Michela Di Renzo
Una storia esemplare

L’ultima sigaretta

«All’altezza dell’edicola si era fermata improvvisamente e aveva chiesto al giovane dietro al banco: “Vorrei un pacchetto di sigarette.” Il ragazzo l’aveva guardata stupito perché in tanti anni aveva comprato da lui solo il settimanale di moda. Anna era arrossita»

Quel lunedì il programma della giornata di Anna comprendeva il solito turno di lavoro al Pronto Soccorso fino alle due e mezza, la spesa al supermercato nel primo pomeriggio e il corso di pilates alle sei. Avendo indugiato qualche minuto di troppo sotto il piumone dopo il suono della sveglia, aveva dovuto fare tutto di corsa. “Sbaglio o stamani stai facendo tardi?” le aveva chiesto bruscamente Mauro appena era uscita dal box della doccia. Anna si era morsa la lingua per non replicare mentre lo guardava togliersi rapidamente di dosso il pigiama di flanella scozzese: la giacca a quadri rossi e neri rendeva ancora più evidenti i chili di troppo che suo marito aveva messo su negli ultimi anni.

Quella mattina Mauro aveva una riunione al lavoro in cui avrebbe chiesto una promozione e le sue labbra carnose erano tese in una linea dritta e sottile. La sera prima, come capitava spesso quando sentiva il bisogno di rilassarsi, aveva insistito per fare l’amore. Anna aveva tenuto gli occhi chiusi aspettando in silenzio che si esaurisse il suo desiderio, che era lo stesso di quando si erano conosciuti venti anni prima; l’unica differenza era che lui iniziava a russare sonoramente appena si era addormentato mentre per lei era sempre più difficile prendere sonno.

Prima di uscire di casa con una sola manica del cappotto cammello indosso e la borsa in mano si era affacciata alla porta di cucina e rivolta verso Mauro aveva pronunciato un entusiasta: “In bocca al lupo per la riunione.” “Grazie”, le aveva risposto suo marito mugugnando con la bocca piena, senza alzare la testa dalla tazza fumante di caffè. Solo mentre si chiudeva la porta alle spalle Anna si era ricordata che quel pomeriggio aveva appuntamento in Senologia per fare la consueta mammografia prevista dal programma di screening regionale. “Speriamo di non arrivare tardi al supermercato perché il lunedì pomeriggio dopo le cinque c’è il pienone”, si era detta scendendo le scale di corsa.

Al lavoro come ogni lunedì mattina era stato un delirio, tra i pazienti sulle barelle in attesa di ricovero dal giorno prima e le ambulanze che continuavano a portarne altri. Solo quando era uscita dalla porta di servizio del Pronto Soccorso per timbrare il cartellino aveva tirato un sospiro di sollievo. In quel preciso istante aveva sentito puzzo di sigaretta e subito dopo era comparso Andrea. “Dovevo immaginarmelo che era qua intorno, ha appena fumato prima di entrare in servizio”, aveva pensato. “Ciao come è andato il turno?” le aveva chiesto lui con la sua voce roca. “Bene”, gli aveva risposto Anna senza guardarlo in faccia e tirando a dritto. Era da quella notte, quella in cui aveva scoperto che quell’odore permeava ogni singolo poro della pelle di lui, che evitava di parlargli e che aveva bloccato il suo numero sul cellulare. Dopo che lo aveva sentito sbattere la porta del Pronto Soccorso si era girata a guardare indietro, nella direzione in cui era andato, sicura che ormai non potesse più vederla, e aveva scosso la testa pensando: “Che errore tremendo ho commesso quella sera.”

In Senologia aveva dovuto aspettare una mezz’oretta, durante la quale, seduta su una delle anonime seggioline arancioni appoggiate lungo il muro del corridoio, per passare il tempo si era messa ad ascoltare due donne che a poca distanza da lei stavano parlando ad alta voce dei loro matrimoni. Una di loro, dalla folta chioma bionda platino a un certo punto aveva detto: “Sai con il mio ex era finita anche dal punto di vista sessuale. Mi dava fastidio persino quando mi sfiorava una spalla, figurati tutto il resto. Diceva che ero diventata frigida ma era lui che mi disgustava.” “Allora hai fatto proprio bene a lasciarlo”, aveva replicato l’amica. “Infatti. La vita è una sola.” Anna aveva provato un forte senso di irritazione e si era girata verso il lato dove erano sedute fulminandole con gli occhi. “Queste devono essere due cretine per parlare a voce alta di argomenti così personali mentre aspettano di fare la mammografia”, si era detta “e in un matrimonio ci sono cose più importanti del sesso.” Aveva pensato a Mauro con cui stava da più di vent’anni, anche se l’intimità con lui non era mai stata entusiasmante.  

