Paola Benadusi Marzocca
“La bambina con la valigia”

Ricordare le Foibe

«… Uno sguardo attento al passato, ma proiettato fermamente nel futuro...». Ecco perché Egea Haffner (con Gigliola Alvisi) ha raccontato la sua storia di esule giuliana, orfana del padre, vittima della polizia politica del maresciallo Tito. E lo ha fatto rivolgendosi al pubblico dei più giovani…

Il 10 febbraio 2005 è stato istituito in Italia il Giorno del Ricordo per commemorare le vittime degli eccidi avvenuti al confine orientale quando con la resa delle truppe tedesche in Italia il 29 aprile 1945 le soldatesche iugoslave di Tito occuparono Gorizia, Trieste e l’ Istria. Il libro La bambina con la valigia – Il mio viaggio tra i ricordi di esule al tempo delle foibe, scritto da Gigliola Alvisi con la testimonianza e collaborazione di Egea Haffner (Piemme, pagine 205, 14 euro), racconta attraverso la storia di Egea, a quei tempi bambina, «un pezzo della storia d’Italia complesso e spinoso», quasi sconosciuto al pubblico giovanile.

«Ci vuole coraggio, per raccontare un momento storico che è ancora oggetto di feroci discussioni. Ci vuole fiducia per aprire lo scrigno dei ricordi familiari e condividerli con i giovani lettori. Ci vuole uno sguardo attento al passato, ma proiettato fermamente nel futuro…», sottolinea l’Alvisi nell’introduzione ed è importante accennare ai prodromi perché oggi la provincia della Venezia Giulia non esiste più. Dopo la fine della prima guerra mondiale, l’Istria e la zona della Dalmazia intorno a Zara vennero infatti così denominate dallo Stato italiano nel trattato di pace di Saint Germain-en-Laye nel 1919. Fino a quel momento questa terra era governata dall’Austria. 

La foto della copertina ritrae una bella bambina con lo sguardo perplesso che tiene stretti nelle mani un ombrello e una piccola valigia. Sopra a grandi lettere c’è scritto “Esule Giuliana n….”. Questa vecchia foto è diventata negli anni il simbolo dell’esodo giuliano dalmata, «di altre storie di persone scomparse, di altri lutti, addii, radici strappate e case abbandonate, di nascite e rinascite altrove, di storie nuove, di nuovi amori». I ricordi di Egea, lontanissimi, si mescolano a un tripudio di colori: dal bianco delle case di pietra al verde brillante della pineta, all’azzurro intenso del cielo che si unisce all’orizzonte con quello del mare. Poi i rintocchi sempre uguali dell’orologio a pendolo di casa Haffner, il dialetto della città di Pola intercalato con il tedesco che Egea parlava nella casa dei nonni paterni. 

Su tutto l’ululare delle sirene e i boati delle esplosioni. La guerra era cominciata improvvisa e inaspettata; gli abitanti della Venezia Giulia parteciparono al conflitto a fianco della Germania in quanto ormai considerati italiani. «Sotto la superficie della forzata tranquillità imposta dal Fascismo, covavano rivendicazioni, sete di vendetta e il desiderio di riappropriarsi, anche con le armi, della propria identità». Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia precipitò in una violenta anarchia. I partigiani slavi invasero l’Istria con l’intento di vendicarsi ferocemente delle vessazioni e dei torti subiti dai fascisti. Ma i colpevoli delle atrocità commesse erano quasi tutti scappati altrove e nella regione erano rimasti soprattutto i normali cittadini che lavoravano negli uffici pubblici e nei loro negozi e nelle imprese, iscritti al Partito per non cadere in miseria, per poter continuare a vivere. Del resto tanti italiani, tra cui molti intellettuali di chiara fama, avevano preso la tessera fascista per questo motivo, o avevano inizialmente guardato con favore il nuovo regime. 

Esodo di una famiglia istriana

Fu da quel momento che il terrore si diffuse tra le famiglie istriane e dalmate e cominciò a diffondersi la parola “foibe”. Dopo un mese dalla firma dell’armistizio iniziò la persecuzione di centinaia di italiani che furono gettati nelle foibe, naturali fenditure di pietra tipiche del terreno carsico, profondissime, a volte centinaia di metri, simili alle vaste cave a cielo aperto di Siracusa in cui venivano gettati gli Ateniesi catturati durante la guerra del Peloponneso. La famiglia di Egea Haffner pagò un caro prezzo. Nel 1944 iniziarono i bombardamenti angloamericani su Pola, quasi un gioco per una bambina di pochi anni protetta dall’amore della sua famiglia. C’era il papà, Kurt che «appariva come per magia» per portarla al sicuro nel rifugio. E lì sotto nella stanza affollata e umida qualche mamma raccontava fiabe per distrarre i bambini e dimenticare la paura. I bambini non erano consapevoli mentre gli adulti «si guardavano intorno con mille domande negli occhi: le loro case erano ancora in piedi? Era morto qualcuno?». 

Nessun abitante di Pola poteva dirsi veramente italiano: c’erano cechi, magiari, italiani, ebrei, polacchi, bavaresi, e tutti venivano educati, quasi senza averne coscienza, a essere cosmopoliti, cittadini del mondo. Ognuno viveva a modo suo lasciando lo stesso diritto agli altri. Non c’era mai fretta, nessuna smania di correre avanti, di superarsi, nessuna falsa ambizione. Un brutto giorno, raccontato a Egea tante volte che la scena le sembra familiare ancora oggi a distanza di decenni, la polizia politica del maresciallo Tito bussò tre forti colpi alla loro porta e Kurt Haffner venne portato via. Subito i familiari lo cercarono ovunque, lui non aveva nessuna colpa, ma non fu mai ritrovato. «Perché proprio lui?». Forse perché faceva parte di una delle famiglie benestanti della città, o perché il suo cognome era di origine austro-ungarica. È quasi certo che finì nelle foibe.  Con parole drammatiche l’autrice descrive come i titini procedevano nelle esecuzioni: «legavano i prigionieri per i polsi con il filo di ferro, li posizionavano sul ciglio di una di quelle fenditure del terreno… e poi sparavano al primo della fila». Non si conosce ancora il calcolo preciso di quelle barbare esecuzioni, non sono mai state fatte ricerche accurate, ma un fatto è certo: nessuno dovrebbe morire così, anche se dall’inizio della storia dell’uomo la crudeltà della guerra colpisce senza esitazioni e senza senso persone innocenti.

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