Paolo Spirito
Al Castello Visconteo di Novara

La Venezia di Hayez

«Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale» è una ricca mostra che racconta come la città più famosa, amata e mitizzata del mondo sia stata anche il luogo d'elezione della pittura romantica e di quella storica lungo tutto l'arco dell'Ottocento

Francesco Hayez (Venezia, 1791-Milano, 1882) è il massimo esponente in Italia della pittura romantica, vissuto nell’epoca di passaggio tra la cultura neoclassica e quella romantica, ponendosi come il principale pittore italiano di quest’ultima corrente. Non solo: con alcune sue opere altamente simboliche e di elevato valore patriottico, come il famoso Bacio, dipinto in tre versioni Hayez è anche pittore simbolo dell’Unità d’Italia, considerato in pittura come Alessandro Manzoni è considerato in letteratura. Le sue ricostruzioni storiche veritiere, gli accenti sentimentali dei suoi dipinti romantici, il sentire politico dei suoi quadri sono elementi paragonabili a quelli delle opere letterarie di Manzoni. L’arte di Francesco Hayez, sebbene a lungo ancora impostata su valori formali di carattere neoclassico, dimostrava una sensibilità nuova in Italia nell’affrontare soggetti di carattere storico o politico, come i Vespri siciliani, dipinto ispirato a un fatto della storia d’Italia, o I profughi di Parga, che raccontava invece un fatto d’attualità. La sua arte si configurò pertanto, come ha scritto Giulio Carlo Argan, come una combinazione di “soggetto di storia medievale o romanza” e “correttezza del disegno ingresiano”.

Francesco Hayez fu indubbiamente tra i più grandi pittori di storia del suo tempo e operò proprio nel periodo in cui questo genere era uno dei mezzi più importanti per diffondere gli ideali di patria e di libertà contro il nemico invasore. Se, infatti, la sua prima fase è prettamente neoclassica, maggiormente incentrata su temi mitologici o comunque classicheggianti, nel pieno della sua maturità artistica si concentrò sul “vero” e sul “bello”. Il primo era inteso come la realtà, mentre l’altro ne era l’idealizzazione. Entrambi i valori avevano il compito di educare il pubblico-inteso non più, come in passato, l’élite intellettuale, ma tutto il popolo-a sentimenti patriottici.

Per celebrare i 1600 anni della città di Venezia, la cui fondazione è stata tradizionalmente fissata al 25 marzo dell’anno 421, Mets Percorsi d’arte, la Fondazione Castello e il Comune di Novara, con il patrocinio della Commissione Europea, della Regione Piemonte, della Provincia di Novara e di Venezia 1600, propongono nella splendida cornice del Castello Visconteo di Novara fino al 13 marzo 2022 la mostra “Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale”, curata da Elisabetta Chiodini con un prestigioso Comitato scientifico diretto da Fernando Mazzocca di cui fanno parte Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls, Paolo Serafini e Alessandra Tiddia.

Punto di partenza del percorso espositivo sono le opere di alcuni dei più grandi maestri che hanno operato nella città lagunare nel corso dei primi decenni dell’Ottocento influenzando significativamente con il loro insegnamento e i loro lavori lo svolgersi della pittura veneziana nella seconda metà del secolo, vera protagonista della rassegna.

La prima sala è dunque dedicata alla pittura di storia, considerato il “genere” più nobile della pittura, vi troviamo quattro importanti lavori di Francesco Hayez (1791-1882), tra cui lo splendido Venere che scherza con due colombe (1830, nell’immagine accanto al titolo), Ritratto di Gentildonna (1835) e l’imponente Prete Orlando da Parma inviato di Arrigo IV° di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano (1857); accanto ad essi opere di Ludovico Lipparini (1800-1856) e Michelangelo Grigoletti (1801-1870), artisti di rilievo nonché figure chiave nella formazione di autori di spessore della generazione successiva, anch’essi presenti in mostra, quali Marino Pompeo Molmenti (1819-1894) e Antonio Zona (1814-1892).

