Pier Mario Fasanotti
A proposito di "Una visione del mondo"

I sogni di Cheever

Feltrinelli ripubblica tutti i racconti di John Cheever con una bella introduzione di Julian Barnes: un'occasione importante per entrare nel mondo del narratore che ha descritto in modo quasi scientifico l'indeterminatezza dell'identità americana

Scrisse alcuni romanzi di successo, tra cui il pluripremiato Le cronache della famiglia Wapshot (nel 1964) e Bullet Park (1969). Gli venne anche attribuito il Pulitzer. Esaltato alfiere della monogamia – in effetti era davvero innamorato della moglie Mary e ammiratore delle sue doti culinarie – ammetteva che fosse una cosa stupenda ballare con le donne che corteggiava. Alla moglie confidò: «Sa che faccio lo scemo con le altre, ma se non mi divertissi un po’… non sarei fedele a me stesso». Ebbe una relazione “seria” con l’attrice Hope Lange, che lo descrisse come «uno degli uomini più arrapati che abbia mai conosciuto».

Più o meno nello stesso periodo fece sesso con il fotografo Walker Evans. Non riuscì mai a confessare la propria omosessualità, relegando questo “segreto” nei suoi diari. Alla prima visita militare fu scartato per un basso quoziente intellettuale. La decisione fu ribaltata al secondo test. Parliamo di uno dei più grandi scrittori del Novecento americano, John Cheever, relativamente poco noto ai lettori italiani.  Purtroppo. Oggi l’editore Feltrinelli ha lanciato nelle librerie una gran parte dei suoi racconti (ne scrisse in tutto 121), intitolandola Una visione del mondo (con brillante prefazione del narratore britannico Julian Barnes); 285 pagine, 18 Euro.  

Quando i suoi genitori si separarono e poco dopo si riappacificarono, John si rifiutò di rientrare in casa, dormendo in macchina. Poco più che ventenne vide pubblicato il suo primo racconto (Buffalo) nel New Yorker, il grande approdo sognato dai giovani narratori. Con questa rivista collaborò per tutta la vita. I racconti di Cheever, come annota Barnes, sono caratterizzati dalla disinvoltura. Noi possiamo aggiungere che molti sono marchiati dall’originalità e spesso disorientanti oltreché stracolmi di digressioni, con un tono che passa repentinamente dall’invettiva al poetico.

Per esempio, nel racconto La morte di Justina, osserva «una donna incantevole che, con un fascio di sole fra i capelli, mette un nuovo osso di seppia nella gabbietta dell’usignolo». Poco più avanti ricorda «le tombe disertate dei miei tre fratelli sul fianco della montagna e ho pensato che la morte è una solitudine molto più crudele di qualsiasi solitudine che ci venga mai lasciata intravedere nella vita». Il protagonista di questo racconto, il pubblicitario Mose, è avvertito dalla moglie della morte della cugina Justina, vicina agli 80 anni e ospite a casa sua, ma non riesce a mandare al diavolo il superiore che pretende, prima di lasciare l’ufficio, che lui scriva un testo su un prodotto che esalta il benessere fisico. Il testo è, nella sua debordante retorica, la sintesi del marketing americano.

Cheveer non taglia mai corto. Non rinuncia, nello specifico, a raccontare i particolari salienti del capufficio MacPherson, un sessantenne sempre compunto e azzimato che ogni giorno, esattamente tra le due e le due e mezzo, fa sesso con la sua segretaria. Mastica in continuazione la gomma americana, «un’abitudine igienica ed elegante». Cheveer affonda la lama raccontando che mister MacPherson ha la pessima abitudine di prendersi tutti i meriti quando all’agenzia pubblicitaria arrivano elogi sperticati e incoraggiamenti, in base a lavori fatti dai suoi subordinati.

Mose, tornando a casa, questo pensa: «Sono un americano che attraversa un paese americano; il viaggio potrebbe essere una parte costituente della storia». E ancora: «Ci sono americani che, anche se i loro padri sono emigrati dal Vecchio Mondo tre secoli fa, sembrano non aver mai completato il viaggio, e io sono fra questi. Io mi trovo figurativamente, con un piede ancora bagnato sullo scoglio di Plymouth a contemplare, con una certa impressionabilità, non una natura selvaggia, formidabile e minacciosa, bensì una civiltà incompiuta fatta di torri di vetro, trivelle petrolifere, continenti suburbani e cinematografi abbandonati, e mi domando perché, in questo mondo così prospero, equo e vincente – dove persino le donne delle pulizie nel tempo libero si esercitano sui preludi di Chopin – debbano avere tutti un’aria così delusa». Si avverte nitidamente la variegata fascinazione dell’Europa.

