Luca Fortis
La polveriera mediorientale

Nella crisi libanese

Incontro con Misbah Ahdab, politico libanese molto attivo sia nel suo paese sia in Europa: “La comunità internazionale continua a scegliere le persone sbagliate da appoggiare. Occorre puntare sui leader onesti con una visione concreta per il futuro. E dirlo a tutti. Anche ai libanesi»

La situazione libanese è sempre più complessa e non è facile prevedere come evolverà. Per comprendere meglio cosa sta accadendo ne parliamo con l’ex deputato indipendente di Tripoli, eletto nel collegio sunnita, Misbah Ahdab. Ahdab è nato il 1 aprile 1962. Laureato in Economia e Management, è stato nominato Console Onorario di Francia nel 1992. Membro del Parlamento libanese dal 1996 al 2009. Ha partecipato alla firma della Convenzione di Bristol che chiedeva la partenza delle truppe siriane dal Libano nel 2005. Fondatore/Presidente dell’ONG “Izdihar” nel 2008. Ufficiale dell’Ordine Nazionale al Merito della Repubblica Francese e Cavaliere dell’Ordine della Repubblica Italiana.

Come deve cambiare il Libano?

Il nuovo Libano deve essere fatto da cittadini, non deve essere ostaggio di sette o religioni. Nessuno dovrebbe chiedere di che religione sei. Per cambiare il paese è però fondamentale avere un programma politico vero e degli attori capaci di gestire un rinnovamento profondo della classe politica e burocratica libanese. Inoltre, servono elezioni libere, senza i consueti brogli elettorali. Tutto questo, dopo la rivoluzione di due anni fa, ancora non è accaduto.

Misbah Ahdab

Nell’ottobre 2019, ha partecipato a una protesta popolare tenutasi a Tripoli. Quel giorno ci fu una sparatoria e in seguito due delle sue guardie del corpo sono state accusate di avere sparato sulla folla, ferendo sei persone e uccidendo due manifestanti. Cosa è accaduto?

In Libano appena tenti di cambiare le cose hanno la tendenza ad accusarti con accuse false. All’inizio della rivoluzione mi hanno accusato di essere collegato a una sparatoria che era avvenuta contro la folla che protestava, accusa assolutamente falsa. Tanto che il giudice che avrebbe dovuto seguire il caso aveva scritto su Facebook che mi voleva arrestare ancora prima che mi avesse interrogato. Per fortuna ho i nervi saldi e ho mantenuto la calma. Per quanto al tempo fossi ancora deputato, non ho mai avuto alcuna milizia e sono riuscito a dimostrarlo. Purtroppo sono altri i politici che hanno milizie armate in città e che creano spesso problemi. Hanno montato delle strutture paramilitari che sono sostenute da militari, dai servizi speciali e securitari. Tutte le sere ci sono persone a Tripoli che sparano per far paura alla gente e nessuno li ferma. Sono persone che hanno permessi per girare armate e spostarsi liberamente.

Il governo lo sa?

Il governo sa benissimo chi sono, anzi, invece di aiutare i moderati, aiuta i gruppi estremisti. Questi gruppi salafiti jihadisti vengono da fuori, non appartengono al Dna della città. Chi conosce la storia di Tripoli sa che non ci sono mai stati prima. Abbiamo avuto cinque secoli di occupazione ottomana, basta leggere tre libri per scoprire che qui si pratica il sufismo. I salafiti sono finanziati attraverso libanesi che hanno legami con paesi stranieri.  Lo stesso premier Mikati ha avuto uno scandalo al riguardo, il responsabile per il Comitato per le Urgenze, che era in prigione, ha ammesso che Mikati, nel periodo in cui era già stato primo ministro, gli aveva chiesto di finanziare gruppi di combattenti a Tripoli. Quest’ammissione non ebbe alcuna conseguenza, ma purtroppo i giudici in Libano sono nominati dai politici in base a quote religiose e di clan. Motivo per cui non toccheranno mai chi li nomina. I politici di Tripoli si sono adeguati a questo sistema e tutti i gruppi estremisti salafiti sono legati ai partiti sunniti e ai servizi di sicurezza. Inoltre, hanno creato un sistema di aiuto popolare in cui danno derrate alimentari alle persone in cambio di voti. E se a qualcuno non piace questo sistema lo fanno imprigionare. Vogliono trasformare Tripoli in una città estremista. 

Ma per fortuna qualcuno comincia ad accorgersene, l’opinione pubblica comprende che i salafiti non fanno parte della storia e dell’anima della città.

Cosa è accaduto a ottobre, a Beirut, con la sparatoria contro Hezbollah?

