Nicola Vicidomini
A cent'anni dalla nascita

Piccioni, il sublime

Cronaca di una passione, annunciando la mostra che celebra a Roma il centenario del grande musicista che ha aperto la strada maestra del jazz in Italia. Così innovativo da essere oggi considerato il maggior esponente della Space Age ed Exotic Music europea

Si inaugura domani, lunedì 6 dicembre, a Roma, al Forum Theatre, collegato ai mitici studi di incisione (piazza Euclide 34), la mostra organizzata in occasione del centenario della nascita di Piero Piccioni (6 dicembre 1921). Curata da Jason Piccioni, Nicola Vicidomini e Marco Petrignani, si chiuderà il 6 gennaio e sarà affiancata da una serie di incontri e di concerti. (info www.forumstudio.it)

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4 e 26 del 4 dicembre. Sono stremato. Non servo. Ho lasciato Jason a dormire dopo aver terminato l’ennesimo montaggio video. Da giorni lavoriamo senza sosta alla mostra Piero Piccioni 100 experience. La nostre condizioni fisiche e mentali peggiorano visibilmente. Si potrebbe dire che versiamo in uno stato totale d’abbandono, ruderi retrofuturisti. Se da una parte l’autodeturpazione avanza, dall’altra il lavoro svolto senza sosta, al limite di una masochistica, meccanica, maniacalitá, inizia a prendere forma. Cosí che, quando le forze terminano, il corpo prosegue da solo in un inarrestabile moto perpetuo a spostare nastri, riorganizzare documenti, montare immagini, selezionare foto, litigare, bestemmiare creativamente, bere alcolici. Per Piero sto facendo ciò che non avrei fatto neppure per me stesso… Perché? Perché la sua musica non è stata retoricamente solo “la colonna sonora della mia vita”, ma il respiro impossibile d’ogni (mia) visione. 

Senza meta vagavo per vie assolate di Salerno, a Torrione, tra le case popolari e poi alla stazione ad attendere il numero 4. Nella tasca un mangianastri o lettore cd portatile riproduceva i capolavori di P.P.. Ecco che ogni scorcio (anche il più degradato) e ogni passo acquisivano connotazioni particolari. Finanche un palo della luce poteva assurgere a spiraglio di sogno, manifestazione di un altrove. Essere il film. Ancora, a distanza di anni, vengo colto da profonda commozione all’ascolto dei medesimi temi, come fosse sempre la prima volta. Ecco ridestarsi un senso di meraviglia e onnipotenza bambina, che la dittatura del quotidiano in tutte le sue declinazioni tende a soffocare. Ecco l’eterno ritorno di una catarsi che individua il suo acume in un felice pianto.

Piero Piccioni è stato il più grande compositore italiano del ‘900. Crocevia d’ogni avanguardia musicale ma anche l’ultimo fumo di un romanticismo panico. Ascoltando Finchè c‘è guerra c‘è speranza, il tema principale, dove Africa e Sud America vengono acusticamente affrescate, credibilmente, come fossero un’unica, impossibile terra, si è puntualmente attraversati da una commozione particolare, non sará mai chiaro se causata da un eccesso dirompente di gioia o di malinconia. È la pulsione dionisiaca, il ditirambo, scansione primordiale del fenomeno chimico della vita che, attraverso l’intervento dell’apollineo (per dirla con Nietzsche in quel testo fondamentale che è La nascita della tragedia), si dispiega in proiezioni epiche e visionarie. Lo scontro tra elementi opposti, conflitti irrisolvibili nel flusso del magma vulcanico, esteticamente sublimato. Piero è stato probabilmente in musica l’unico Dioniso italiano. Il più wagneriano, per giunta. E non mi meraviglia che non amasse per niente la musica di Verdi. Così, come non meraviglia affatto che avesse una predilezione particolare per Stan Kenton – tale da considerarlo una sorta di chimera – e per le sue armonizzazioni dure, per quel muro meravigliosamente insormontabile di fiati.

Tanti, troppi i suoi meriti. Ha saputo inaugurare con l’orchestra 013 la strada maestra del jazz italiano, definendone successivamente le coordinate compositive. Pianista dallo stile inconfondibile, è stato l’unico jazzista europeo ad aver suonato negli Stati Uniti con Charlie Parker. È considerato – solo da me, ma credetemi che è sufficiente – il maggior esponente della Space Age ed Exotic Music europea. Ha dato vita sulla scia delle esperienze brasiliane di fine anni 50 a un fortunato filone italiano di Bossa Nova in grado di incidere in maniera indelebile le visioni collettive. Non è proprio parlare di immaginari. L’immagine è borghese, la visione sottrazione dell’immagine, riflesso della musica. Non è un caso che siano state le sue composizioni a veicolare i film e non il contrario. Intellettuale raffinatissimo, avversore come Werner Herzog e come chi sta scrivendo della psicoanalisi, in quanto dissociazione strutturale da quel mistero inclassificabile che ci precede e ci segue. A dimostrazione di tale assunto, ho trovato nel mare di carte e di documenti impolverati, proprio un appunto autografo sulla questione, che manifesta un vivo interesse esistenziale.

Ho potuto riscontrare dai dialoghi epistolari col fratello Leone anche l’interessante passione giovanile per Kant, che tanto aveva anticipato della buona filosofia di lá da venire, demistificando, nella definizione delle “categorie”, la fallacitá del senso comune e delle strutture del linguaggio prima dello stesso Nietzsche. Forse riduttivo considerare Piero solo un musicista. Il fatto che abbia lavorato per il cinema è secondario… Invito chiunque a godere del suo lavoro liberando la mente da ogni connotazione immaginifica, da ogni pregiudizio, da qualsivoglia sequenza. Per percepire appieno il sublime piccioniano è necessario azzerarsi. Sì, Piero compie 100 anni, ma io credo ne abbia ancora tre. E oltreoceano se ne stanno accorgendo…

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