Come afferma il prefatore Julian Barnes «Cheever era un magnifico sognatore: stringato, arguto e lapidario». Nei diari non fa mistero delle sue ambizioni, espresse in un cono d’ombra dove si mischiano progetti e speranze e forse anche autoironia: «Sogno che la mia faccia compare su un francobollo». Eppure non era un frustrato, almeno sul piano professionale. Era circondato da riconoscimenti e applausi letterari.

 Si mostra sia corrosivo sia pietoso nei temi e nelle situazioni familiari. Nel racconto Stagione di divorzio, il protagonista è un uomo con un modesto stipendio che parla diffusamente della moglie Ethel. La trama è ossessivamente ancorata al presente, tanto è vero che confessa di non ricordare la prima volta che l‘ha vista. La sua pace domestica consiste nel sedersi a tavola assieme ai figli e osservare con tenerezza i gesti della moglie davanti ai fornelli. È molto curioso della quotidianità di una donna che programma ritmicamente la sua settimana.  Un giorno, meglio se piovoso, Ethel lucida gli argenti. Se c’è il sole tiepido fa giocare al parco i suoi figli. Poi ci sono la spesa da fare e le pulizie nell’appartamento. Una sorta di robot gentile e aggraziato, incaricato, formalmente assieme al marito, di consolidare la quiete familiare.

Ma tutto si può sgretolare, ci racconta Cheever. A partire, nel racconto intitolato ai divorzi, dall’ossessiva corte che le fa un amico di famiglia, il dottor Trencher. Se da un lato si sente ammirata, dall’altro avverte che certi palpiti del cuore iniziano a mutare. Mai si farà la domanda sui sentimenti che prova verso il medico. Il suo è un tormento silenzioso. Non ci sarà una vera e propria esplosione sentimentale, tanto meno sessuale. Il marito si accorge della presenza di Trencher, inizia a porre domande alla moglie: quando è l’ultima volta che l’hai visto? Perché bussa alla porta e le offre un mezzo di rose? Perché, a causa di quell’uomo, lei sembra distratta pur continuando a fare quello che hai sempre fatto, con devozione e meticolosità? Ethel risponde evasivamente. Ha come la testa altrove. Trencher si presenta a casa loro e dichiara d’essere innamorato. Arriva a proporre un duplice divorzio. Il marito reagisce con ira, gli scaglia addosso tutto quello che è a lui più vicino. L’insistente corteggiatore si arrende e se ne va.

L’episodio diventa tema di una conversazione – non accesa, ma amara – tra i coniugi. Ethel, senza alzare mai la voce, si chiede «perché il divorzio deve essere considerato una cosa spaventosa». Aggiunge di amare non solo il marito, ma anche se stessa. Cheever ci fa capire che nel quartiere aleggia un’inquietudine strana. Scrive l’autore a proposito del marito: «Sembrava il culmine dell’anno, un giorno maledetto per le gastriti, le sinusiti e le malattie respiratorie (i figli sono colpiti dall’influenza, ndr)». E ancora: «Sono convinto che questa è la stagione dei divorzi». Ethel durante la notte si mette a piangere e alla domanda sul perché di quelle lacrime comincia a elencare le ragioni di una tristezza che non è di un giorno piuttosto che un altro. Il suo è un dolore esistenziale, composto di assenze, di automatismi, di rinunce.  Questa la sua sfibrata spiegazione, che però rimane appesa in aria: «Piango perché sono stanca» ribadisce prima di andare nella stanza dei bambini e assorbire la loro luminosità e spensieratezza. Così termina il racconto: «Poi lei dà da mangiare ai figli, li lava…e si ferma per un attimo nel mezzo della cucina, sforzandosi di stabilire un rapporto tra la sera e il giorno. Poi quell’attimo passa. Ethel accende le quattro candele, sul tavolo della cucina». Da un lato c’è un uomo che non esamina il profondo – e per tanto tempo tenuto nascosto – il disagio della moglie, dall’altro una donna che ingoia il suo dolore strisciante, che ha il sapore di un cibo avvelenato, quotidianamente “cotto” e, sia il giorno che la sera, viene offerto alla famiglia. Lo sgretolamento del nucleo familiare esiste nei fatti e nei pensieri, sotto la calotta delle abitudini.

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