Nando Vitali
Su “Se solo il mio cuore fosse pietra”

Bambini all’inferno

La giornalista e scrittrice Titti Marrone racconte le storie terribili di quei bambini che, conosciuto l'inferno di Auschwitz e altri lager nazisti, furono lentamente recuperati alla vita grazie a un progetto voluto (e gestito dietro le quinte) da Anna Freud

Certi romanzi mettono in cammino la nostra realtà immaginativa. Ma ci pongono anche di fronte alla necessità di guardarci dentro. Osservare con coraggio il mondo oscuro nel quale la Grande Storia sommerge le piccole storie alle quali invece è fortemente connessa. Nel romanzo di Titti Marrone, Se solo il mio cuore fosse pietra (Feltrinelli, pagine 237, Euro 17,50), il prodigio è quello di ricostruire un arcipelago di venticinque bambini sopravvissuti ai campi di concentramento, o alla Shoah. Ciò è potuto accadere grazie alla tenacia di alcuni psicoterapeuti, e alla generosità di un ricco gentiluomo inglese, sir Benjamin Drage, che mette a disposizione la sua villa di Lingfield vicino Londra. Qui troveranno accoglienza e riparo per quella eccezionale operazione di ricucitura psicologica e umana per questi bambini provenienti da vari inferni: da Terezìn, presunto campo reclamizzato come campo modello dai nazisti (ne girarono perfino un film di propaganda), ad Auschwitz, da fortunosi nascondigli, orfanatrofi e conventi.

Artefici di questo progetto fortemente voluto da Anna Freud, figlia del grande Sigmund, sono Alice Goldberger, e altri collaboratori come Oscar Friedmann, Manna Weindling, Lydia Goldman, solo per citarne alcuni. Anna Freud seguirà le vicende degli ospiti però soltanto tramite un fitto carteggio con Alice, sostenendola e dandole conforto nei momenti più difficili. Il primo gruppo di dodici bambini arriverà dal campo di prima accoglienza di Windermere. Il secondo giungerà successivamente. Parliamo di bambini anche di tre o quattro anni.

C’è una parola giapponese, Kintsugi, che vuole indicare rammendare con polvere d’oro. In questo caso ricostruire i traumi e le violenze viste e subite da questi bambini, necessiterà competenza e appunto polvere d’oro. Una sensibilità e un amore che vanno ben oltre la scienza muscolare.

Alice raccoglierà ciascuna storia tramite un meticoloso rapporto di relazione affettiva (talvolta molto complesso) coi bambini, ma anche attraverso studi e ricerche sulla loro provenienza. Ai fanciulli il mondo degli adulti pare mostruoso. La loro capacità di pensare a una realtà che non sia quella dell’orrore è congelata. Al principio rifiutano l’inaspettata normalità, la temono come un inganno. La sola cosa che riconoscono è quella del lager. Alcuni ne emuleranno perfino le crudeltà. Molti sono abituati a farsi invisibili per non essere catturati, qualcuno smarrisce il senso della parola. Altri si ribellano per una sorta di guerriglia interiore dove la dignità del vivere non può avere asilo.

Titti Marrone, grande giornalista e scrittrice di sensibile talento, a sua volta, tesse e ricostruisce attraverso un percorso di ricerca, documenti, testimonianze. Le storie narrate sono realmente accadute. Bambini in carne ed ossa, molti dei quali se ne racconta l’evoluzione da adulti. Lo fa con la cautela di una lingua che non indulge mai al patetico, senza perdere però il pathos drammatico, con la delicata urgenza di rimettere al mondo quello che sovente la Storia tende a dimenticare, a rimuovere.

Tutte le vicende, la personalità, i pregi e le debolezze, sono raccontate con le loro molteplici screziature, sia dei bambini che dei loro assistenti. Non è possibile per noi citarle tutte, però la sensazione è di una materia che lentamente riprende forma. Una natura umana che si schiude come un uovo a una nuova vita. La rifondazione di un mondo. Alcuni verranno adottati, qualcuno ritroverà i genitori, per altri rimarrà un fondo di dolore quasi insanabile.

Ma Alice e la sua équipe riporteranno alla luce una parte di serena umanità, saneranno molte ferite. Forse la felicità può essere ancora riconquistata.

La parte finale di questo straordinario romanzo l’Autrice la dedica a Sergio, il bambino sempre atteso che mai più verrà ritrovato. Solo dopo molto tempo si saprà che fu impiccato (non aveva ancora otto anni), dopo aver fatto da cavia, probabilmente, al famigerato dottor Mengele.

Titti Marrone, in conclusione, dice di «parole soffocate dal suono balordo del vivere quotidiano». È vero.

Dunque un romanzo da leggere con passione, ma che vuole essere anche una lettera di quelle che si scrivevano una volta dopo aver a lungo meditato.

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