Quando la senologa le aveva detto corrugando la fronte: “Ti devo dare una brutta notizia”, Anna era sobbalzata sulla sedia. “Vedi questa calcificazione sulla mammella destra? È una lesione probabilmente maligna.” Anna si era piegata in avanti verso lo schermo del computer su cui la collega puntava il dito indice ma all’improvviso le si era annebbiata la vista e non era riuscita a distinguere niente. “Mannaggia”, aveva detto come in trance. “Comunque dovremmo fare una biopsia”, aveva proseguito la senologa. Poi di fronte allo smarrimento che aveva letto nel suo sguardo le aveva chiesto: “Vuoi prenderti qualche giorno o preferisci farla subito? Volendo c’è posto anche domani alle nove. Decidi te.” Anna aveva avuto un improvviso vuoto di memoria e si era messa a cercare la fotografia dei turni di lavoro; la teneva sempre sul cellulare ma non era riuscita a trovarla da quanto le tremavano le mani. “Senti, leviamoci il pensiero, vengo domattina. Posso sempre fare un cambio”, aveva detto alzandosi in piedi.

Appena uscita nel corridoio aveva avvertito una vertigine così forte da doversi mettere seduta per non cadere per terra. La signora dalla folta chioma bionda platino che era ancora lì in attesa si era avvicinata e le aveva chiesto: “Va tutto bene?” “Sì sì, ora mi passa”, aveva risposto Anna alzando lo sguardo verso di lei. Si era ritrovata davanti una donna più o meno della sua età, ovvero di una cinquantina d’anni, dalla pelle chiara, con pochissime rughe; gli occhi di un colore verde chiaro, sottolineati da una sottile riga di eyeliner nero, erano luminosi come quelli di una ventenne. “Grazie”, le aveva detto Anna alzandosi piano piano in piedi. Si era incamminata nel corridoio per tornare in Reparto a cercare un cambio per l’indomani trascinando lentamente le gambe e leggermente incurvata in avanti, come se stesse portando qualcosa di molto pesante sulle spalle.

All’altezza dell’edicola si era fermata improvvisamente e aveva chiesto al giovane dietro al banco: “Vorrei un pacchetto di sigarette.” Il ragazzo l’aveva guardata stupito perché in tanti anni aveva comprato da lui solo il settimanale di moda. Anna era arrossita. “Quali vuole?” “Non lo so…” Il giovane aveva sgranato gli occhi. “Volevo dire Malboro Lights, scusami ma oggi ho un mal di testa tremendo”, aveva risposto lei prontamente. Ricordava di aver visto Andrea aprire più volte il pacchetto di quella marca. Aveva preso le sigarette, le aveva nascoste nella tasca della divisa e aveva continuato a camminare. Appena si era ritrovata da sola in un angolino appartato, ne aveva tirata fuori una e socchiudendo gli occhi l’aveva annusata avidamente. L’odore di tabacco le era piaciuto anche se non era esattamente lo stesso che aveva sentito sulla pelle del collega. Era tornata indietro all’edicola. “Scusami sono proprio stordita, mi sono dimenticata l’accendino.” Il ragazzo glielo aveva porto senza nemmeno guardarla in faccia. Anna era uscita nel cortile dietro al negozio e si era accesa una sigaretta, un gesto che non faceva da quando era adolescente. Aveva fatto un paio di tiri finché non si era ritrovata in bocca lo stesso sapore che aveva sentito sulle labbra di Andrea mentre si baciavano avvinghiati l’uno all’altro contro la pesante porta grigia scuro della stanza degli armadietti. Quella sera in preda all’eccitazione che l’aveva travolta si era sdraiata sul pavimento sporco per terra sotto di lui fino ad emettere un suono gutturale che le era mai uscito di bocca prima, un suono di cui non credeva di essere capace. “Ecco cos’è davvero il sesso, finalmente alla soglia della menopausa l’ho provato anch’io”, si era detta subito dopo.  

