Pier Mario Fasanotti
A proposito di "Eureka!"

Inventare stanca

Cody Cassidy, appassionato di evoluzionismo, traccia il catalogo delle grandi invenzioni che hanno cambiato la storia dell'umanità: dal fuoco alla ruota, dai primi utensili rudimentali a quelli più raffinati. Peccato che gli "inventori” non siano stati celebrati dai contemporanei

Millenni o milioni di anni fa, ci sono state svolte rivoluzionarie riguardanti l’evoluzione umana. Parliamo dell’austrolopithecus. Alcuni scienziati l’hanno chiamata “Ma” (nome quanto mai azzeccato). E stata l’antenata degli ominidi, specie poi estinta. La storia di Ma ha qualcosa di incredibile, che risale a tre milioni di anni fa. Fu lei a inventare l’utensile. Fu in un certo senso costretta a farlo perché era madre e, dovendo trovare cibo, non poteva lasciare solo il suo piccolo, che sarebbe stato facile preda per pantere e affini. Era alta un metro e pesava solo trenta chili. A eccezione del volto, era ricoperta da una pelliccia scura. Mangiava più carne di uno scimpanzé moderno. Una delle sue peculiarità consisteva nell’affilare la pietra allo scopo di estrarre midollo dalle ossa delle carcasse. Altri saprofagi non riuscivano. Era insomma una scimmia intelligente, anche se non usava il fuoco, quindi si nutriva di cibo crudo. Particolare non di poco conto perché l’apparato digerente estrae meno calorie dal cibo crudo che non da quello cotto.

L’arguta Ma è uno dei tanti esempi delle invenzioni, raccolte in un libro interessantissimo di Cody Cassidy (Eureka!, Il Saggiatore, 231 pagine, 19 euro). L’autore, appassionato di evoluzionismo, spazia largamente tra le invenzioni degli uomini (od ominidi). Qualche esempio: la prima volta che ci siamo vestiti; la prima volta che abbiamo cavalcato; la prima volta che abbiamo assaggiato una birra; la prima volta che ci siamo raccontati una barzelletta.

Torniamo per un attimo alla geniale Ma. Per evitare di lasciar solo, anche per pochi attimi, il suo piccolo, decise di portarlo con sé. Come? Utilizzando rami flessibili coi quali assicurare al suo corpo minuto il figlio. Uno si può chiedere: ma non poteva pensarci il genitore maschio? Nella cultura di allora (ma non solo di allora, ben lo sappiamo) i padri non si interessavano affatto della prole. Alcuni scienziati hanno esaminato l’ergonomia nella questione del trasporto del neonato. Conclusione: la cosiddetta fascia per neonati (questione scientifica ancora aperta). Ma era in grado di fare un nodo: una rivoluzione straordinaria nel mondo antico. Gli antropologi, o gli psicologi, o entrambi, sostengono che l’essere capace di fare un nodo richiede «la memoria del lavoro», quindi la capacità di trattenere, manipolare e quindi usare le informazioni. Cosa di non poco conto: l’invenzione infatti si diffuse. Se le piccole e grandi invenzioni non avessero “plagiato” altri animali – sostiene giustamente l’autore –«saremmo bloccati nella stessa nicchia ambientale». Un docente di biologia, Joseph Henrich, ha sostenuto che l’Homo sapiens è «un imitatore incallito». Quando Ma morì, ovviamente, nessuno le rese gli onori dovuti a una straordinaria inventrice. Non si ha traccia di seppellimento, con tutti gli eventuali riti annessi. Fu il cucciolo, probabilmente a portarsi via la madre.

