Angela Scarparo
A proposito di «Paradiso e naufragio"

Il Musil di Cacciari

Intervista con Massimo Cacciari che ha dedicato il suo nuovo saggio a "L'uomo senza qualità” di Robert Musil. Una riflessione sull'apocalisse che verrà: «È il romanzo di una sola tragedia, fatta di nobiltà e viltà, di disperazione e stupidità, di fanatismo e disincanto»

Il 15 aprile del 1942 moriva, in esilio a Ginevra, lo scrittore Robert Musil. Nato a Klagenfurt nel 1880, l’autore de L’uomo senza qualità era di formazione scienziato, laureato in ingegneria, oltre che un appassionato conoscitore di filosofia e studi sociali. È a partire da queste coordinate che Massimo Cacciari, nel suo recente Paradiso e naufragio. Saggio sull’Uomo senza qualità di Musil (Einaudi, 128 pagine, 13 Euro) indaga i punti fondamentali del famoso romanzo.  

“Saggio sull’Uomo senza qualità di Musil” recita il sottotitolo del suo libro. Tra le tante particolarità del romanzo musiliano c’è la modalità di pubblicazione. Si tratta di un lavoro incompiuto, pubblicato nell’arco di più di dieci anni, in una delle epoche più spaventose nella storia dell’umanità. Furono anni terribili anche per Robert Musil e sua moglie Martha Heimann Marcovaldi.  Quanto pensa che sia costitutiva dell’opera questa incompiutezza e questa modalità di pubblicazione?

Non c’è nulla di voluto o preventivato nel modo in cui il romanzo venne pubblicato! Musil ci ha lavorato fino alla fine per completarlo – nelle condizioni più difficili – ma non riuscì a compierlo. Io ritengo che la difficoltà somma fosse insita nella struttura stessa dell’opera, che il viaggio in Paradiso non potesse aver fine. Non può averla…

Musil descrive alcuni tipi umani, suoi contemporanei, ormai assurti a personaggi universali e lo fa, soprattutto, attraverso l’uso del linguaggio di cui i personaggi sono, ci suggerisce “portatori”. Vediamo, tra gli altri, Arnheim, il capitalista borghese, capace di conciliare tutto; Clarisse, che non si rassegna a leggere Nietzsche, ma intende, proprio come il filosofo, naufragare; Ulrich, lo scienziato, vuole essere razionale, ma è consapevole dei limiti della ragione. L’autore ce li descrive attraverso “tic” e “maniere”. Perché, oggi, il metodo di indagine, ma anche di cura, a partire dal “particolare”, dal “singolare”, sembra sparito a tutto vantaggio del “generale”, dell’“astratto” Qui stiamo parlando di letteratura ma pensiamo, per esempio, alla recente gestione della pandemia.

Sì, il grande scrittore incarna sempre le proprie idee, le fa vivere in vite concrete, in figure. Oggi tutto tende a omologarsi e non esistono perciò neppure grandi personalità che possano ispirare grandi personaggi.

«Proprio il frammento, anzi, la scheggia, sono quel particolare che va indagato con lo sguardo più acuto, con la precisione più rigorosa», lei scrive. E «Ogni figura, poi, rispecchia anche le altre; ciascun frammento è monade che li riflette tutti». Ogni figura del romanzo è una “visione del mondo”, molte di loro sono frammenti di «vita inautentica», suggerisce.  In che relazione è il frammento con il saggio? E con il romanzo?

Non vi è nel romanzo alcun frammento, appunto! I frammenti sono tutti ricomposti, e diventano parti di un insieme, di una sola tragedia, fatta di nobiltà e viltà, di disperazione e stupidità, di fanatismo e disincanto. Il saggio non ha a che fare con un vago procedere da impressione a impressione – è un continuo “aggirarsi” intorno all’oggetto o al problema, nella coscienza che non si dà visione panoptica, del Tutto in una volta.

«Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto del 1913», leggiamo all’inizio de L’uomo senza qualità. Gli esseri umani hanno bisogno del nesso di causalità per organizzare la propria esistenza. Ma forse troppo spesso si dimenticano che quell’organizzazione non è altro che una convenzione. Da questo punto di vista, Musil, forse anche perché di formazione scienziato, è molto chiaro: non c’è attività umana, non c’è realtà che non possa essere osservata da diversi punti di vista. Perché secondo lei in certi momenti storici, più che in altri, questa capacità di distanza viene meno? Come è possibile che da un momento all’altro si piombi nel dogmatismo assoluto della guerra?

Gli studi scientifici permettono a Musil di affrontare la realtà secondo un’ottica statistico-probabilistica, cioè radicalmente anti-dogmatica. Occorre, certo, cercare le cause di una situazione, ma mai queste cause la spiegheranno in modo perfettamente esaustivo. Il caso è la dominante del mondo. Il mondo è la totalità dei casi. Ma questo non ci esonera affatto, anzi, dal cercare ricorrenze e regolarità, e così orientare le nostre vite. Cosa che i personaggi di Musil non sanno fare – e naufragano.

«Bisogna starsene assolutamente immobili (…) non lasciar posto ad alcun desiderio, neanche a quello di fare domande. Bisogna spogliarsi anche dell’accortezza con cui si bada ai propri affari. Bisogna sottrarre al proprio spirito tutti gli strumenti e impedirgli di servire da strumento. Bisogna privarlo del sapere e del volere; bisogna affrancarsi dalla realtà e dal desiderio di rivolgersi ad essa. Bisogna concentrarsi su se stessi finché mente, cuore e membra non siano altro che silenzio». In questo brano, da lei ripreso nel suo libro, Musil dà prova delle sue capacità, in quanto scrittore, di creare, attraverso il linguaggio, associazioni inedite, sorprendenti.  Il Paradiso, il legame speciale dei Gemelli, l’Uno-duità, come lei scrive, potrebbe essere inteso come una forma di ininterrotto esercizio critico, passione all’opera anche, anzi, soprattutto, quando tace?

Nell’ultima parte del romanzo, Musil esperimenta nuove forme di linguaggio capaci di esprimere un’esperienza profonda di relazione-comunicazione intuitiva non soltanto tra Io e Tu, ma tra Io e natura, Io e altri essenti non dotati di logos… Anche queste esperienze sono reali, e lo scrittore deve saperle rappresentare – certo, le parole per farlo giungono fino al silenzio…

«Non è possibile costruire una comunità dell’estasi» lei dice. Musil ci mostra come la situazione estatica sia possibile solo a partire da una sospensione del giudizio morale. Perché estasi e comunità non vanno d’accordo?

La comunità dell’ek-stasis è fuori-ek da ogni forma “politica” – è comunicazione tra anime. Ciò non significa che sia in contraddizione e tantomeno in lotta con la “politica”! È semmai quest’ultima che tende a impedire quella distanza e solitudine che costituisce appunto una comunicazione ek-statica.

«Non ce la faccio più». Così, lei ci racconta, scrive Musil sui suoi Diari, alle prese con l’ultima parte del romanzo. La situazione psicologica ed economica in cui si trova lo costringe, nel 1933, a pubblicare il secondo volume della sua opera, cui continua a lavorare «come uno che avanzi su un ponte già crollato». Era evitabile questo naufragio, o il fallimento, anche alla luce di ciò che accade in quegli anni, come limite dell’esistenza umana, è costitutivo dell’opera musiliana?

Musil in certo modo descrive l’inevitabilità dell’apocalisse che avvenne… invece delle celebrazioni della “pace” all’insegna del buon Papà Francesco Giuseppe.

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