Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Attenti ai camionisti

In Canada, i camionisti protestano contro i vaccini e i green pass, mettendo in scacco il Paese. Una protesta di retroguardia che ha due precedenti allarmanti: in Cile portò al golpe di Pinochet; in Gran Bretagna consolidò il regno di Margaret Thatcher

Mi domando come mai ogni volta che i camionisti sposano qualche battaglia politica istintivamente provo un sentimento di paura. Forse perché ci sono episodi storici che la mia generazione e dintorni ricorda non proprio con leggerezza. Quando nel 1972 scesero in piazza i camionisti, in Cile iniziò una spirale di violenza senza ritorno a cui seguì nel 1973 la deposizione e la morte del suo legittimo presidente, eletto democraticamente: Salvador Allende. In un altro 11 settembre, non meno tragico di quello del 2001. Al golpe seguì la dittatura militare del sanguinario generale Pinochet che si macchiò di crimini contro l’umanità e tenne il paese in una morsa di terrore per circa vent’anni, appoggiato inizialmente dall’amministrazione americana di Richard Nixon.

L’ evento ebbe risonanza mondiale per la sua brutalità e fu uno choc che marchiò a sangue quella nazione. Un’intera generazione al di fuori del Cile ne fu influenzata e fu testimone della fragilità della democrazia la cui scomparsa faceva ricadere quel paese in un’epoca di barbarie assoluta. Una sconfitta storica per il movimento operaio e progressista e per tutti i democratici nel mondo

E poi c’è un’altra presa di posizione anch’essa di enorme rilevanza politica. Durante lo sciopero dei minatori inglesi, che durò un anno dal 1984 al 1985 (il più lungo sciopero dell’occidente dalla prima guerra mondiale e quello che sancì la sconfitta definitiva della possibilità di un modo di vivere sociale alternativo, di solidarietà e del cui fallimento la Thatcher fu interamente responsabile) a cui tutte le categorie dei lavoratori inglesi si unirono per salvaguardare i posti di lavoro dei minatori, l’unica che non partecipò alle  manifestazioni di solidarietà con essi fu proprio quella dei camionisti.

In ambedue i casi, la rilevanza degli eventi fu di portata epocale in quanto fece ricadere quei paesi, nei quali la democrazia politica e sindacale assieme alla giustizia sociale avevano ridimensionato gli eccessi di un capitalismo rampante e mostrato un modo di vivere alternativo ad esso, anni luce indietro rispetto ai successi ottenuti fino a quel momento. E i camionisti occuparono posizioni di retroguardia in tutte e due le situazioni.

Pertanto quando ho visto alla fine del mese scorso l’inizio della protesta dei camionisti canadesi che si ribellavano contro le vaccinazioni e le misure restrittive nei confronti della pandemia messe in atto da parte del governo canadese, mi sono allarmata. Anche questa volta la democrazia nei paesi occidentali infatti sembra in pericolo. Una situazione che certamente rende Putin e Xi Jinping estatici e che specie i questi venti di guerra che soffiano di questi tempi dovrebbe preoccupare il mondo.

Il cosiddetto Freedom Convoy che dura ormai da più di due settimane reclama libertà dagli obblighi anticovid che il governo canadese di Justin Trudeau cerca di far rispettare semplicemente per contenerne i danni della pandemia e per proteggere la salute dei suoi cittadini. Circa 500 camionisti hanno invaso le strade di Ottawa impedendo, nella zona dove si sono accampati, qualunque attività. Continuano a suonare il clacson tutto il giorno, cosa che infastidisce gli abitanti della città. Manifestano contro il governo anche se tutte le maggiori organizzazioni canadesi dei camionisti hanno condannato tale presa di posizione. I componenti del Freedom Convoy hanno messo sotto assedio la capitale canadese nella quale il sindaco Jim Watson ha dichiarato lo stato di emergenza. Con questo sciopero stanno bloccando il passaggio delle merci dal confine canadese a quello americano mettendo in scacco l’economia del paese e creando difficoltà anche a quella degli Stati Uniti. In particolare hanno occupato. tra altri luoghi, l’Ambassador Bridge tra Windsor in Ontario e Detroit, il passaggio più trafficato di tutti quelli al confine tra gli Stati Uniti e il Canada e punto cruciale per il trasporto dei pezzi di ricambio delle auto. 

Il primo ministro Trudeau dopo avere detto che la maggior parte dei camionisti canadesi è vaccinata ha affermato che i cittadini di Ottawa non possono essere ostaggio di una minoranza, “non meritano di essere tormentati nei quartieri dove vivono e non devono essere costretti a confrontarsi con la violenza di una bandiera con la svastica che sventola all’angolo di una strada o con quella confederata o ancora con gli insulti e le offese se indossano una mascherina. Non è quello che siamo noi canadesi”. E si sono cominciate a vedere anche bandiere con l’effigie di Trump 2024 che sono divenute tra i manifestanti molto popolari. Perfino il capo della polizia ha parlato della presenza dei suprematisti bianchi e ha confermato che lo spirito e l’ideologia che animano il Freedom Convoy vengono dall’estrema destra e dai Tea party americani.

Come è ormai noto infatti i manifestanti hanno il sostegno non solo politico, ma anche economico oltreché di Donald Trump, di molti repubblicani DOC americani tra cui spiccano il governatore della Florida Ron DeSantis, il senatore del Texas Ted Cruz, sempre in prima fila quando c’è da combattere per qualche causa reazionaria e il figlio di Trump, Donald Junior.

Ma quello che preoccupa di più è che la simbologia di questa manifestazione sembra non avere una connotazione locale. Si espande a macchia d’olio e, grazie ai social media, a Facebook e Telegram, diviene virale, internazionale. Già negli Stati Uniti si stanno organizzando manifestazioni di protesta simili, ora che il gradimento di Biden è ai livelli minimi. L’odio nei confronti delle classi dirigenti fa perfino dimenticare che negli Stati Uniti c’è un aumento esponenziale dei posti di lavoro e che l’economia sta crescendo in maniera eccezionale. Questo movimento arriva anche in Europa dove a Parigi si sta organizzando un convoglio diretto a Bruxelles. Anche di Roma si parla di manifestazioni di solidarietà con i canadesi e di proteste contro le misure anticovid. Come se i governi fossero responsabili della diffusione della pandemia, delle sue varianti e del rallentamento dell’economia. E non cercassero invece di frenare la diffusione del virus allo scopo, almeno nella maggior parte dei casi, di proteggere la salute dei propri cittadini e di far ripartire i rispettivi paesi. Ma quello che preoccupa ulteriormente in tutto ciò è il crescente scetticismo dell’opinione pubblica nei confronti degli scienziati incaricati di varare norme e comportamenti che aiutino i cittadini a uscire dall’emergenza. Manifestazioni come queste autorizzano tutti a parlare di tutto, cioè a entrare in quella notte in cui tutte le vacche sono nere. Con buona pace di Hegel e dell’autorevolezza delle classi dirigenti.  E quindi della democrazia rappresentativa. Viene fatto di chiedersi perché mai i camionisti ce l’abbiamo cosi tanto con i governi democratici.

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