Tra il 1891 e il 1892, in Indonesia un medico olandese (Eugéne Dubois) prestato alla paleoantropologia scoprì un femore, un molare e un teschio appartenuti a un essere quasi umano. Lo chiamò “uomo di Giava”. Che era, secondo l’esperto «l’anello mancante» della catena che lega l’uomo alle scimmie. Non tutti furono concordi con questa categoria; anzi qualcuno la chiamò «ridicola». Uno scienziato tedesco parlò di «spettacolare scoperta» non solo perché Dubois era riuscito a identificare una nuova specie di gibbone. Non fu prima del 1920 che due archeologi ritrovarono ossa identiche in una grotta poco fuori Pechino. La comunità scientifica non poté che confermare la scoperta di Dubois come «la conferma cruciale della teoria dell’evoluzione umana così come proposta da Charles Darwin».

I biologi diedero alla nuova specie il nome di “Homo erectus”. Tuttavia quarant’anni dopo, nell’Africa orientale due scienziati (marito e moglie) individuarono un’altra specie di primate, più antica. Fu chiamata “Homo habilis”. Scrive l’autore di Eureka, Cody Cassisy: «Sulle prime non era affatto scontato che fossero collegate, visto che le differenze tra le due specie erano consistenti. L’uomo di Giava era cacciatore, dormiva per terra, aveva pochi peli sul corpo e una scatola cranica più ampia; mascelle ben più minute e una gabbia toracica notevolmente più piccola, mentre l’Homo habilis si nutriva di ciò che trovava nell’ambiente circostante, si spostava a terra durante il giorno ma dormiva sugli alberi durante la notte, ed era coperto di fitta peluria. Molti biologi avrebbero preferito espellere del tutto questa specie dal genere “Homo”, mentre l’Homo erectus è talmente simile a noi che alcuni scienziati inizialmente non riuscirono a distinguerlo».

L’Homo habilis, in un tempo relativamente breve si è evoluto nell’Homo erectus. L’alterazione della specie, spiega l’autore di Eureka, la si deve quando uno dei nostri antenati cominciò padroneggiare il fuoco. Una tappa fondamentale. Strofinare metalli, formati essenzialmente dalla pirite, costituì «il più antico processo di manifattura mai riscontrato». Darwin definì il controllo del fuoco come «la più grande scoperta nella storia della nostra specie, eccezion fatta per il linguaggio». Il fuoco consentiva la cottura dei cibi. «A livello più elementare, applicare calore al cibo significa esternalizzare le attività di masticazione e digestione. Non solo ammorbidisce gli alimenti, ma ne spezza i legami chimici. Una banalità? Per nulla: più piccolo è un pezzo di muscolo, grasso, nervo e cellulosa in un alimento – e più si spezzano i legami chimici al suo interno – maggiore sarà l’energia che l’intestino è in grado di assorbire». Aumentano inoltre dal 25 al 50 per cento le calorie del cibo cotto rispetto a quello crudo. L‘evoluzione umana fa un eccezionale balzo in avanti.

In omaggio a una geologa francese (vissuta nel Seicento) fu convenzionalmente chiamata Martine il nostro antenato che accese il primo fuoco. Rischiò qualcosa somigliante all’accusa di stregoneria. Questo capitava 1,9 milioni di anni fa nell’Africa orientale. Pesava una trentina di chili, era alta all’incirca un metro e venti, ed era dotata di una scatola cranica con un volume pari al 40 per cento di quella di un moderno Homo sapiens. Sapeva stare in piedi ma, grazie alle braccia molto lunghe, poteva arrampicarsi sugli alberi. Secondo gli esperti «era sostanzialmente bipede e trascorreva le giornate nella savana africana in cerca di noccioline, bacche e carcasse. Mangiava anche carne, divorando carcasse. Il fuoco le fece subito capire che una patata cotta era notevolmente più buona, e masticabile, di quella cruda. Per sottrarsi ai predatori notturni dormiva sugli alberi».

