Sergio Buttiglieri
All'Arena del Sole di Bologna

Sarraute e il nulla

Pier Luigi Pizzi mette in scena “Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute con Umberto Orsini e Franco Branciaroli in scena: un capolavoro sul vuoto ricamato sul talento di una scrittrice particolarissima e due attori formidabili

Pier Luigi Pizzi a Bologna, al Teatro Arena del Sole, (e ora in tournée a Milano al Teatro Grassi e poi in varie parti d’Italia) ha appena felicemente messo in scena Pour un oui ou pour un non, un interessante testo della scrittrice francese Nathalie Sarraute, grande ammiratrice di Dostoevskij, che non a caso già nel 1956 Jean-Paul Sartre aveva scoperto e commentato positivamente, definendola come la creatrice per eccellenza dell’antiromanzo, in occasione dell’uscita di Ritratto di Signora, un’altra famosa opera di questa celeberrima autrice, che pochi anni dopo scrisse I Frutti d’Oro (Editi entrambi in Italia da Feltrinelli ) che ebbe un grande successo internazionale, e dove lei in maniera implacabile smonta, sviscera, spoglia, ridicolizza gli intellettuali dell’epoca.

In scena ritroviamo due big del teatro di prosa: Umberto Orsini e Franco Branciaroli. Decisamente in gran forma, specialmente Il primo.

Lo spettacolo è tutto svolto in uno studio dei due amici che da 50 anni non si erano più rivisti. Una scena fissa con iconiche candide librerie, e varie famose poltroncine di Marcel Breuer. Il dialogo fra i due sembra riprendere i grandi temi sartriani dell’identità, della scelta e dell’alienazione.

«Un niente, Niente che si possa dire. Cosa c’è stato fra noi?» Si interrogano i due.

«Ecco delle parole! Altre parole che non ci sono state, che si nascondono». Ed è proprio per questo niente che lui ha voluto rompere con l’altro.

«Ah… Bene! È cosi?»,Questa è la frase cardine dopo che lui aveva fatto partecipe l’amico di un suo successo. Frase che riecheggerà più volte durante tutta la rappresentazione, e che manderà in crisi i loro già fragili rapporti. 

Semplicemente Per un sì e per un no, come recita il titolo, i due non si erano più rivisti: «È un po’ che niente mi stupisce». Dice l’uno all’altro. E comincia a interrogarsi su un emblematico termine che scriverà col gesso sulla parete nera, arrampicandosi sul tavolo: Degnazione Ma non convinto del risultato interpella all’istante degli amici in una call via zoom per avere un loro parere chiarificatore che non ci sarà. E gli argomenti fra i due si faranno sempre più netti: «Mai ho invaso il tuo territorio, Mi tengo ai margini, Io a casa mia, tu a casa tua». Per loro questa è una trappola, perché uno accusa l’altro di essere squinternato, tormentato. Ma questo per lui fa parte del suo fascino.

Una vera e propria trappola mai esibita è quella che si rinfacciano. «Tu esibisci la felicità, la gioia della vita, E per questo ero geloso». E lui scrive sulla parete: «geloso». «Quando tu avevi sulle ginocchia il tuo primogenito, gli rinfaccia, avevi un’altra felicità. Mentre io ero un monaco, uno stilita. Di questo non c’è traccia. Una felicità senza nome». Si ritengono non classificati. Ma a questo punto uno si scusa con l’altro perché a volte «Si dice più di quel che si pensa».

E qui avviene un riuscito meccanismo teatrale ideato dal regista: lui si specchia alla finestra, quasi facesse vedere nitidamente a noi spettatori il suo doppio. Cosa che lui in realtà non percepisce. E grida deciso: «La vita è lá!».Ricordando subito dopo che gli faceva venire in mente una famosa frase di Verlaine.

Ma da che cosa si devono difendere i due irrisolti e attempati amici? Cosa li possiede? Qual è l’esca? Esattamente che «la vita è lá!».Come diceva giustamente Il poeta francese. Al di la della loro finestra e loro non riescono a raggiungerla, annaspando nei loro sudici contatti. Una vita fra virgolette, si rinfacciano a vicenda i due sempre più su di tono. Si sentono come dei poeti che si mettono alla berlina e che inutilmente si fermano a vedere il paesaggio anche se basterebbe acquistare le cartoline illustrate della loro vita, che non è mai andata oltre la loro finestra.

«Sei tu che dai un nome a tutto!», accusa l’amico all’altro. «E che metti sempre le virgolette anche se per te la vita non vale la pena di essere vissuta». Si sentono dei recuperati, sotto sorveglianza, dei fluttuanti inconsistenti. E l’amico a questo punto, esasperato, vorrebbe ritornarsene a casa sua dove è tutto più solido.  Si rimette il cappotto, anche se fa fatica a prendere fiato, e poi se lo toglie, percependo quasi di essere dentro delle sabbie mobili. Due amici, che non sono mai stati veramente amici, che ora percepiscono la tracotanza di osare semplicemente Pour un oui ou pour un non.

Nathalie Sarraute, in questa piece, lasciando indovinare un’autenticità inafferrabile, accanendosi a dipingere il mondo rassicurante e desolato dell’inautentico, ha magistralmente messo a punto una tecnica capace di attingere, oltre il dato psicologico, la irrisolta realtà umana dei due non amici, nella sua stessa esistenza. E ciò Pier Luigi Pizzi lo ha degnamente fatto percepire in questa sua esemplare regia. E, infine, l’essere andati oltre ai loro eterni non detti, produrrà un drammatico ineluttabile epilogo che farà scrosciare calorosi applausi dal pubblico in sala.


Le foto sono di Amati Bracciardi

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