Gianni Marsilli
Cartolina da Parigi

Incubo Zemmour

Éric Zemmour, 63 anni, razzista dichiarato, populista senza se e senza ma, tormenta i sonni della destra e della sinistra francesi. Ufficialmente, non ha ancora dichiarato di voler correre per l'Eliseo, ma i sondaggi sono dalla sua parte. Vediamo chi è e perché può avere un futuro

Essendo un ebreo di origine algerina – la sua famiglia ottenne la cittadinanza francese nel 1870 per decreto, ai musulmani in quello stesso anno venne invece negata – gli piace definirsi berbero. I berberi, si sa, non sono arabi. Non è un vezzo, ma un programma politico. Un solco elettorale ben tracciato, senza fronzoli. L’islam arabo e musulmano è il nemico, punto. Nessuna differenza tra islam e islamismo, sono due facce della stessa minaccia che incombe sulla Francia: la “defrancisation”. Basta con l’immigrazione, lui ne rimanderà a casa almeno due milioni in cinque anni di mandato. Troppi Mohamed, troppi Jamel. Troppo pochi Jean e François. Troppe macellerie halal, troppo poche autentiche “boucheries” francesi. Troppe moschee, con o senza minareto, pochi campanili. Ai suoi occhi la Francia non è più francese. Si è persa nella sporcizia globalizzata, lei che aveva «per padre Napoleone, per nonno Luigi XIV, per trisavola Giovanna d’Arco».  Lui la vuole reincarnare, ripulire, ridarle orgoglio. E via tutti quei sensi di colpa davanti alla storia: la disfatta del ’40, Vichy, gli ebrei consegnati ai nazisti. Non era come ce l’hanno raccontata. Se i tedeschi nel ’40 impiegarono solo qualche settimana per travolgere i francesi fu perché il Fronte popolare dal ’36 aveva disarmato l’esercito. E Pétain fu un ricorso necessario: chi meglio di lui, il vincitore del ’14-‘18? E le leggi antiebraiche varate da Vichy furono “il male minore” davanti all’occupante nazista. Questo l’armamentario di Éric Zemmour, che lui esprime con grande e brillante virulenza.

Negli ultimi anni l’ha fatto soprattutto in tv, assai seguito, su CNews, una rete di proprietà di Vincent Bolloré. Da qualche settimana lo fa in giro per la Francia. A cominciare dalla cattolica e molto conservatrice Versailles, naturalmente. Ma predicando anche in provincia e nella “campagne profonde”, dove sotto il grano gonfia la frustrazione. Il problema è che Zemmour, 63 anni, vuol diventare presidente della Repubblica. Ancora non si è dichiarato candidato, ma tutto lascia pensare che lo farà, forse prima di Natale. Lo incoraggiano i sondaggi. A lui il 16 percento, a Marine Le Pen il 15. Potenzialmente, sarebbe il finalista contro Macron. Lo incoraggia un’altra ghiotta rilevazione: il 35 per cento dei francesi nel 2022 sarebbe disposto a votare per un candidato sovranista, erano il 25 per cento cinque anni fa. E allora ecco nascere un quartier generale di campagna elettorale nell’VIII arrondissement, il più esclusivo, a due passi dall’Arco di Trionfo. Ecco piovere le prime ricche donazioni. Ecco uno staff di undici persone già all’opera su 23 poli tematici, dalla scuola all’industria all’agricoltura. Ecco un capo staff di sicura presa: Sara Knafo, 28 anni, dotata dei massimi diplomi a cominciare dall’ENA, magistrato alla Corte dei Conti, come lui “ebrea di cultura cattolica”. Paris Match li ha immortalati su una spiaggia, insinuando un legame poco politico. Loro hanno sporto querela.

C’è chi fa notare due cose. Innanzitutto che i sondaggi a sei mesi dalla scadenza elettorale non valgono un granché. In secondo luogo che secondo le previsioni nell’81 Giscard avrebbe battuto Mitterrand, nel 2002 Jospin avrebbe travolto Chirac, nel 2012 Fillon avrebbe staccato Hollande. Tutto vero, ma la replica è facile: a sei mesi dal voto, chi avrebbe scommesso su un certo Donald Trump? È quindi inevitabile che Zemmour agiti i sonni di tutti. A cominciare da quelli di Marine Le Pen, che su quella destra storica pensava di avere il monopolio. Si era illusa. Lei guardava al centro, mentre Zemmour la sorpassava a destra. E che destra! Un faro storico-politico di Zemmour è Maurice Barrès, che fu scrittore di grande notorietà e che in Dreyfus vide il traditore israelita, nella nazione l’unica dimensione, nell’ebreo il nemico: fu il padre dell’antisemitismo francese. Zemmour se ne frega: come Barrès, denuncia gli “elementi stranieri” non assimilabili. Da loro vengono tutti i guai. Da loro e dai sensi di colpa che perseguitano i francesi da ottant’anni almeno. Da buttare a mare, i primi e i secondi. E, già che ci siamo, da buttare a mare anche la patente a punti, che così tanto tormenta gli automobilisti, e che è un ottimo biglietto da visita in campagna elettorale.

Macron per ora fa finta di niente. Zemmour l’attacca, ma lui non reagisce, se non con qualche vaga allusione. Così anche gli altri potenziali concorrenti nella corsa all’Eliseo: osservano e affettano indifferenza, in realtà sorvegliano da vicino l’outsider della destra. I giochi si faranno a partire da gennaio, al momento non si conoscono neanche tutti i concorrenti in campo. Ma Zemmour corre, dribbla, palleggia come se la partita fosse già iniziata. Andare in gol, però, è tutt’altra faccenda.

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