Gianni Cerasuolo
Fa male lo sport

Calcio crack

Violenza intorno agli stadi, truffe contabili, cori razzisti: il calcio italiano è al capolinea e l'esclusione dai mondiali del Qatar ha un potente valore simbolico. Servirebbero programmi seri, austeri, intelligenti che sappiano guardare lontano. E invece...

Nello sport non si vive di appannaggi. Neanche nello sport malato e deformato dei tempi moderni. Non è che se sei campione di Europa hai diritto a giocare un Mondiale. Quindi, sciò Italia, niente Qatar, resta nei tuoi stadiacci a giocare a palla prigioniera, tra le sabbie del deserto, a Natale, ci andranno altri.

Meglio così. Il Mondiale in Qatar è una vergogna, quella kermesse andrebbe boicottata, non andrebbe vista neanche in tv. Quella cosa lì è il frutto della corruzione, una montagna di soldi ai Signori del calcio per accreditare un Paese dove non esistono libertà e democrazia e dove gli stadi sono stati costruiti con il sangue degli immigrati, di disperati neanche pagati.  

Il sangue della guerra in Ucraina rende difficile avere un cuore leggero. In fondo, chisseneimporta se non andiamo al Mondiale. Dopo il Covid, adesso ci immalinconiamo guardando quei palazzi sventrati, quei bambini smarriti senza più infanzia, ascoltando altri bollettini di morte. Sono due anni che contiamo morti. Sì ma il Donbass, sì ma la Nato, sì ma è propaganda, sì ma Danzica… mentre un criminale diffonde terrore e bombarda la gente, li porta via dalle loro case.

Allora una sera ti stordisci, con un paio di amici che sono da un’altra parte, davanti alla tv: primo canale Rai, roba dei tempi di Pizzul e Martellini. Quanto sono lontani i mesi dell’esaltazione, l’estate delle medaglie, di Wembley e di Wimbledon, delle parate trionfali per le vie di Roma, delle corse di Jacobs e dei salti di Tamberi. E non solo per i missili e le bombe in Ucraina.

Perché avremmo mai dovuto andarci a Doha? Diamine, siamo i campioni d’Europa…

Tra i campioni aleggia una nuova inchiesta, proprio in questi giorni, per falso in bilancio che riguarda il club più blasonato della nostra pelota, la Juve. Altre società stanno facendo il gioco delle tre carte per la questione delle plusvalenze. Ad ogni partita in serie A si sentono cori contro i neri, contro i napoletani, contro gli zingari. Non mancano scontri e scaramucce tra le cosiddette opposte tifoserie. È un rosario di schifezze, prepotenze, violenze che si recita da moltissimi anni. Lo conoscono anche i lettori di queste pagine che pure hanno da godere di ben altri spettacoli e belle cose. Ma siamo sempre i campioni.

 Alla fine degli anni Ottanta portai mio figlio, ragazzino, allo stadio Olimpico per un Roma-Napoli: tutta la partita fu un coro continuo, certo, solo di una parte dello stadio, ma senza che l’altra parte battesse ciglio, di inviti ad usare più sapone se non addirittura la lava vulcanica del nostro grande e terribile padre, il Vesuvio, per le pulizie mattutine e non solo. Qualche settimana fa, a Verona è stato esposto in strada uno striscione, ma questo lo sapete: le coordinate geografiche di Napoli, un invito a bombardarla. Firmato curva Sud del Verona. Pochi giorni dopo, il Milan va a Cagliari, alcuni calciatori di origine africana della squadra rossonera vengono pesantemente insultati, come da troppi anni accade in quello stadio. Voglio dire che tra i cori che il mio ragazzo ascoltò in quel lontano 1988 e le cose che succedono oggi negli stadi italiani nulla è cambiato. Sono passati 34 anni.

I dirigenti della Federcalcio, i presidenti dei club continuano a non vedere e a non sentire. Perché fa comodo che vada così, meglio non pestarsi i piedi. Per cui se partono cori razzisti, si dà una multarella alla società e avanti il prossimo, so’ ragazzi. Se lo striscione viene messo a 200 metri dallo stadio, ah no, non tocca a noi, non possiamo intervenire. Quello striscione veronese era firmato. Giusto per non far finta di niente hanno dato una giornata di ingresso vietato agli ultras (ma lo striscione non c’entra). Così tutti si sentono più severi e con la coscienza candida e giudici finalmente, arbitri in terra del bene e del male.

Altrove avrebbero chiuso quel settore fino alla fine del campionato.

Certamente non si va al Mondiale della vergogna perché siamo innanzitutto scarsi anche se campioni. Che cosa c’entra tutto il resto, la violenza, le truffette, i cori? Ci siamo anche ingoiati un paio di rigori in partite decisive. Altrimenti avremmo avuto già il pass per la penisola araba. Mancini ha perso lo smalto dell’estate vincente, ha insistito con giocatori precotti, fuori forma, erano i pretoriani che lo avevano portato a sollevare il trofeo europeo otto mesi fa. Questo è stato il patatrac tecnico, quello del campo, il secondo consecutivo dopo quello di Ventura contro la Svezia che non ci mandò a giocare da Putin. Chiamarono Mancini apposta: per tornare a partecipare ad una manifestazione che abbiamo vinto quattro volte nella storia. Ha fallito anche lui. La Macedonia del Nord ha scoperto tutta la nostra miseria. Coree e Macedonie sono nella nostra brutta storia. Non solo Italia-Germania 4-3. Così sono otto anni che continuiamo a stare fuori dalla crema del pallone. L’ultima volta che giocammo un Mondiale fu in Brasile, era il 2014: lì c’eravamo, ma rimediammo un’altra figuraccia. Ora bisognerà aspettare il 2026. Il digiuno prosegue, gli anni passano a 12: un lungo coitus interruptus. Ripassate con la memoria: da Berlino, dal cielo sopra Berlino, anno 2006, che cosa ha vinto la nostra nazionale di calcio?  Nulla. Ah, sì: i campionati d’Europa del luglio 2021. È stata bravura, è stato fato, è stata l’eccezione, è stato l’entusiasmo, la liberazione apparente dalle angosce della pandemia. Ora la fortuna ha presentato il conto. Le nostre squadre di club non vanno oltre i quarti nelle coppe. Non può essere l’errore di qualche partita a buttarci fuori da tutto. C’è dell’altro: il nostro calcio è malato, il sistema non funziona, è incapace, è ridicolo. Il nostro calcio non piace ai ragazzi. Se c’è una partita in tv, si cambia canale.

Abbiamo forse una serie A che alleva ragazzi a crescere come uomini e come atleti? E li manda in campo la domenica? Conviene far giocare gli stranieri. Piacciono anche a noi. E quanti club hanno i conti in regola? I presidenti nostrani, quei pochi rimasti, negano persino i calciatori alla nazionale. Le proprietà estere, americane, cinesi, i fondi internazionali badano ad altro: bilanci ed affari. Servirebbero programmi seri, austeri, intelligenti che sappiano guardare lontano. Programmare, valorizzare, rischiare. L’esatto contrario di quello che questo Paese solitamente fa.

Giusto così, niente Qatar, non ci saremo ancora una volta, sta diventando un’abitudine. Otto mesi fa pensavamo di essere i migliori. Mancini aveva detto che questi mondiali li avremmo addirittura vinti.  In questo gigantesco spettacolo contraffatto che è diventato il calcio, forse è meglio non comprare il biglietto.

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