un articolo dal titolo “Il passato di estrema sinistra della signora Niederbaum”. Patricia si trova costretta a raccontare la sua adesione giovanile (risalente al 1987, quando viveva in Danimarca) al partito dei Socialisti Internazionali che, nel 1992, perse il suo segretario, il giovane Henrik Christensen, morto “nel primo attentato politico in Danimarca dalla fine della seconda guerra mondiale, rimasto fino a oggi avvolto nel mistero”. Da allora si confrontarono due piste investigative senza giungerne alla soluzione, prosegue Patricia: “Noi all’epoca eravamo impegnati fondamentalmente in attività antifasciste e antirazziste, e subito dopo l’attentato eravamo perciò convinti che il crimine fosse stato commesso da una persona o da un’organizzazione di estrema destra. La polizia tuttavia lavorava anche con un’altra teoria: che fossimo noi a preparare le bombe e che ne fosse esplosa una per via di qualche manovra maldestra, un sospetto contro cui protestavamo in modo veemente. Ci definivamo un partito trotzkysta, questo per me era allora molto importante: per Trotzky la classe dei lavoratori non aveva il potere nell’Unione Sovietica, detenuto invece dai burocrati del partito, che avevano edificato un sistema capitalistico di Stato”.

Tüllinger ritiene di avere screditato la leader dell’opposizione, ma in soccorso di Patricia Niederbaum giunge il 27enne Jonas Wegmüller, un genio della matematica che da due anni è l’assistente di Adrian von der Heide, il potente direttore dell’Emwa (Eidgenössisches Ministerium für Wirtschaft und Arbeit), il Ministero federale dell’economia e del lavoro. Jonas scopre infatti che i comunicati del Ministero, che parlano di una costante crescita del prodotto interno lordo, sono smentiti da una serie di dati dell’Ufficio federale di statistica che scorrono sul suo monitor e che Adrian von der Heide, sconvolto, gli ordina di distruggere, in quanto “devono essere stati spediti via mail per errore da qualche idiota”. Jonas si guarda bene dal farlo e due giorni dopo, nel centro di Berna, si imbatte non solo nei gruppi di manifestanti che sostengono Sebastian Bracher e Patricia Niederbaum, ma scorge anche “due bandiere del nazionalsocialismo, rosse, al centro il cerchio bianco con la svastica nera”. Il giovedì della terza settimana di campagna elettorale, Adrian von der Heide convoca Jonas nel suo ufficio: “Con quello che sai ora sei quasi approdato al settore più interno. È importante che Bracher vinca le elezioni. Vorremmo reclutarti nella nostra organizzazione, che è nota solo a chi ne fa parte: per entrarvi non ci si può candidare, ma si viene cooptati”. Adrian gli fornisce poi l’indirizzo del suo nuovo datore di lavoro: Heinrich Tüllinger. 

Il lunedì successivo, Jonas sale sul treno Intercity Berna-Zurigo. Dopo un caloroso benvenuto, Tüllinger va subito al sodo: Jonas percepirà 10.000 franchi al mese (circa 9.500 euro) per diventare il suo nuovo assistente personale. A quello storico, Anton, aver abbandonato Tüllinger in polemica con i suoi metodi ha portato sfortuna: “La sua compagna è in coma dopo un grave incidente stradale”. Un chiaro avvertimento a Jonas, visto che i dati falsificati sull’andamento dell’economia erano la classica punta dell’iceberg. Tüllinger fornisce i migliori avvocati ai neonazisti arrestati per violenze durante le manifestazioni e Jonas non gli nasconde il suo sconcerto. “Signor Wegmüller, onore al suo idealismo, ma qui da me lei imparerà a ragionare in modo pragmatico. Queste persone non mi sono simpatiche, ma sono utili: su certi temi, come la questione degli stranieri, hanno il polso della gente”. Jonas si mette al lavoro. Al computer gli appare una banca dati con centinaia di nominativi di personaggi in vista nell’economia e nella politica svizzere, oltre all’elenco della vasta rete di informatori (compreso Hans Bühlmann, l’ex presidente dei socialisti, sposato ma ricattato perché in realtà omosessuale), che la aggiornano di continuo con i dati sensibili degli interessati, come “consumo di stupefacenti, visite psichiatriche, guida in stato di ebbrezza, iscrizione a locali per gli scambi di coppia. Alcune di queste attività erano assolutamente legali, ma servivano a mettere la gente sotto pressione”. Prima di dileguarsi, Jonas copia la banca dati su un hard disk per farla pervenire a Patricia Niederbaum, che la invia alla Procura federale. È il 18 ottobre del 2021, giorno delle elezioni. Non ci sono prove (accuratamente distrutte) di legami tra Sebastian Bracher e Heinrich Tüllinger, ma la Procura federale ha disposto per quest’ultimo gli arresti domiciliari, in ragione dell’età avanzata e dell’improvvisa morte della moglie Irene. Tüllinger è accusato di finanziamento ai partiti con denaro nero, rapporti con la criminalità organizzata, corruzione di funzionari pubblici, accesso abusivo a informazioni riservate e altri reati. Patricia Niederbaum può dirsi soddisfatta del risultato elettorale. La coalizione di Bracher ottiene un seggio in più dell’opposizione nella ripartizione dei 46 seggi che compongono il Consiglio degli Stati, una delle due camere del Parlamento svizzero, mentre dei 200 seggi del Consiglio nazionale allo schieramento di Patricia va un seggio in più del governo. In questa situazione politica la Svizzera entra nel 2022, in un mondo di nuovo in bilico tra i fantasmi dell’interminabile secolo breve e la problematica idea occidentale di libertà che trent’anni fa costarono la vita a Henrik Christensen.

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