Daniela Matronola
A proposito de "Le Anime Gemelle”

Il simile e l’uguale

Il nuovo romanzo di Emiliano Gucci si apre con l'immagine di un capriolo in fuga da un incendio: è la metafora di un mondo di umani bruciati dalle passioni che hanno bisogno di immergersi in un universo d'acqua per "spegnersi" e - così - riuscire a sopravvivere

Diciamocela tutta: l’inquadratura in assoluto più suggestiva, denotazione e connotazione insieme, di The Queen è l’apparizione dal nulla del cervo con la sua aria struggente, lo scintillio del tartufo, lo sguardo tutto nei globi neri attraversati dal lampo quando incrocia lo stupore di Elisabetta II, i palchi maestosi – è una presenza reale, nei boschi intorno a Balmoral, ma l’estensione simbolica è propria dell’apparizione: il cervo che sbuca all’improvviso, noi lo capiamo dentro di noi, è, o meglio “sta per”, Lady D, Diana, valore simbolico rinforzato poi dalla visione misera del maestoso animale abbattuto.

E ancora, indimenticabili e proverbiali sono ormai le fiamme che avvolgono le foreste attorno a Great Falls nel Montana dove Joe ragazzino si trasferisce con la famiglia e mentre suo padre deve vedersela con gl’incendi del titolo (nel romanzo del 1990 ambientato dall’autore, Richard Ford, nel 1960) ben altro accade a casa: vicenda di uomini, e di padri e figli, in cui le donne e le madri sono presenti però la bilancia pende decisamente dal lato maschile: il mondo messo sotto i nostri occhi è maschile.

Bene: ne Le Anime Gemelle di Emiliano Gucci, pubblicato da Feltrinelli nella collana Narratori (245 pagine, 17 euro), ci imbattiamo subito in un capriolo in fuga, semicarbonizzato in un furioso incendio, ed è il primo, rovinoso nesso che si stabilisce tra Fausto e Franco, gemelli oramai distanti nella vita, figli maschi rimasti legati all’anziano padre. Un nucleo familiare che includeva una madre ma oramai è tutto raccolto attorno ai tre uomini, e radicato in un contesto rurale di fatica e arretratezza che, mentre sembra promettere un ecologico ritorno alla natura agli ospiti agrituristi, consiste in realtà in fatica e neppure troppo velato abbrutimento.

In molti momenti durante la lettura, specie per tutta la prima metà del libro, suddiviso in 6 parti, più una settima chiamata ZERO, ho irresistibilmente pensato a un film del 1971 diretto e interpretato da Paul Newman, in cui il patriarca ha i tratti imperturbabili di Henry Fonda, il fratello è  Michael Sarrazin, il fratellastro è Richard Jaeckel, l’unica presenza femminile, in minoranza nella  economia della storia, è Lee Remick: il film è Sfida senza paura (Sometimes a Great Notion), sceneggiatura (da un suo romanzo) di Ken Kesey, lo stesso di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Piena American counter-culture, un nido di chiaro dominio maschile, una famiglia di boscaioli, una realtà aspra e spietata, in cui le donne sono incidentali: proprio ciò che quel film e questo libro sembrano indicare.

Bene, fuoco e acqua nel corso della narrazione sono le impronte simboliche, oltre che gli elementi naturali reali, che accompagnano anzi intridono ciò che accade. Senza che io qui lo riassuma (perché i libri vanno letti, sia per vivere le suggestioni che suggeriscono, sia per attraversare i fatti che essi raccontano, costruendo una poetica che non può essere maldestramente smontata), ciò che accade ha un suo nodo preciso e lasco da cui tutto si muove: una relazione franosa da cui ciascuna delle parti deve distanziarsi per riesplorare la dualità da cui ciascun proviene (qui avrei potuto sfoggiare una bella e modaiola schwa, ma si tratta proprio di una delle attuali cecità in voga cui non intendo soggiacere). Dualità nel senso di gemellarità. Questa la biunivocità sociale che fa incursioni nelle comunità smosse anzi scosse da questo romanzo: i gemelli omozigoti, perfettamente intercambiabili, Fausto e Franco; le gemelle eterozigote, facilmente distinguibili perché molto diverse, Bianca e Azzurra; e una serie d’altre gemellarità secondarie che corroborano questa costante circonstanziale e tematica.

Tuttavia, ciò che emerge sulla distanza, per metterla in termini shakespeariani, dunque lievi, è la guerra dei sessi, ma in termini meno ciecamente allegri (fatte salve le schermaglie, che sono un po’ il sale d’ogni relazione: ravvicinata come distante) lo sviluppo della storia pone una questione di riequilibrio e risarcimento: per un gemello che, sempre più abbrutito, viola ogni patto umano, c’è il gemello corrispondente che prende su di sé il fardello di risarcire le parti lese con un gesto di auto-lesionismo – che ha il sapore di un sacrificio da cui tornare come novello Lazzaro. Remotamente, sono beneficiarie di questo riscatto non solo simbolico persino le madri, dei gemelli come delle gemelle. Queste ultime (una delle due, Bianca, è la metà della coppia di partenza cui nel finale si torna) sono invischiate in una fame d’amore che è in realtà più giustificata dagli schemi di una quadriglia che da esigenze radicali.

È significativo (e continuo a non riassumervi perché) che il capitolo finale sia stato chiamato ZERO. Per ricominciare, per ridare linfa a qualcosa che si è svuotato dall’interno, prosciugato da richiami di sirene esterne insistenti e annichilenti cui per ragioni genetiche non si può e non si sa resistere, ciascuno deve tornare a un grado zero del proprio senso del vivere con tutte le ferite, visibili come invisibili, che nel percorso sono state (auto)inferte. Il contesto piovoso, acquogeno, in cui si svolge il volontario sacrificio maschile, e il ritorno dell’immagine d’apertura, il capriolo in fuga dalle fiamme del devastante incendio doloso che viene a stramazzare proprio ai piedi di questa umanità ambigua, chiudono il cerchio di un racconto che ha una costante qualità ombrosa: nulla a che fare col noir o col gotico, mentre tutto richiama uno sfondo amaro e per nulla limpido di certi drammi di Tennessee Williams, poi ancor meglio resi nella qualità miasmatica delle versioni cinematografiche.

Sia chiaro, questo romanzo si svolge ora, e ciò che qui convince è la presa diretta e soprattutto l’agile passaggio molto ben sorvegliato dalla prima alla terza alla seconda persona con una soluzione di continuità che fa giustizia, finalmente, del senso profondo di questa espressione come della gentile e accorta padronanza da parte dell’autore, Emiliano Gucci, della “gestione”, o felice maneggiamento, delle “persone” narranti.

Mi pare di poter concludere che la coralità delle voci narranti, la compresenza di elementi fisici radicali nella natura che prova a fare capolino nelle vicende di questi umani che bruciano e bisogna vengano allagati per poter spegnerne i furori, il richiamarsi gli uni agli altri dei gesti e delle parole tra una comunità e l’altra con un significativo equilibrio tra ciò che a ciascuna accade senza che l’altra se ne avveda se non alla fine, creano in questo romanzo uno spazio di espressione su come la società ora contenga tutte le sue componenti in una coabitazione di elementi discordi che provano a capirsi e a convivere raschiando il fondo della civile e amorevole coesistenza. In teoria, saremmo tutti “anime gemelle”, a meno però di molte gravi e reciproche incomprensioni e di molte rispettive e insuperabili difficoltà: come in un noto e più asciutto aforisma di Oscar Wilde.


La foto accento al titolo è di Roberto Cavallini

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