Le manifestazioni di Hezbollah contro Tareq Bitar, il giudice che si occupa delle indagini sull’esplosione del porto di Beirut erano per modo di dire pacifiche. I manifestanti erano armati e avevano danneggiato alcune macchine e alcuni negozi. Hezbollah pretende le dimissioni del giudice, di cui teme la fama di imparzialità e lo minaccia. Il partito sciita aveva già fatto dimettere il giudice precedente, perché ha paura del risultato dell’inchiesta. Mentre i manifestanti armati protestavano nelle vicinanze del Tribunale, dei franchi tiratori gli hanno sparato addosso, uccidendo alcuni dei manifestanti armati. La tragedia non è solo per le morti, ma anche nel fatto che i franchi tiratori hanno attratto la simpatia di molti libanesi che pensano che, l’unico modo di confrontarsi con Hezbollah, sia scendere al suo livello. Se Hezbollah invade le strade della città con le armi ben in vista e impedisce le manifestazioni che non ama o cerca di impedire un processo, manifestando con armi al seguito, alcuni cominciano a pensare che l’unica risposta possibile sia imbracciare anche le loro i fucili. Questa spirale di violenza, è pero un terreno molto pericoloso.

Hezbollah ha accusato della sparatoria il partito cristiano delle Forze Libanesi e si trova in difficoltà, perché essendo alleato con l’altro fronte cristiano, quello del presidente Aoun, non può permettersi di sparare su dei cristiani. Il partito sciita ha però chiarito che ha un esercito di cento mila persone, che farà le sue indagini, e poi darà i risultati allo stato Libanese, perché agisca. Ma questo non è normale. In un vero stato, le indagini dovrebbero farle le forze di sicurezza dello stato e la magistratura, non l’esercito privato di un partito politico.

Come cambiare la situazione?

Però per cambiare serve un programma e degli attori capaci di portarlo a compimento. Tutti sanno chi è corrotto e chi no. Purtroppo dopo la rivoluzione i sistemi di sicurezza hanno avvelenato i pozzi creando dei gruppi rivoluzionari che in realtà sono legati al vecchio potere. Stanno tentando di replicare quello che è accaduto in Egitto, Siria e Tunisia. La soluzione è selezionare chi, tra i gruppi rivoluzionari, ha veramente un programma chiaro e trasparente e creare un’alleanza tra di essi. Bisogna evitare ogni alleanza fatta tra partiti o gruppi con programmi poco chiari o trasparenti. Non è vero che il Libano è diviso in gruppi religiosi. Oggi il paese è diviso in due, esiste il Libano laico, multi-religioso, aperto al turismo e agli investimenti internazionali. Poi esiste un secondo Libano quello di Hezbollah, quello dei conflitti internazionali, della guerra con Israele. Hezbollah che ha un piano preciso, quello dell’Iran. Il leader di Hezbollah decide in realtà tutto, anche il presidente cristiano maronita Aoun in realtà è nelle sue mani. Purtroppo oggi non c’è nessuno che riesce a tenergli testa, anzi chiunque potrebbe farlo, viene fatto fuori. Abbiamo anche capito che non possiamo contare sulla comunità internazionale che continua ad appoggiarsi su vecchi leader dei vari gruppi religiosi, ma questi non rappresentano più la maggioranza dei libanesi. Eppure nel paese ci sono persone straordinarie che hanno deciso di rimanere.

Lei ha deciso di rimanere, perché?

Ho deciso di restare e ho conosciuto tanta gente che ha perfino deciso di tornare per salvare il paese. Ma la comunità internazionale non ci aiuta. A Tripoli più di 120.000 persone sono scese in piazza per chiedere il cambiamento e questo ha disturbato molti. Per guidare questa energia popolare servono però dei leader nazionali che abbiano credibilità, che non siano corrotti e che prendano in considerazione un programma fatto da tecnici di riconosciuta credibilità.

Purtroppo, però la comunità internazionale, in primis la Francia di Macron, hanno puntato tutto su personalità come Hariri e ora su Mikati, che è implicato in tantissimi scandali nazionali e internazionali. Quando la comunità di fatto punta su una soluzione simile, l’unica possibilità è opporsi e puntare tutto su una coalizione che si presenti alle prossime elezioni parlamentari unendo solo i soggetti politici che abbiano un programma politico chiaro, netto e compatibile tra loro.

Bisogna che la comunità internazionale punti su chi chiede un cambiamento reale e che i giornali stranieri li raccontino. Se questo non accadrà, i libanesi finiranno per lasciare il paese ed emigreranno in Occidente. È interesse occidentale creare stabilità in Libano, anche per garantire lo sfruttamento del gas e del petrolio. È possibile, se non ci credessi, non starei nemmeno qua, certo non è facile. Nonostante sia stato tre volte deputato e Console Onorario di Francia, non ho alcuna protezione. È un modo per dirti: “Va via!”. 

