Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

L’etica di Biden

Costantemente criticato da tutti - ai limiti dell'ingiuria - per i suoi modi "rallentati", Biden è il bersaglio preferito di chi si proclama "né con Putin né con la Nato". Eppure, il presidente incarna il sentimento comune, quasi un populista che però non trascura l'etica pubblica

Da più parti ormai piovono critiche sulla testa di Joe Biden e sulla sua presidenza, anche già da prima della guerra in Ucraina. La maggior parte di esse trovano riscontro nell’età avanzata tanto che da più parti si è perfino ventilata l’ipotesi che potrebbe lasciare addirittura la presidenza. I motivi di queste critiche sono molti e si sono certamente aggravati ora durante la guerra. Essa ha infatti ha scatenato un nuovo antiamericanismo di ritorno che certo non lo aiuta come non lo aiutano le sue ultime esternazioni. A tutto ciò bisogna aggiungere che la personalità di Biden non è flamboyant come quella del suo predecessore che ogni giorno intratteneva i media e l’opinione pubblica con grandi e piccoli scandali, con grandi e piccole bugie che facevano passare in secondo piano il fatto che lentamente stava mandando a fondo il paese. Non voglio esaltare l’attuale presidente, ma va detto tuttavia che sotto Biden sono stati ottenuti risultati, almeno in politica interna, di cui si parla troppo poco a cominciare dall’economia che vola, all’aumento dei posti di lavoro, al contenimento della pandemia, all’aiuto alle famiglie durante l’imperversare del covid. Tutt’altra cosa sono le critiche che gli vengono mosse rispetto alla guerra. Alcune sono giustificate, ma da qui a dire, come ho letto, che questa guerra è stata voluta dall’America per distruggere l’Europa o obbligarla a compare il gas americano, ce ne corre.

Ma andiamo con ordine e vediamo quali sono le critiche più persistenti alla sua leadership. Tra di esse le più comuni sono che ha una retorica incoerente a causa delle lunghe pause quando parla (tutti ricordano l’epiteto di Sleepy Joe affibbiatogli da Donald Trump), dimenticando che il suo tartagliare forse ha qualche responsabilità sulla sua oratoria. Oppure che ha una grave malattia neurologica e non riesce a controllare i suoi movimenti; prova ne sia il fatto che inciampa sulla scaletta dell’aereo. Altre ”prove” superficiali sempre per provare la sua debolezza mentale, sono addirittura risibili come quella di flatulenza mossagli da Camilla Parker Bowles in margine alla conferenza sui cambiamenti climatici di Glasgow o infine quella (una delle più assurde!) che a causa delle numerose plastiche facciali non riesce a muovere i muscoli del volto e dunque non riesce ad essere espressivo e pertanto a comunicare appieno. Altre ancora sono basate sul fatto che non valorizza abbastanza la vice presidente, altre infine che è stizzoso (forse coloro che muovono questa critica hanno dimenticato cosa faceva uno davvero rabbioso come Trump) e che l’ultima frase rivolta a Putin: “For God’s sake. This man cannot remain in power (per l’amore di Dio. Quest’uomo non può rimanere al potere)” sia stata causata da un’esplosione di rabbia incontrollata. Affermazione che testimonierebbe una sua forma di psicolabilità e che è stata corretta successivamente dal Segretario di Stato Anthony Blinken, il quale ha affermato che non c’è nessuna strategia americana in atto per rimpiazzare la leadership russa.

Seppure posso comprendere le preoccupazioni di chi muove quest’ultima accusa in quanto quell’espressione può compromettere le mosse diplomatiche che sono state compiute in settimane recenti da molti paesi europei per portare la pace in Ucraina e che con questa mossa si sentono intralciati dagli Stati Uniti, devo spezzare una lancia in favore del presidente americano. Biden è uomo di negoziati e di mediazioni, ma anche uomo dal sentire comune, che vive nel mondo. Questo suo commento certamente inappropriato e che forse gli è sfuggito, è tuttavia quello che sente, come ha fatto recentemente notare Ian Bremmer presidente di Eurasia, (un think thank di grande rilevanza geopolitica), ogni persona che ha a cuore la libertà. Anche se Joe Biden non è una persona qualunque, ma il presidente degli Stati Uniti. Dunque un suo commento influenza reazioni diplomatiche a catena nei leader mondiali, soprattutto in Putin che è il diretto interessato di questa pesante accusa. Ma, non dimentichiamolo, anche quello che ha iniziato questa guerra.

Ciò che mi sembra rilevante in questo caso è che seppure è stata la debolezza di un uomo con una responsabilità internazionale è anche la prova di una coscienza e di un’etica personale, frutto di un sentire condiviso. Perché è proprio questa la plusvalenza di Biden! Il fatto cioè che a differenza di altri populisti alla Trump o alla Berlusconi o alla Salvini ha un senso etico e una decency che ha riportato alla Casa Bianca. Certo, errori sono stati commessi, a partire da come è avvenuto il ritiro dall’Afghanistan: però dopo tre presidenti che ne avevano solo parlato, Biden è stato l’unico che ha compiuto il fatto; certo, inviare armi all’Ucraina non aiuta il processo di pace, ma così l’America manda un segnale alla Russia e anche alla Cina. Sicuramente con Trump la guerra non ci sarebbe stata perché avrebbe lasciato alla Russia campo libero e avrebbe liquidato in un baleno la Nato. E dunque mi chiedo e chiedo a certi giornalisti nostrani che accusano l’America di Biden di avere pilotato la guerra: è quello che avrebbero voluto? Forse sì. Per andare contro la guerra infatti non bisogna, è vero, né giocare al riarmo del mondo, ma neanche imprecare come fanno alcuni o sottilmente, come fanno altri, istillare con rabbia l’esistenza di un nemico o di un complotto internazionale su cui scaricare tutte le colpe.

O peggio parlare dell’esistenza di servi e padroni, di un’egemonia di qualcuno su un altro. Dare la colpa a qualcuno serve a incoraggiare un’animosità e una violenza che non giovano alla pace. Secondo questo modo di pensare bisogna per forza stare da una parte contro l’altra. Per questo motivo l’unico leader in cui mi riconosco in questo momento è il papa che predica l’attualità della pace e la forza del negoziato.

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