Massimo Rocca
Il senso di una crisi

La guerra di Omero

Achille, Aiace, Nestore e Tersite: ritorno a Iliade e Odissea di Omero per cercare di capire quel che succede intorno all'invasione dell'Ucraina. Soprattutto negli inutili dibattiti che ha prodotto qui da noi

La famosa domanda, perché la guerra?, nel carteggio Einstein/Freud ha, da parte del fondatore della psicoanalisi, la risposta sulla pulsione di morte. A un livello leggermente superiore, che cogliamo perfettamente oggi, grazie al fenomeno dei social che moltiplicano in modo frattale le reazioni consentendoci una immediatezza una volta impossibile, io credo che la guerra funzioni perché incredibilmente semplice. Binaria. Chiede e impone risposte banali, primitive. Io e tu. Noi e loro.

Quando scappammo dall’ Afghanistan, mi sovvenni della grandezza di Omero per la sua capacità di superare questa semplicità e cogliere l’umanità del nemico, facendone un eroe grande tanto, se non più, del nostro eroe. Ma perfino Omero ha un limite. Se il nemico può essere splendido, se ne trarrà maggior vanto nell’averlo sconfitto; il dissidente interno, il dubbioso, deve essere spregevole. Tersite. Quello che accetta la finta ragionevolezza di Agamennone. Questa guerra non finisce, finiamola. Abbocca. Ed è il primo portatore di handicap della letteratura. Uno che, storto, gobbo, con la voce di Giordano, semiafasico come Bruce Willis, non si capisce perché non sia stato riformato alla leva. Si beccherà un sacco di legnate, mentre, verso dopo verso, viene dipinto come un Orsini.

Il pensiero complesso – ha un senso che da dieci anni ci scanniamo per quel cornuto di Menelao, possibile che sia davvero questo? – viene tacitato e ridicolizzato dal pensiero astuto, quindi non da un eroe muscolare come Aiace o Diomede, ma da Ulisse. È una scelta raffinatissima.

Come sappiamo non sarà la forza, ma la capacità di sfruttare le aspettative psicologiche del nemico a decidere la guerra. È lo stesso cervello che spegne il dissenso interno a sapere, alla fine, come risolvere il conflitto, a patto che anche il dissenso interno del nemico, Laocoonte, sia spento. Tutto si tiene nella narrazione. Perché l’Iliade, il poema della guerra, è il racconto di come ridurre a questo pensiero semplice, io tu, noi voi, una realtà complessa. Di come piegare chi a un certo punto ha detto, ma basta. Ed è il più forte e il più eroico di tutti (pensate a cosa scrivono, inascoltati, i generali italiani all’ interno del nostro dibattito), Achille. Il cui pensiero deviante (travestito da donna per sfuggire alla guerra) non può essere piegato né dall’eloquenza di Ulisse, né dal cameratismo eroico di Aiace, né dal richiamo ai valori di Nestore. Lo sarà solo dall’ emozione lacerata, dal bisogno di vendetta, quando il pensiero tornerà a farsi semplice, io loro. Noi Putin. Tutto il resto è Tersite. 

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