In questa fase è fondamentale trovare alleati all’estero, bisogna lavorare con i giornali stranieri e con i social media. Io non sono affatto contro l’Occidente, ho il passaporto francese e la mia famiglia vive a New York, però davvero penso che la politica di Macron per il Libano sia disastrosa e nefasta anche per l’Occidente. 

Come vincere elezioni in un paese in cui si garantisce aiuto sociale in cambio di fedeltà politica?

Nel 2018 ho provato a creare anch’io una struttura di aiuto sociale legata alle persone che si sarebbero occupate della mia campagna elettorale. Ho stipulato più di 400 assicurazioni sanitarie e le ho intestate a persone che conoscevo per legami famigliari. Tutte persone che mi aiutavano ad organizzare la campagna elettorale. Pochissime di loro hanno potuto votare perché sono state minacciate dalle forze di sicurezza con minacce del tipo “il tuo negozio non ha tutti i permessi possiamo fartelo chiudere” e altre simili. Non ti permetteranno mai di minacciare il loro sistema. 

Hezbollah in primis usa questo sistema.

Hezbollah ha perfino esportato in Siria del petrolio sovvenzionato dal governo libanese che costava, grazie alle sovvenzioni, tre dollari al barile, rivendendolo in Siria a 16 dollari, guadagnando così sulla differenza. Guadagno spartito tra il regime siriano ed Hezbollah stessa che lo ha usato per sovvenzionare i suoi combattenti che sono pagati 700 dollari al mese. Il risultato è che mentre, dopo la crisi, il salario dei soldati libanesi è stato portato da 700 dollari a 30, quello dei combattenti di Hezbollah è rimasto a 700. Questo grazie alle sovvenzioni che il governo libanese assicurava sulla benzina e al fatto che invece di venderla ai libanesi, Hezbollah la esportava e vendeva illegalmente in Siria. Non si può continuare a mantenere un esercito privato, dipendente dall’Iran a danno dei libanesi. 

Che fare?

Bisogna parlare con l’Iran per fermare questa situazione, bisogna fargli capire che rispettiamo gli sciiti e l’alleanza con l’Iran, ma che loro devono rispettare tutti i libanesi. Per ora ci sentiamo abbandonati dall’Occidente. L’Occidente sa come la pensano i libanesi, io stesso ho scritto una lettera aperta a Macron. Il problema è che i leader occidentali ormai pensano solo alle scadenze elettorali. La loro debolezza è cercare successi rapidi, per interessi elettorali, con potenze come l’Iran, che hanno strutture politiche dittatoriali e rigide, che quindi sanno aspettare e puntano su risultati nel lungo termine. Queste potenze strumentalizzano i governi occidentali e il loro bisogno di vittorie rapide da spendere subito in successi elettorali.  Bisogna poi rimettere in gioco l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo che in questa fase si sentono esclusi dalle politiche occidentali nella regione. 

I paesi del Golfo si stanno aprendo e allontanando dalle ideologie islamiste, in Libano chi finanziano?

I paesi del Golfo qui purtroppo sono ancora legati ai salafiti, li stessi paesi che però al loro interno si sono molto allontanati da questi gruppi e stanno riformando la società. Ma in Libano non è ancora accaduto per colpa del conflitto latente con l’Iran e della politica confusa dell’Occidente.

Che attività sociali sta portando avanti ora?

Abbiamo deciso di fare varie attività sociali. A Tripoli ci sono due Università, quella araba e quella cristiano ortodossa, che si chiama Balamand e ha un board americano. Per conservare le diversità culturali e religiose della città, abbiamo deciso di collaborare con l’università ortodossa, che sta cooperando tantissimo. L’idea è di fare soccorso popolare, per evitare che la stessa gente finisca in mano agli integralisti islamici. Nel breve termine vogliamo fare dei progetti di micro credito e nel lungo termine dei progetti di sviluppo per la città, che avendo un centro storico tra i più belli de Libano, un porto, due teatri e molto di più, ha tutto per rinascere socialmente ed economicamente. Bisogna evitare che la gente finisca nelle mani degli integralisti o emigrino all’estero. Per ora il governo e la comunità internazionale non fa altro che favorire queste due opzioni.

Che politiche propone per il rilancio del paese?

