Giuliano Compagno
Al Parco della musica di Roma

Il suono di Montalti

Prima esecuzione assoluta per “The smell of blue Electricity” di Vittorio Montalti. Un concerto di percussioni e intuizioni nel quale i confini della musica si allargano alla pura percezione sonora. L'eco della quotidianità si mescola al ritmo del pensiero

Della radice etimologica di percussione vale più di ogni altro senso il prefisso del latino percutere. Quel per sta infatti a sottolineare l’intensità e la continuazione dell’atto. Da qui inizierei per annunciare che questa sera alle 19:00, presso il Teatro Studio Borgna dell’Auditorium Parco della Musica in Roma, avrà luogo la prima esecuzione assoluta di The smell of blue Electricity. È un Gran Finale che Romaeuropa Festival ha voluto dedicare a Vittorio Montalti, che per l’occasione ha scritto un pezzo strumentale di oltre cinquanta minuti, suddiviso in cinque quadri di differenti proporzioni.

Montalti lo presenta come una drammaturgia puramente musicale, con ciò sottolineando il continuum della sua composizione. Non sembri strano che abbia domandato all’autore quale fosse la storia di questo suo ultimo lavoro: «Forse non lo so esattamente, ma di sicuro sono coinvolti degli stati d’animo che insieme hanno dimorato dentro di me in questi ultimi anni: la coscienza, una rilettura del mondo, l’amore, la solitudine… In quel periodo stavo leggendo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury ed ero turbato tanto dalla consapevolezza del protagonista quanto dalla sua volontà di cambiare il corso del tempo.» Vittorio Montalti è esattamente questo carattere di artista, che incede tra la realtà e la sua crisi, e in questa circostanza lo fa immergendosi nell’essenza indiscernibile che è data dall’elettronica.

L’esecuzione del progetto è il frutto di un lavoro comune e serrato tra Montalti e “Blow Up Percussion” (Flavio Tanzi, Aurelio Scudetti e Luca Giacobbe e Pietro Pompei… tra loro una gara di talenti) e viene presentato come un progetto musicale che intende “rompere i limiti dell’esecuzione musicale per esplorare un contatto più diretto con il pubblico”. Quanto alla regia del suono, è “Tempo Reale” (Damiano Meacci) a dirigerla con impareggiabile sensibilità. I set strumentali, per il 90% in metallo (freni a disco delle automobili, lastre, tam tam, padelle da cucina, pezzi di metallo), dialogano con i suoni del sintetizzatore e con quelli percussivi. Il tutto viene disposto, utilizzato e posizionato secondo criteri concordati ma è nel suonare che intervengono quegli aggiustamenti necessari a ricomporre il definirsi del concerto.

La musica di Vittorio Montalti, 36 anni, già “Leone d’Argento per la Creatività” alla Biennale di Venezia e premio “Una Vita nella Musica” del Gran Teatro La Fenice, è stata commissionata ed eseguita in molte istituzioni italiane e straniere, dal Regio di Parma al Costanzi di Roma e al Maggio Fiorentino, da La Fenice al Festival della New York Philharmonic, dall’IRCAM-Centre Pompidou alla Sinfonieorchester Orchesterzentrum NRW. Un compositore di caratura internazionale che negli ultimi anni ha già scritto e rappresentato quattro opere inedite, tratte da Georges Perec e da Carlo M. Cipolla o liberamente ispirate a frammenti biografici di Gioachino Rossini e di Ennio Flaiano.

E ad esempio le astrazioni de Le leggi fondamentali della stupidità si rintracceranno nella dimensione onirica del concerto di stasera, con le sue variazioni e i suoi labirinti, senza che respiro alcuno freni il movimento delle percussioni o il suo accordarsi su dimensioni continuamente cangianti. C’è naturalmente la poetica di un compositore che, nel caso di Montalti, è più corretto immaginare come una traccia di pensiero lungo la quale egli si libera, rinasce, si sfoga con grande forza, scandisce il suo tempo. Se vi è un elemento che distingue le opere di Vittorio Montalti, esso è nel suo trattenersi coerente su di un filo dove procedere anche a costo di vacillare. E così ogni drammaturgia musicale non ha mai perduto contatto con la sua formazione artistica, con i Maestri, con gli ispiratori ma anche con quelle novità creative con cui egli coglie una certa prossimità. La definirei “umiltà artistica”, tenuto conto che nulla di suo rimanda a una benché minima improvvisazione dell’impianto narrativo. Ed è il medesimo fluire che gli spettatori, stasera, sentiranno scandito in The smell of blue Electricity, come se dare il tempo a se stesso sia condizione del principio. Il sentire del pubblico presente a questo spettacolo imperdibile è stato forse ben descritto in Filosofia della Musica, un saggio del 1991 di Giovanni Piana, allievo di Enzo Paci e secondo Remo Bodei “uno dei più acuti e originali filosofi italiani”: “Ora – scrive Piana – noi parliamo del silenzio mormorante come di un fondale sonoro disposto, per così dire, oltre il fondale visivo, un poco più lontano, appena avvertito o non avvertito affatto. Questo secondo fondale, apparentemente privo di qualunque importanza, realizza invece anch’esso, come il fondale visivo, una delimitazione della scena che è essenziale per conferire a essa la sua vitalità interna. Proprio in forza di questo remoto avvolgimento sonoro, ciò che accade sulla scena ci appare vivamente presente.” Può accadere che, nel parlare di noi, qualcuno anticipi il nostro avvenire.

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