L’autore di Eureka ci spiega che il fuoco «emigrò» in Indonesia, dove gli esseri viventi erano dotati di un apparato digerente predisposto per i cibi cotti. L’uomo dei ghiacci, noto come Otzi (trovato nel 1991 in val Senales, Alpi orientali, ma risalente a circa 33 mila anni fa) disponeva, nel contenuto del suo bagaglio, di un kit per l’accensione del fuoco, composto da scaglie di pirite (che qualcuno chiamò l’oro degli stolti), selce e di un fungo come esca. Con tutta probabilità fu ucciso da una punta di felce, conficcata tra la spalla e il cuore.

Dopo l’invenzione del fuoco cambiarono certi comportamenti. La fiamma rese superfluo lo scopo principale della pelliccia durante la notte. Con l’oscurità nacque l’animale “sociale”: attorno al falò si radunavano molti Homo habilis o erectus, e ciò li rendeva in qualche modo più gentili. I cosiddetti nemici venivano allontanati dal tepore del raduno e così erano inevitabilmente destinati alla morte. Martine e compagni erano cacciatori, ma anche oggetto di cacciagione. Pare che Martine morì in età avanzata. Nessun rito funebre salvo forse la cremazione. Data l’assenza dei riti mortuari, è più verosimile pensare che Martine fosse stata allontanata dall’accampamento, così da non attirare altre bestie.

Il libro di Cody Cassidy esplora altre importanti invenzioni. La ruota, per esempio. Prima di analizzare tesi e realtà (non sempre coincidenti), l’autore scrive: «Se gli anni della nostra specie sulla Terra corrispondessero a una giornata di ventiquattro ore, questo evento (invenzione della ruota, ndr) sarebbe accaduto 25 minuti prima della mezzanotte di 5400 anni fa». Centinaia di migliaia di anni prima della scoperta della ruota – aggiunge l’autore – qualche sfortunato ominide inciampò su una roccia instabile o su un tronco e – appena prima di spaccarsi il cranio – scoprì che un oggetto tondeggiante riduce l’attrito col terreno. Va bene, ma come hanno fatto gli uomini a costruire le piramidi? Usando i rulli, ossia semplici tronchi posizionati al di sotto degli oggetti pesanti (anzi: pesantissimi). I rulli tuttavia non si mostrano così tanto affidabili: devono essere sostituiti quando rotolano in avanti, e anche quando sono ancorati al suolo l’attrito li rende difficili da spostare. Insomma, una fatica mostruosa. Il colpo di genio fu l’asse (o asta). Questa, assieme ai rulli, fu montata sul tornio di un vasaio della Mesopotamia. L’intuizione geniale non risolse però il problema meccanico, consistente nel fatto che al centro del disco in rotazione è stazionario. È probabile che l’idea di fondo vincente derivasse da una perlina che ruotava su un filo di una collana. Si costruirono pseudo carri, molto piccoli. Tali da presumere che il primo veicolo su ruote sia stato un giocattolo. Non è un caso che si rinvenne, nelle Americhe precolombiane, una piccola scultura raffigurante un coyote, montata su quattro ruote. Uno scienziato trovò il giocattolo nella tomba di un bambino azteco sepolto a sud di Città del Messico.

Il carro a grandi dimensioni – quindi non un giocattolo – apparve per la prima volta 5400 anni fa. Dove? In vari luoghi, dall’Iraq meridionale alla Germania e alla Slovenia. In conclusione: «La ruota potrebbe essere nata in miniatura, ma le miniature non hanno cambiato il mondo»: questa è l’opinione di Cody Cassidy.

Il cui libro affronta molti altri interrogativi. Per esempio: chi ha assaggiato la prima ostrica; chi ha scoperto le Haway; chi ha inventato i primi abiti; chi ha dipinto il primo capolavoro al mondo; chi ha bevuto la prima birra; chi per primo ha montato un cavallo; chi ha scoperto il sapone; chi ha raccontato la prima barzelletta. Rimangono senza risposta altre domande, alcune delle quali fondamentali nella nostra storia, nel bene e nel male: chi ha inventato la carta? Chi ha scoperto l’esplosivo?

Facebooktwitterlinkedin