Luca Zipoli
Al Teatro della Pergola di Firenze

Dublino a Firenze

Guidati da Giancarlo Sepe, i ragazzi de iNuovi del Teatro della Toscana riportano in scena i racconti di Joyce. La rappresentazione simbolica di un mondo immobile, sospeso tra attesa, feste e lampi di impegno

Prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, The Dubliners, in scena fino al 14 ottobre al Teatro della Pergola di Firenze, rappresenta un doppio ritorno. Inizialmente previsto come titolo inaugurale della scorsa stagione, lo spettacolo riappare, infatti, nel cartellone fiorentino, a un anno di distanza, dopo che era stato cancellato a causa della seconda ondata pandemica del covid-19. Il ritorno – come si diceva – è però duplice, perché l’allestimento di Giancarlo Sepe era stato ideato originariamente per il 57° Festival di Spoleto, e andò in scena, per la prima volta, nel luglio 2014 in occasione dei cento anni dalla prima edizione dei racconti di James Joyce (fu poi replicato, nella stagione successiva, con l’aggiunta di una seconda parte, The Ivy Day, a integrazione della prima, The Dead).

Sei anni dopo l’ultima apparizione, lo spettacolo torna dunque in scena a Firenze con protagonisti iNuovi, la compagnia di giovani attori della Fondazione Teatro della Toscana di cui abbiamo già parlato sulle nostre pagine (vedi, ad esempio, a questo link il loro progetto di teatro digitale, durante l’ultimo confinamento). I dieci membri della compagnia selezionati per questo progetto (Maddalena Amorini, Davide Arena, Alessandra Brattoli, Federica Cavallaro, Davide Diamanti, Fabio Facchini, Ghennadi Gidari, Laura Pinato, Erica Trinchera, e Lorenzo Volpe) sono affiancati da quattro rappresentanti della messinscena originaria di Spoleto (Manuel D’Amario, Federica Stefanelli, Guido Targetti, e Pino Tufillaro) e a due interpreti della compagnia di Sepe (Sonia Bertin e Camilla Martini). Oltre che la ripresa di una produzione apprezzata da pubblico e critica, il ritorno di The Dubliners segna anche il proficuo incontro tra due realtà teatrali tra le più interessanti nel panorama nazionale, l’una – iNuovi – affermatasi negli ultimi anni, e l’altra – il teatro La Comunità di Roma – che ha una ricca storia, lunga quasi mezzo secolo, e che abbiamo seguito anche di recente (vedi l’editoriale del nostro direttore a questo link).

La chiave di volta dello spettacolo è costituita, senza dubbio, dal maestro Giancarlo Sepe, ultimo esponente della Scuola romana ed esperto di sperimentazioni e contaminazione dei generi. Nella sua regia, scompaiono il palcoscenico e la tribuna per il pubblico, e gli attori occupano la platea, imponendosi dunque ancor più concretamente alla vista degli spettatori. Al suo ingresso in sala, il pubblico incontra i vari protagonisti dei racconti di Joyce che giacciono stesi a terra, immobili, morti, come recita il titolo dell’ultimo racconto della raccolta. Ridestati dal suono della musica, i loro corpi si riscuotono, risorgono per tornare a vivere la loro mesta vicenda esistenziale e per raccontarla ai presenti in sala. La scenografia, ideata da Carlo De Marino,è costituita da un’unica tavolata centrale coperta di fiori, ai quali i personaggi ritornano continuamente, a simboleggiare quella verdeggiante Irlanda da cui le figure joyciane non riescono mai a staccarsi. Quelli che il pubblico incontra, nei novanta minuti dello spettacolo senza intervallo, sono dunque dei ‘morti in vita’, dai volti tinti di colori lividi, e tutti bloccati a ri-narrare le vicende tristi e sconsolate delle loro vite, sullo sfondo della Dublino di primo Novecento. Sui loro movimenti incombe la presenza oppressiva del ministro inglese (Pino Tufillaro), unica figura non tratta dal testo di Joyce e inventata da Sepe, che appare inviato dalla Gran Bretagna a vigilare sulle abitudini di questo popolo assoggettato, disprezzato, e in preda a pericolosi fermenti nazionalistici.

Da Eveline, la diciannovenne che all’ultimo momento rinuncia a salire sulla nave che la porterebbe verso una nuova vita a Buenos Aires, a Mister Chandler, che scopre la propria pochezza nel rincontrare, a distanza di anni, l’amico Igantius, che a differenza sua ha avuto il coraggio di lasciare l’Irlanda e ha avuto successo; da Mrs. Sinico, la donna sposata che sceglie di suicidarsi, una volta che viene ripudiata dall’amante di cui si è innamorata ma che è troppo pavido per amarla davvero, a Gabriel Conroy, che al rientro da una festa scopre inaspettatamente di non aver mai veramente conosciuto la moglie Gretta. I protagonisti dei più toccanti racconti di Joyce si ritrovano tutti riuniti in questa piazza-platea a recitare brevi frammenti tratti dai loro testi, formando una catena di scene potenti e di grande impatto visivo, nelle quali, più che la parola, dominano i gesti e le azioni, tutte di intenso valore simbolico. La lingua scelta per il copione è l’inglese, e questo non per una ricerca di rigore filologico, ma con l’intenzione di marcare l’alterità dei personaggi anche sul piano fonetico. iNuovi superano pienamente la prova della recitazione in lingua straniera, e lo spettacolo appare del tutto comprensibile e coinvolgente sia per il pubblico madrelingua che per quello italofono.

All’apatia e alla paralisi dei vari personaggi s’intervallano anche scene euforiche, dai balli, al ricevimento, fino alla corsa gioiosa a cambiarsi con i variopinti abiti della festa. A uno sguardo critico verso l’immobilismo di queste figure, se ne affianca quindi uno affettuoso, che quasi ammira in loro questa capacità di gioire e di festeggiare, nonostante la mestizia della loro condizione. Nella seconda parte, ispirata al dodicesimo racconto, Ivy Day in the Committee Room, emergono, inoltre, anche i temi sociali e politici dell’opera, dalla miseria dell’Irlanda all’inizio del ventesimo secolo ai forti contrasti con i dominatori inglesi, rappresentati da cartonati in bianco e nero contro cui si scaglia l’aggressività dei dublinesi. Lo spettacolo ha, quindi, il merito di condensare in sé tutti i temi della raccolta di Joyce, regalando allo spettatore l’affresco completo di questo testo, ancora attuale a più di un secolo di distanza dalla sua nascita. Infine, cifra distintiva dello spettacolo – come in ogni produzione di Sepe – sono le musiche, curate da Harmonia Team e Davide Mastrogiovanni, che, spaziando ecletticamente da Arvo Pärt a Vivaldi, da Schubert a Max Richter, contribuiscono in maniera decisiva all’intensa immedesimazione emotiva che suscita questo spettacolo.

Primo titolo della stagione 2021/2022, l’allestimento di Giancarlo Sepe, con La Comunità e iNuovi, inaugura con successo la stagione della ripartenza della Pergola. L’augurio è che questa bella produzione non rimanga un unicum ma che possa essere presto ammirata anche in tournée, vista, tra l’altro, l’imminenza di un altro importante anniversario joyciano: i cento anni dalla pubblicazione dell’Ulysses.


Le fotografie sono di Filippo Manzini

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