Bisogna in primis capire quale sia il debito pubblico reale. I dati per ora sono del tutto contraddittori. Poi bisognerà individuare i responsabili di questi debiti. Siccome i reali responsabili non stanno pagando, pagano le persone che hanno i soldi in banca, che sono stati congelati. Bisognerebbe poi smettere di stampare moneta per evitare l’inflazione. Quello che stanno tentando di fare è invece di rimanere a galla fino alle elezioni parlamentari e poi tentare di fare accordi regionali, anche con Israele, per estrarre il petrolio e il gas, al confine Sud. Tutto questo potrebbe avere un senso, se ci fosse un ricambio reale della classe politica e finalmente delle riforme che permettano al Libano di divenire un paese normale. Non possiamo trasformare una nazione sviluppata come il Libano in un paese povero e in mano a clan e potenze internazionali. Servono poi riforme del settore energetico e bancario. Il Libano necessità di privatizzazioni, ma con contratti trasparenti e davvero a favore della gente. Bisogna evitare che si vendano le aziende di stato agli amici degli amici. Purtroppo la burocrazia libanese è quasi totalmente corrotta, fatta da funzionari pubblici assunti solamente per affigliazione politica. Bisogna poi risolvere il gravissimo problema del conferimento dei rifiuti.

Quante sono le possibilità di riuscirci?

Confucio diceva che dove c’è caos, c’è opportunità. Il vecchio sistema clientelare in questo momento rischia davvero perché abbiamo toccato il fondo. In più il mondo è cambiato, siamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale, sono i giovani che avranno le idee. Ma le idee da sole non bastano. C ‘è bisogno di organizzazione, di strutture politiche nuove che sappiano trasformare le idee in strutture che possano sconfiggere i network clientelari dei vecchi partiti corrotti. Partiti che poi purtroppo hanno anche organizzazione militari, Hezbollah in primis. Fazioni che per altro hanno la pretesa di rappresentare i gruppi religiosi. Questi gruppi se ne fregano della volontà della maggioranza dei libanesi. Continuano a parlare di fare la guerra a Israele, sapendo benissimo che Israele ha normalizzato i rapporti con metà dei paesi della regione. Non si tratta di fare la guerra a Hezbollah, ma di trovare un modus vivendi, in cui la si obblighi a rispettare la volontà della maggioranza dei libanesi togliendole la capacità di trascinare il paese in guerra con i vicini. Però per farlo ci dovrebbe essere una volontà internazionale di contenere Hezbollah. In generale, l’esercito libanese, dovrebbe proteggere la maggioranza presa in ostaggio dalle fazioni, non certo le fazioni armate o violente.

Le autorità religiose possono giocare un ruolo?

Le autorità religiose nel paese sono purtroppo completamente manipolate dalle autorità politiche. Rispetto le autorità religiose, ma il Libano deve essere laico. Purtroppo le autorità religiose liberali sono state messe da parte, e il Mufti e le altre autorità sunnite della città, prendono soldi dai politici e hanno perso ogni autorità. Al Libano serve poi una decentralizzazione, non una federazione tra mini stati religiosi, ma una decentralizzazione laica in cui i diritti siano uguali per tutti. Sono cento anni che siamo libanesi e che viviamo insieme, mi sento a volte più vicino ad amici non sunniti, che con estremisti sunniti. Il federalismo qui non funzionerebbe, il federalismo lascia al governo centrale solamente la difesa e la politica estera, due cose che sarebbe impossibile fare con Hezbollah che detiene un esercito privato che fa il bello e il cattivo tempo. All’Inizio, con Rafiq Hariri, il padre di Sa’d, si discuteva se si voleva fare del Libano “un Vietnam o Hong Kong”. Se volevamo fare resistenza all’occupante israeliano o aprirsi al turismo e agli investimenti esteri. Non si devono costruire micro stati religiosi, sarebbe un nonsenso. Per altro i libanesi di una certa religione, non votano sempre in modo prevedibile. Guardate i cristiani, di cui la parte del presidente Aoun sta con Hezbollah e un’altra è contro e sostiene o vecchi partiti anti Hezbollah o i nuovi movimenti legati alla società civile. Anche i sunniti, oggi non sono un monolite.

L’Islam è parte della tradizione giudaica cristiana, fa parte della stessa famiglia. Per altro nasce e si diffonde in gran parte dei vecchi territori dell’Impero Romano, di cui anche esso è di fatto un erede. L’integralismo islamico di oggi dove nasce? 

Sicuramente l’Islam è parte della tradizione giudaica cristiana, fa parte della stessa famiglia ed è nato ai confini dell’Impero Romano e si è diffuso in gran parte dei suoi territori del Sud, di cui è sicuramente uno degli eredi, basta vedere le moschee e città omayyadi per rendersene conto. L’integralismo di oggi è una interpretazione sbagliata, l’Islam, come dimostra la sua storia millenaria, è una religione liberale, molto lontana dagli estremismi predicati da alcuni negli ultimi decenni.

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