Gianni Cerasuolo
Un appello ai vertici della Rai

Nessuno tocchi Upas!

Upas è l'acronimo di "Un posto al sole", la più antica e nobile soap italiana. Dopo venticinque anni, la Rai vorrebbe spostarla al pomeriggio per fare spazio all'ennesima vetrina di presunto approfondimento giornalistico. Calpestando un pezzo della nostra storia

Giù le mani da Un posto al Sole. Non bastassero i canali tv che non stanno più dove devono stare, le partite di calcio per le quali devi fare dei giri immensi per vederle. Non bastassero TIM Vision e le cantatine insopportabili di Mina quando fai il 187. Non bastasse la rotellina di Dazn. Non bastassero la guerra per l’eredità degli Agnelli, Ambra piantata da Allegri, l’idea di   Berlusconi al Quirinale, i “no green pass” di Trieste, ecco che arriva un’altra bella notizia per noi fans un po’ démodé: la Rai vuole togliere dalla prima serata di RaiTre, anzi dall’access prime time, come dicono quelli istruiti, la soap italiana più vecchia, e metterla in un orario improbabile, verso le 18,30, quando sei fuori casa, in un cinema, o rientri dal lavoro, oppure «nonno, vai a prendere il pupo al basket?». E il pupo misura già 2 metri e gioca pivot. 

Un orario scelto apposta per mortificare noi e loro, pubblico e protagonisti, secondo le notizie fornite per primi da Dagospia. Perché i capoccioni di Saxa Rubra hanno stabilito che al posto del Posto ci deve andareLucia Annunziata con un’altra striscia informativa e politica. In un orario affollatissimo di altri programmi del genere con la Gruber e la Palombelli, oh mon Dieu, mon Dieu de la France…, che già si scannano l’una contro l’altra. E che fanno in genere la metà degli ascolti dello sceneggiato (la media della soap è più o meno 1 milione ed 800 mila spettatori, intorno al 7 % di share).

C’è stata una sollevazione dei telespettatori che seguono le storie che scorrono tra Palazzo Palladini, il Caffè Vulcano e la Terrazza, dalle parti di Posillipo. L’immancabile appello, di attori e scrittori questa volta. Articoli e interviste su siti e giornali. Perfino un’interrogazione parlamentare. Insomma, la solita tiritera che avviene in questi casi. E a suo modo anche questo articolo è un appello: di un innamorato tradito. Pare così che Fuortes e Di Mare, il direttore napoletano di RaiTre, ci stiano ripensando (e non credo per i giramenti degli aficionados): l’ipotesi del tardo pomeriggio forse è stata cancellata, si parla di uno spostamento alle 20,10 sempre sulla terza rete (e che fine farebbe Blob?), oppure di mantenere l’orario delle 20,45 ma spostando la soap su RaiDue (e con il talk del Tg2 come si fa?).

Non si riesce a stare tranquilli, signora mia.   

La mia dipendenza dal Posto al sole è recente: ho solamente dieci/undici anni di visioni serali di Upas, che sarebbe Un posto al sole abbreviato. Prima, quando nacque, 25 anni fa, schifavo il Posto e non perdevo occasione per prendere in giro il mio caro cugino, milanesissimo, ciabatte e vestaglia rigorosamente nerazzurre come la sua fede nell’Inter, il quale trascorse un periodo della sua vita a casa dei miei genitori a Pozzuoli. Ebbene, Gianclaudio non si perdeva una sola giornata del programma e quando non riusciva a rientrare a casa in tempo (agli inizi Upas andava in onda nel tardo pomeriggio), mi chiedeva di registrare la puntata sulla videocassetta. Non c’era ancora RaiPlay. In cambio ForzaInter a Natale mi portava panettoni artigianali, madonnina che bontà, prima che i falsi panettoni artigianali riempissero gli scaffali dei supermercati e sapessero come tutti gli altri. Costano soltanto di più.

Trattavo mio cugino con presunzione nello stesso modo di quelli che continuano, oggi, a fare dei sorrisetti sarcastici, il labbro superiore appena alzato, quando confesso il mio amore per gli inquilini di Palazzo Palladini, per Raffaele Giurdàn e Renato Poggi, per Serena e Rossella, per Arianna e Silvia, per il comandante Del Bue, suo figlio Vittorio e Michele Saviano. Il sorrisetto diventa quasi un ghigno quando rivelo in aggiunta il peccato dei peccati: appassionato di calcio e tifoso sfegatato, inutile dire di quale squadra, che non vuole perdersi la partita. E che prima del Covid si sedeva anche allo stadio. A questo punto il responsabile del cambiamento climatico è uno solo: io.

Mi guardano, quelli che mi commiserano, dall’alto della loro cultura, del loro posto a teatro, delle loro serie di Netflix, delle loro Case di carta, dei loro Squid Game. Sono gli stessi che videro (e continuano a sbirciare) Beautiful ma dovevano fare gli schizzinosi di sinistra anche allora, e quindi negavano scappatelle con la soap di successo. Tuttavia finirono come Renato Carpentieri e Nanni Moretti in Caro Diario che urlavano sullo Stromboli:«Sally aspetta un figlio, il marito lo sa o no?…».

