Roberta Passaghe
A proposito di "Borgo Sud"

Retoriche di Borgo

Le sorelle bambine protagoniste de "L’Arminuta” tornano a raccontare la loro vita adulta nel nuovo, fortunato libro di Donatella Di Pietrantonio. Una storia che spesso, tra cliché e retorica, cade nell'incuria. Al punto che viene da pensare che sia la parodia di romanzo

È impegnativo prendere sul serio un romanzo in cui un lessico che punta a tutti i costi verso un effetto letterario, frequenti e involontari solecismi, spiegoni, cliché e formule retoriche non siano stati concepiti per suscitare un effetto comico. In Borgo Sud (Einaudi, 168 pagine, 18 euro), finalista del Premio Strega 2021, l’impressione di trovarsi davanti a un tema scolastico travestito da romanzo di formazione è quanto di più onesto si possa riportare. I salti temporali poco chiari rendono difficile comprendere in quale momento della narrazione si svolgono i fatti e sembrano più che altro dover riempire degli spazi per sopperire a una trama di fatto molto povera. È una narrazione frettolosa che pretende di proporre riflessioni esistenziali nello spazio, spesso, di un paragrafo con uno stile che tenta di essere alto e scivola in equivoci e tentativi di letterarietà che sarebbero plausibili solo se avessero un intento parodistico. I cliché frequenti fanno pensare a un prodotto non curato e lontano dalle soluzioni stilistiche che, seppur con alcune problematicità, si erano rivelate particolarmente fruttuose nella prosa de L’Arminuta, romanzo precedente dell’autrice e vincitore del Premio Campiello 2017.

Borgo Sud, attraverso gli occhi della protagonista che è ora un’illuminata professoressa attenta alle tribolazioni esistenziali dei suoi studenti(e il cliché della ragazza che, nonostante le origini umili, trova rivalsa grazie alla sua predisposizione per gli studi sarebbe già fin troppo evidente), racconta la problematica vita adulta di Adriana, sorella minore del personaggio che conosciamo solo come Arminuta, a partire dai suoi anni più scalmanati.

Adriana conduce una vita allo sbando e i tentativi della sorella di contenerla nel pericoloso esercizio della sua libertà non fanno altro che condurre a liti furibonde (la precisazione deve apparire all’autrice doverosa anche se resta da capire se esistano liti pacate e placide) e preoccupazioni in merito alle comitive meno raccomandabili […], spacciatori compresi che Adriana è solita frequentare. Eppure, l’Arminuta non si spiega, ad esempio, come la sorella non si sia mai drogata, con tutto quello che ha toccato. Dubbio che persiste giusto il tempo di una frase dato che, a risolverne il mistero, arriva perentoria la riflessione retorica per cui Adriana è così, s’immerge nella melma e ne esce candida.

Sul personaggio di Adriana non mancano caratterizzazioni che la vogliono ignorante ma verace, sanguigna, autentica, scalmanata e, naturalmente, cocciuta: una vera e propria ragazza di paese per cui la protagonista prova forte il disagio di essere sua sorella. Adriana, poi, non avrà studiato ma conosce la vita e si occupa, perciò, di iniziare la sorella alla realtà crudele che lei, con quelle mani da professoressa, non è evidentemente in grado di maneggiare.

L’espediente letterario del difficile rapporto tra sorelle che erano andate tanto d’accordo da bambine è adoperato per dare nota, in contemporanea, del declino di un matrimonio e della vita a Borgo Sud, paese di pescatori, povero, ma dove la vita sembra più vera, scandalosa e pulsante e da cui la protagonista è attratta e spaventata allo stesso tempo.

Questo abuso di cliché è perfettamente coerente con un lessico che sembra allontanarsi poco da formule proverbiali o frasi fatte che richiamano più l’italiano scolastico che non la cura che ci si aspetterebbe da chi scrive in maniera professionale. Ci si imbatte in formule ovvie o anticheggianti come lamiere contorte; tazza fumante; rabbie furibonde; scorribande in città; la malefatta di Adriana; chioma riferito ai capelli; denaro; apparecchio in riferimento al telefono; eufemismi come la scenata tra dentro e fuori l’avevano sentita fino al porto; leggeva mezza pagina come se fosse scritta in una lingua orientale; oppure adulto il gioco; confidenza tra adulte in riferimento al sesso. Gli accostamenti descrittivi sono spesso poco chiari, come l’arredamento era semplice, ma curato in ogni dettaglio (non si capisce quando semplicità sia diventato sinonimo di incuria) e che sembrano messi lì per dovere d’ufficio più che per un reale fine stilistico-narrativo, come ad esempio il riferimento esasperante al colore dei capelli delle comparse: decapottabile guidata da una bionda, non aveva visto la bionda davanti a noi, una scolara dalle trecce bionde, una ragazza bionda, è una bionda eccessiva, la cameriera bionda, la brunetta della seconda fila, ha aggiunto la brunetta. Seppur la seconda parte del romanzo si riveli migliore in quanto a nessi logici, resta da capire come certe prove di incuria siano confluite tutte in un unico prodotto e viene da chiedersi se, davvero, Borgo Sud non sia una parodia di romanzo.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini

Facebooktwitterlinkedin