Alberto Fraccacreta
Tre occasioni di riflessione

Tre libri sul mistero

Sibylle Lewitscharoff, Leonardo Guzzo e Lucianna Argentino propongono tre libri sul mistero (diversissimi tra di loro). Dalla poesia di Dante all'epica di Ayrton Senna al senso della silenzio: la verità oltre le apparenze

Un grande convegno dantesco sull’Aventino, nell’antica sala dei Cavalieri di Malta, e un certo Gottlieb Elsheimer che è letteralmente prigioniero del suo scetticismo materialista ma è costretto a vivere un avvicendarsi di eventi mistici: è questo il tema del romanzo di Sibylle Lewitscharoff, Il miracolo di Pentecoste (traduzione di Paola Del Zoppo e Cristina Vezzaro, Del Vecchio Editore, pp. 400, € 20,00), percorso da un sincero e vivace amore per la Commedia. Lewitscharoff, oltre che una delle più apprezzate autrici tedesche, è una studiosa delle religioni e nei suoi libri vibrano riferimenti cabalistici inframmezzati da una spiritualità inesausta: di fede luterana ma attratta dal cattolicesimo, la scrittrice originaria di Stoccarda — come ha notato Bernhard Viel sul Abendzeitung München — «fa risorgere la poesia di Dante». In che modo? Provare per credere.

«Su un terreno roccioso di montagna, tre fiere indicano la strada a Dante, che vaga — lonza, leone e lupa. E sono a loro volta tre donne celestiali ad allearsi in una manovra di salvataggio per persuadere l’esitante fiorentino a compiere un viaggio nell’aldilà per mezzo dell’inviato Virgilio — Maria, la santa Lucia e Beatrice, venerata da Dante, la chiara fiamma ardente dei suoi anni giovanili morta anzitempo, che dimora in Paradiso come figura idealizzata. In paradiso o meno, giusto ora, nel 2013, tredici giorni fa, trentatré dantisti sono spariti, e con loro tre domestici». Costruito come un giallo metafisico narrato in prima persona dal ‘realista’ Elsheimer, Il miracolo di Pentecoste è un romanzo-saggio che non manca di humor e di digressioni colte, di urticante saggezza e di potenti visioni ultraterrene.

Storia immaginifica, esaltante e drammatica è anche quella raccontata da Leonardo Guzzo in Beco. Vita in romanzo di Ayrton Senna (prefazione di Francesco De Core, PeQuod, pp. 111, € 15,00): impossibile non ravvisare nella breve ma fulgida esistenza del grande pilota brasiliano quel «magnetismo» — ricorda Gian Paolo Ormezzano — che ineluttabilmente attrae lo spettatore nel gorgo della sua tragica parabola. Scrive Guzzo nell’esordio del libro: «Ci vuole talento per rubare il fuoco agli dei. Abilità divina e cupidigia umana, di chi guarda il fuoco dal basso e invidia le stelle. Bisogna vincere tempeste, dentro e fuori, superare ostacoli, calpestare cuori, e il proprio innanzitutto, reggere il caldo e il freddo dei luoghi vertiginosi. Bisogna aver fede nella sorte, in un dio che da ultimo ha il volto di se stessi, e sempre esercitare la destrezza, la velocità. Di stridere due pietre, ruotare un fuscello, strisciare la gomma degli pneumatici sull’asfalto. […] Ci sono molti modi per raccontare la storia di Ayrton Senna; e uno, forse il più giusto, è quello di cantarla. Non snocciolarla, ma comporne il mosaico; non spiegarla, ma farne sentire il profumo. Affidarne il racconto ad amici e amanti, a colleghi, familiari, a Senna stesso, presentati come personaggi letterari. E così collocarla da qualche parte nel mezzo tra il documento e il romanzo, il rigore e la fantasia. Nello spazio classico del mito».

Le parti liricamente narrate e gli squarci documentari, sempre stesi su carta con esemplare commozione, fanno rivivere la figura cristallina di Senna, campione omerico, ragazzo-astro, «luce che non si consuma», come osserva bene De Core.

È altresì dedicato al silenzio come «atto creativo» il sorprendente poème en prose di Lucianna Argentino, La parola in ascolto (Manni, pp. 80, € 12,00), suddiviso in ‘stanze’ che inanellano un ‘dialogo di preghiera’ sull’umiltà e sulla fecondità del silenzio. Bastano i titoli a rendere l’idea oracolare di un testo che ha molto di jaccottetiano e, ovviamente, di mariano. Eccone alcuni, fra i più significativi: il silenzio è stanziale, il silenzio è soglia, il silenzio è tenda, il silenzio è una cattedrale

Un passo tratto da Il silenzio è maternità chiarisce, invece, in maniera paradigmatica il senso del volume: «È atto materno. È il momento in cui il sangue non si disperde più perché deve nutrire il concepito, il nascituro. E il sangue si raccoglie nella conca del cuore e va – fatto parola – ad irrigare la malnutrita essenza della nostra quotidianità. […] Il silenzio è il grembo in cui sta in gestazione la parola poetica. Simile a una serra – luogo dove c’è sempre la giusta temperatura, dove si ha cura della fragilità delle cose e delle creature, dove il tempo offre riparo e riparazione, dove ogni conflitto trova pace e gesti sereni. Terra di riconciliazione. L’evangelista Luca (2,19 e 2,51) scrive: Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Serbare – tenere insieme.

Il materno silenzio di Maria è un luogo fisico, è il suo stesso cuore. Cuore in cui le parole e le azioni di suo figlio vivono nella e della sua perpetua maternità. Così il silenzio diviene canto di misericordia. In ebraico misericordia è rahamim parola formata da rehem, utero, viscere e mayim, acque ed è, dunque, un chiaro riferimento al grembo materno. Indica l’attaccamento istintivo di un essere ad un altro, la compassione, ma anche la tenerezza di un padre verso i suoi figli. È così che tutto torna. È così che si compie la costruzione morale del tempo». Ed è così che tout se tient inaspettatamente anche per la nostra piccola riflessione iniziata nel solco del miracolo pentecostale — che comprende la scienza delle lingue —, proseguita nel fugace canto del mito, e conclusasi nel linguaggio universale che tutti gli idiomi comprende: il silenzio.


Accanto al titolo, Osvaldo Licini, Angelo ribelle con cuore rosso, 1953 (particolare)

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