Scoprii il Posto quando lavoravo in Calabria, tra il 2010 e il 2012. Il Tg regionale, inutile e piatto come in quasi tutte le edizioni dei telegiornali locali Rai da Torino a Palermo, e che dovevo comunque mandar giù, mi portava a Blob di Enrico Ghezzi e di lì il passo era breve: tra le 20,30 e le 20,45 partiva la sigla dello sceneggiato. La stessa dalla prima puntata del 21 ottobre del 1996. Cominciai a leggere un po’ di cose: ad esempio, che gli ascolti della soap tutta italiana, nata da un’idea di Gianni Minoli – che aveva stravolto e riadattato una serie australiana ambientandola a Napoli, evitando la chiusura del Centro di produzione Rai napoletano, almeno così lui dice – erano a volte più alti al Nord. Come se tanti baùscia, tanti Gianclaudio, stessero lì davanti alla tv mentre consumavano la cena curiosi di vedere quello che succedeva sulla collina di Posillipo. Forse erano solo terroni trasferiti, o figli di. Forse erano dati falsi.

Appresi anche che negli studi della Rai che sono a fianco dello stadio Maradona, a Fuorigrotta, dalla parte della Mostra d’Oltremare (il luogo dove, dopo la pandemia, vengono girati adesso quasi tutti gli esterni del programma) si erano succeduti nel corso degli anni attori (e registi) di un certo nome, come Ivo Garrani, Ida Di Benedetto, Serena Rossi, Serena Autieri, Francesco Paolantoni (e dietro le telecamere Stefano Sollima e Gabriele Muccino). E chissà, anche altri che mi sfuggono ora. Ritrovai vecchie conoscenze: Marzio Honorato, ad esempio, che a stento riconobbi dopo averlo visto e rivisto nella più celebre versione televisiva di Natale in casa Cupiello. Lui faceva Vittorio Elia, l’amico di Nennillo, l’amante di Ninuccia, il giovanotto che è indifferente al presepe allestito da Luca Cupiello e quasi sfotte il vecchio continuando a dirgli «bravo, bravo»: «Voi siete amico di mio figlio, è vero?… Ho capito tutto…». Marzio Honorato, cioè il Renato Poggi nello sceneggiato, e Patrizio Rispo, cioè Raffaele Giordano o Giurdàn come ama scherzare, il portiere del condominio particolare di Palazzo Palladini, danno vita a duetti degni della migliore tradizione teatrale e cinematografica napoletana. Anche altri interpreti “storici” provengono dal teatro: Lucio Allocca, ormai uscito di scena, e Marina Tagliaferri. Tra i giovani, la migliore è stata Cristiana Dell’Anna, che faceva la parte di due sorelle gemelle, Micaela e Manuela. Poi Gomorra l’ha risucchiata nel set della Napoli nera.

Durante questi undici anni ho seguito vicende di droga, di violenza sulle donne, di bullismo, di camorra, di omosessualità, di volontariato, di immigrazione clandestina. E non era roba scialba da sceneggiato né chiacchiere da talk show. Ho visto una Napoli borghese e ricca, una umanità pulita e più spesso zozza, ed una Napoli meno fortunata e piena di dignità. Una faccenda interclassista, senza politica, in cui esiste solo un padrone fetente, Roberto Ferri. Certo, ho tallonato storie d’amore e tradimenti, ho visto lacrime e ho ascoltato frasi retoriche, come soap opera vuole. Ho anche dovuto sopportare copioni in certi momenti sciatti, brutti ed interpretazioni che neanche alle recite della filodrammatica. Ho inseguito mille rivoli, che si perdevano e riemergevano a volte come ruscelli. Senza riuscire in qualche circostanza a stargli dietro. Ma dentro il Posto c’è la vita di ogni giorno, le passioni, gli uomini e le donne che deragliano. Non soltanto atmosfere adulterate e distanti di tanta merce che ci arriva da fuori (e da dentro). Il Posto non è un capolavoro ma è un luogo dove ci si ritrova e ci si sta abbastanza bene.

Confesso: ho smesso di seguire molte sceneggiate serali con le solite compagnie di giro, i talk show politici oppure le strisce di informazione che precedono la programmazione serale. E non è che informazione e politica siano uscite dalla mia esistenza. Resiste nei miei interessi, per dire, Propaganda live di Diego Bianchi su La7 (diventato però fluviale come gli altri, interminabile: poi uno si ritrova a russare sulla poltrona). Ha scritto bene Michele Masneri sul Foglio: «Una delle caratteristiche di Upas, che lo accomuna ai talk, è che a differenza della politica il mondo reale, l’attualità, si infila nella programmazione, si insuffla, è come se la serie e la realtà diventassero tutt’uno».

Lo storico sceneggiato non è nuovo ai maltrattamenti. Quasi fosse mal sopportato. Da poco ha recuperato un orario fisso, puntuale. Altrimenti, viene sospinto più in là fino ad iniziare con dieci, quindici minuti in ritardo. Altre volte accade che scompare, cancellato all’improvviso. Al Corriere della Sera Giovanni Minoli ha detto che Un posto al sole è la prima industria di Napoli e che nella soap ci lavorano «dalle otto alle diecimila persone, calcolando non solo attori, registi e operatori, ma anche svariate figure professionali, dai capistruttura alle comparse fino a quelli che preparano i cestini per i pasti». Sta’ a vedere che la Rai, tra guerre intestine e crociate per lo share, farà come la Whirlpool e chiuderà cancelli e set del Posto.

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