Lo trovò che stava uscendo da uno dei box mentre si rimetteva il fonendoscopio blu scuro intorno al collo magro. “Ti posso parlare?” gli chiese Anna arrossendo. “Certo”, le rispose Andrea. “Esco un attimo a fumare”, aggiunse rivolgendosi a un infermiere nei cui occhi brillò un pizzico di malizia. “Parlino pure quanto vogliono, ci sono cose più serie”, pensò Anna. Appena arrivati nel terrazzino fuori della porta del Pronto Soccorso, gli disse senza preamboli: “Ho appena saputo che molto probabilmente ho un cancro alla mammella.” Lui rimase per una frazione di secondo immobile, con la sigaretta che stava portando alla bocca a metà strada tra il pacchetto e le labbra, poi la rimise via e si accarezzò con la mano destra la testa calva. “Di qualunque cosa tu abbia bisogno puoi contare su di me”, le disse. Anna fissò il suo viso affilato, con le labbra sottili, il mento sporgente e il naso leggermente aquilino, quei lineamenti che più di una volta le avevano fatto pensare a un Pulcinella; non aveva gli occhi scuri però, li aveva celesti. E raramente sorridevano. “Sei la prima persona a cui l’ho detto”, replicò. Lui si avvicinò e la strinse forte a sé con le sue braccia magre. Anna sentì un brivido di eccitazione lungo la schiena assaporando di nuovo l’odore di fumo del corpo di lui mentre le lacrime che le salivano agli occhi. “Andrea non voglio morire, non voglio”, gli disse scoppiando a piangere. “Ma non morirai tranquilla, non morirai. Mi hai detto che molto probabilmente hai un tumore”, gli sussurrò lui stringendola ancora più forte mentre il pacchetto di sigarette che lei teneva in tasca si appiattiva contro l’inguine di lui. Anna si staccò. “Domattina mi fanno la biopsia. Da quanto sono sconvolta non mi ricordo se sono o no di turno. Lo puoi fare te al posto mio casomai?” “Certo, domani avevo un giorno libero ma non ci sono problemi. A proposito… sento qualcosa di strano, hai iniziato a fumare?”. Anna sorrise e arrossì. Poi tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della divisa. “Ne ho accesa una perché mi mancava il tuo odore.” “Anche a me manca il tuo.” Andrea l’abbracciò di nuovo. In quel momento arrivò un infermiere che dette un paio di colpetti di tosse.

Si separarono di nuovo e Anna si sorprese di non provare alcun imbarazzo. Però girò lo sguardo altrove affacciandosi al terrazzino: gli ulivi nel campo di fronte, allineati in più file sul pendio della collina, stavano diventando color del bronzo mentre i raggi di sole del pomeriggio invernale tingevano di rosa le villette a mattoni sullo sfondo. “Che panorama stupendo”, pensò mentre sentiva alle sue spalle una voce che diceva: “Scusami se ti disturbo ma ti volevo avvertire che tra cinque minuti arriva un codice rosso”, e Andrea che irritato rispondeva “Va bene, tra cinque minuti arrivo.” Quando rimasero soli lei gli si avvicinò di nuovo e gli mise una mano sul braccio. “Non te la prendere sono curiosi lo sai.” “A me non importa, sono separato, io non devo rendere conto a nessuno; ma mi dispiace per te.” “A me da oggi non importa più niente.” Lui mise la sua mano su quella di lei. “Allora va bene così. Puoi venire a stare da me quando vuoi.” Poi aggiunse: “Però non iniziare a fumare proprio ora. Proprio ora che io sto pensando di smettere.” Lei lo guardò perplessa. “Tranquilla, comprerò un profumo alla nicotina”, e fece un mezzo sorriso.

Dal terrazzino videro arrivare un’ambulanza a sirene spiegate. “Devo andare.” “A presto.” Si separarono all’ingresso del Pronto Soccorso, lui che tornava dentro e lei che scendeva le scale per andare a cambiarsi nello spogliatoio. Nella stanza degli armadietti Anna tirò fuori dalla tasca le sigarette. “Ha ragione Andrea, farebbe bene a smettere”, si disse e le buttò nel cestino. Mentre si dirigeva verso la macchina pensò agli impegni del pomeriggio, la spesa al supermercato e la lezione di pilates alle sei. E poi la cena con Mauro, suo marito, che le aveva mandato un messaggio a fine mattinata per avvertirla che aveva ottenuto la promozione e che avrebbero festeggiato aprendo una bottiglia di vino d’annata a cena. Si vide davanti la sua faccia rotonda con gli occhi leggermente sporgenti sbarrati per la paura sentendola raccontare della mammografia, gli stessi occhi che poco dopo avrebbero espresso una profonda delusione affrontando un altro argomento. Mauro avrebbe scosso più volte la testa i cui capelli riccioluti iniziavano a imbiancare e contratto le sue labbra carnose in una smorfia di disprezzo. Non era un uomo incline al perdono e questo le avrebbe semplificato la faccenda. Nonostante ciò tornò indietro nello spogliatoio, prese dal cestino il pacchetto delle sigarette, ne tirò fuori una e la mise nella tasca interna della borsa, buttando via di nuovo tutte le altre. “Servirà a ricordarmi che la vita è una sola”, disse a voce alta prima di uscire.


Accanto al titolo, Pablo Picasso: «Donna con sigaretta», 1901

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