Pier Mario Fasanotti
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Nostalgia in viaggio

Sellerio (a dieci anni dalla morte) pubblica i diari di viaggio di Antonio Tabucchi: alla ricerca di una patria da riconquistare. Castelvecchi, invece, ripropone quelli di Stefan Zweig: alla ricerca di una patria perduta per sempre

Saudade. Ricorrono i dieci anni della morte dello scrittore pisano Antonio Tabucchi, che riposa nel cimitero di Lisbona, poco distante dalla tomba di Fernando Pessoa, l’artista lusitano che ha influenzato fortemente la vita di uomo e di narratore nato a Vecchiano (Pisa) nel 1943. L’editore Sellerio ha appena pubblicato Di viaggi e di sogni, assieme alla Donna di Porto Pim e a Notturno indiano (239 pagine, 10 Euro). Le opere di Tabucchi hanno avuto uno straordinario successo tanto è vero che sono state tradotte in 40 lingue. A contribuire alla sua notorietà non si può dimenticare Sostiene Pereira (diventato poi film, con un eccezionale protagonista, Marcello Mastroianni), storia di un anziano giornalista, emarginato dal regime di Lisbona ma che alla fine corre (letteralmente) verso un atto e un sentiero di libertà che lui sogna diventi collettivo anche se parte da una piccola notizia che riesce, al limite dell’inganno, a far pubblicare sulle pagine culturali del quotidiano presso cui lavora. La sezione cultura della Rai ha dedicato un’esauriente puntata allo scrittore che potremmo oggi definire italiano-portoghese. In quella corsa c’è un grande afflato liberatorio, un realissimo ritorno alla gioventù. Non a caso ha scritto un testo nella lingua di Pessoa, accorgendosi di essere partito da un sogno fatto diciamo così in lingua, alla “presenza” del nonno che si esprimeva con il lessico della parte occidentale della penisola iberica. Ha aggiunto che il portoghese per lui era diventata una lingua vicaria, e questo lo avvicina, sia pure indirettamente, ai famosi eteronimi di Pessoa, il quale scriveva assumendo la personalità di altri autori (con nomi inventati): sono quattro e comprendono un narratore, un poeta e un filosofo. Qualche critico, acutamente, ha collegato questo fatto al termine “saudade”, che non significa solo nostalgia, ma anche il disegno intimo di un futuro. Lo stesso Tabucchi ha voluto precisare che la traduzione più consona è la parola dantesca “desio”.

Tornando al libro edito dalla Sellerio, l’autore parla dei suoi innumerevoli viaggi, usati non per vagabondare ma per conoscere gli altri, per guardare ed esaminare il mondo con gli occhi del prossimo, sempre guidato da un’inestinguibile curiosità esistenziale. E questo in vari continenti, anche quelli più lontani. Gli intrecci letterari rimandano ai famosi “prologhi” di Borges. Nella Donna di Porto Pim, per esempio, ci mostra un territorio di balene azzurre. La chiave di volta è la scelta della strada dell’immaginabile come letterariamente reale; “escludere ciò che è realmente accaduto come qualcosa di cui è impossibile garantire la veridicità”. Non è un caso che l’autore si sentisse molto vicino a due grandi protagonisti dell’universo culturale: Stevenson e Conrad. E sotto si avverte sempre “una sensazione di inquietudine”. Ha chiarito Tabucchi che il libro appena citato è “una metaforica circumnavigazione attorno a me stesso”. Così come la ricorrente domanda sul tempo “che invecchia”, sul tempo che noi rincorriamo, consapevoli anche del fatto che esso stesso attraversa e regola le nostre vite.

Nel baratro. Tutti ricordiamo lo scrittore viennese se non altro per quel suo splendido libro intitolato Il mondo di ieri, dove la storia personale di Stefan Zweig, ebreo, si mescola al ritratto di un’epoca, intrisa di nostalgia ma avviata verso un tragico sgretolamento. Giugno 1941, l’Unione Sovietica è invasa dai nazisti. Si aprono per lui le strade del più profondo pessimismo. Era famoso per una serie di romanzi brevi e biografie, aveva amicizie di grande rilievo culturale come Freud, Thomas Mann, Rainer Maria Rilke, Joseph Roth, Arthur Schnitzler. Nei suoi testi appaiono persone e personaggi che si tolgono la vita. Lui fece altrettanto durante il Carnevale di Rio de Janeiro dove, con la moglie Lotte, si trasferì, disgustato dai non valori, dalla superficialità e dall’indifferenza degli americani. A New York approdò dopo essersi trasferito a Londra per poi buttarsi in un inquieto tour, durato cinque mesi, in Brasile e Argentina. L’editore Castelvecchi pubblica ora la raccolta delle sue testimonianze, co-firmate dalla moglie, La vita stessa è già tanto in questi giorni (288 pagine, 17,50 Euro). Lui aveva 60 anni, lei 34. Lui si era vestito di tutto punto, Lotte fu trovata avvolta da una vestaglia, il braccio sinistro che cingeva il fianco del marito. Ingerirono una gran quantità di barbiturici. Qualcuno notò che quel suicidio altro non fece che precedere quello di molti altri. Stefan scrisse molte lettere, tutte incentrate prevalentemente sulla “distruzione della vita e della felicità di innumerevoli individui”. Al cognato confessava: “Andrà sempre peggio”; alla sua consorte la più triste delle considerazioni: “La mia generazione è diventata ormai superflua. Siamo stati un fallimento”. E ancora: “Nella mia esistenza non avrò più una vera casa”. Il Carnevale evidentemente parve una cosa grottesca ai coniugi Zweig, costretti ad abbandonare le radici, una patria, un profondo umanesimo e l’ideale del pacifismo. Si sentì umiliato dopo aver saputo che alcuni correligionari, come Mann e Anna Arendt, lo avevano criticato per una sua presunta distanza emotiva dal destino degli ebrei. Nulla di più sbagliato. Stefan invece partecipò al dramma dell’etnia ebraica, e aderì alla raccolta di molti fondi. Non tutti capirono a fondo la sua depressione. In una delle lettere scrisse: “Saluto i miei amici! Mi piacerebbe passare i prossimi anni dormendo…la guerra logora i miei nervi…per me è tropo tardi, non potrei più godere per una vittoria…”.

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