“Festa notturna a San Pietro di Castello” di Ippolito Caffi

Nella seconda sala sono esposti quegli autori, veneziani e non, che più di altri hanno contribuito via via alla trasformazione del genere della veduta in quello del paesaggio: tra questi il grande pittore Ippolito Caffi (1809-1866) con due splendide vedute veneziane: Festa notturna a San Pietro di Castello (1841 circa) e Venezia Palazzo Ducale (1858), Giuseppe Canella (1788-1847), Federico Moja (1802-1885) e Domenico Bresolin (1813-1899), quest’ultimo tra i primissimi ad interessarsi anche di fotografia e già nel 1854 indicato tra i soci dell’Accademia come “pittore paesista e fotografo”. Titolare dal 1864 della cattedra di Paesaggio, Bresolin fu il primo a condurre i giovani allievi a dipingere all’aperto, in laguna come nell’entroterra, affinché potessero studiare gli effetti di luce e confrontarsi sulla resa del vero in un ambiente nuovo e stimolante, diverso da quello cui erano abituati, per di più, codificato dai grandi vedutisti del passato.

Tra loro si ricordano Gugliemo Ciardi (1842-1917), Giacomo Favretto (1849-1887), Luigi Nono (1850-1918), Alessandro Milesi (1856-1945) e Ettore Tito (1859-1941), protagonisti della mostra.

Ottanta opere divise in otto sale per raccontare il mito della città lagunare. Partendo dal grande maestro Francesco Hayez il percorso presenta una ricca selezione delle opere più importanti – e spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private – dei più noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento.

La terza sala è dedicata ad uno dei più valenti e amati paesaggisti veneti, Guglielmo Ciardi, del quale sono esposte dodici opere che, come in una sorta di piccola esposizione monografica, partendo dagli anni sessanta dell’Ottocento documentano l’evoluzione della sua pittura fino ai primi anni novanta. Sua la magnifica Veduta della laguna veneziana (1882), immagine della mostra e altre splendide tele ambientate nei dintorni di Venezia o scorci della città come il bellissimo olio Mercato a Badoere (1873 circa).

“Alle Zattere” di Pietro Fragiacomo

Nelle sale a seguire troviamo incantevoli opere che hanno per tema la vita quotidiana, gli affetti e la famiglia dedicate alla “pittura del vero”: come Il bagno (1884) di Giacomo Favretto; Alle Zattere (1888) di Pietro Fragiacomo; Mattino della domenica (1893 circa) e La signorina Pegol (1881) di Luigi Nono; Girotondo (1886) di Ettore Tito. Sul mondo del lavoro scorrono altre opere vivaci e ricche di dettagli con protagonisti contadini, lavandaie, raccoglitrici di riso, venditori di animali, sagre e mercati, come La raccolta del riso nelle terre del basso veronese (1878) e Il mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato (1882-1883) di Giacomo Favretto; il malinconico paesaggio Verso sera presso Polcenigo (Friuli) (1873) di Luigi Nono; Lavandaie sul Garda (1888) e Raggi di sole (1892) di Ettore Tito.

E per chiudere questa triplice sezione di vita quotidiana alcune tele dedicate agli idilli amorosi, un soggetto a metà strada tra il genere e il vero molto amato e frequentato dai pittori del secondo Ottocento: al bellissimo Idillio (1884) di Luigi Nono, si aggiungono tele con indimenticabili figure di giovani fidanzati e sposi di Favretto, Tito, e di Alessando Milesi con un altro Idillio (1882 circa) e Corteggiamento al mercato (1887 circa).

La settima sala è interamente dedicata a Luigi Nono e offre un focus su una delle opere più celebri del pittore, il Refugium peccatorum. Oltre alle redazioni del 1881 e del 1883, grandi tele condotte ad olio, sono esposti studi, disegni ed altre significative opere di confronto, come Le due madri (1886).

L’ottava e ultima sala della mostra è invece dedicata alle opere realizzate dai medesimi artisti tra la fine degli anni novanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, tele di ampio respiro che riflettono il rinnovamento e il cambiamento di gusto indotti nella pittura veneziana dal confronto diretto con la cultura figurativa dei numerosi pittori stranieri che partecipavano alle nostre Biennali Internazionali d’Arte. Spiccano Il Bucintoro (1902-1903 circa) di Guglielmo Ciardi; Visione antica (1901) di Cesare Laurenti; Luglio (1894) e Biancheria al vento (1901 circa) di Ettore Tito. Una mostra dunque ricca di opere importanti e di grande bellezza con un percorso molto godibile che racconta Venezia e l’evolversi della pittura italiana dalla metà alla fine dell’Ottocento, verso i fermenti che caratterizzeranno i primi del Novecento.

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