Raoul Precht
Periscopio (globale)

Il futuro secondo Lem

Omaggio a Stanisław Lem, lo scrittore polacco - autore di "Solaris" - che ha praticato la fantascienza di là dalla "Cortina di ferro". Contrario alle spettacolarizzazioni americane, era convinto che il futuro avesse un solo limite: invecchia presto...

Siamo in ritardo solo di un paio di settimane (peccato, mi auguro, veniale) nel celebrare il centenario della nascita dello scrittore polacco Stanisław Lem, nato a Leopoli il 12 settembre 1921. Lem ci ha lasciati nel 2006, ma i suoi libri vengono ristampati regolarmente e alcuni di loro stanno vivendo proprio di recente, anche in Italia, un’improvvisa reviviscenza, con ben quattro volumi pubblicati nell’arco di due anni – l’integrale della narrativa breve con il titolo Universi per Mondadori, i romanzi L’invincibile e Ritorno dall’universo per Sellerio e Febbre da fieno per Voland.

Ci sono diverse possibili spiegazioni per il successo di Lem, che è uno dei pochissimi autori di spicco della fantascienza ad aver perseguito la propria carriera fuori dagli Stati Uniti e anzi al di là della cortina di ferro. Di questa estraneità al canone americano Lem ha saputo fare un punto di forza, al punto da rappresentare una credibile alternativa a quelle che considerava mere derive del genere, che a suo parere si andava sempre più imbastardendo a fini puramente commerciali. A questo discorso generale sulla crisi della fantascienza e dei suoi autori Lem faceva delle eccezioni, come per Philip K. Dick, di cui riconosce l’originalità – e che in uno dei suoi momenti di alienazione e delirio paranoico lo ripagherà denunciandolo all’FBI come emissario del regime comunista russo –, ma non c’è dubbio che abbia sempre inteso contrapporre la propria scrittura e le proprie innovazioni, spesso ambiziose e scientificamente fondate, alla riproposizione di situazioni e trame stantie propugnata da molti suoi colleghi europei e soprattutto statunitensi. Le polemiche suscitate da alcune sue prese di posizione porteranno alla sua espulsione dallo SFWA (Science Fiction and Fantasy Writers of America) e non lo renderanno particolarmente popolare fra gli scrittori della sua generazione, spesso impegnati a celebrare acriticamente il dominio economico e militare degli Stati Uniti sul mondo, quando non su eventuali altri mondi.

Erede di Wells, fautore di una scrittura non fiabesca, ma improntata a rigore scientifico, Lem si burlerà ripetutamente di coloro che, anziché riflettere, immaginare e magari fantasticare, si limitavano a riciclare storie di pirati e corsari semplicemente trasferendone l’azione in un lontano futuro, con potenti astronavi governate da supercomputer in luogo delle golette e dei brigantini – gran parte, cioè, delle storie propinateci da certa fantascienza di serie B nonché dal cinema hollywoodiano. In questo sarà sempre coerente: l’antipatia per gli Stati Uniti e la loro way of life gli farà rifiutare anche una borsa di studio propiziatagli dal collega e amico scrittore Slawomir Mrożek, e in generale Lem non lascerà la Polonia se non per brevi trasferte. A viaggiare in sua vece, e fin troppo, saranno i suoi personaggi.

Malgrado le accuse di ortodossia mossegli a intervalli regolari e cadute puntualmente nel nulla, ben lungi dal celebrare un qualsivoglia sistema politico-sociale Lem è uno scrittore profondamente ironico, il che lo rende refrattario a qualunque adesione acritica a un determinato regime e al tempo stesso, dal punto di vista di quest’ultimo, del tutto inaffidabile. Ciò non gli ha impedito di essere pubblicato e venduto con successo nei paesi comunisti, ma se si eccettuano i primissimi romanzi, in cui si era fatto cantore dei progressi tecnologici dei regimi sovietici, tutta la sua produzione semina semmai il dubbio sulla lungimiranza di qualunque burocrazia imperante e sulla validità di qualunque ordinamento politico.

Un primo elemento di profonda ironia sta nel suo non considerarsi, malgrado i quarantacinque milioni di copie vendute e le quaranta lingue in cui le sue opere sono state tradotte, uno scrittore di fantascienza, ma semmai uno scrittore tout court, per natura incline a ignorare le convenzioni dei vari generi e a forzarle ogni qualvolta ciò sia possibile e auspicabile sotto il profilo narrativo. Del resto, Lem non ha mai nascosto di non essere un appassionato di tecnologia, ma di provare invece un forte interesse per l’area di confine (e spesso di sovrapposizione) fra scienza e filosofia. Uno dei rimproveri che Lem muove alla fantascienza tradizionale è proprio quello di essere troppo “ponderous” ovvero ampollosa – che è l’esatto contrario dell’ironia – e al contempo troppo poco scientifica. I mondi che Lem crea nei suoi scritti, primo fra tutti, come vedremo, quello di Solaris, spesso non sono né buoni né cattivi, ma presentano una mescolanza di attributi che possono sprigionare conseguenze tanto positive, quanto negative. Non è un caso che gli stessi suoi personaggi siano spesso abitati da personalità multiple, o si sdoppino, o siano, come appunto in Solaris, preda dei propri fantasmi, e che i limiti imposti all’uomo non siano legati tanto alla tecnologia, quanto al suo stesso essere.

Iscrittosi alla facoltà di medicina di Leopoli (oggi Lwów, in Ucraina), Lem deve abbandonare gli studi al momento dell’invasione nazista nel 1941 e non potrà riprenderli che quattro anni più tardi, quando deciderà tuttavia di non laurearsi per evitare il servizio militare e opterà, malgrado la sua paura del sangue, per una specie di servizio civile nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Cracovia. Di origine ebraica, nel corso della guerra il ventenne Lem era scampato con la famiglia al ghetto di Leopoli e alla deportazione grazie a documenti falsi. Finisce anzi per lavorare come meccanico per una ditta tedesca, e grazie a quest’impiego avrà accesso a depositi da dove potrà trafugare delle munizioni che passerà alla resistenza polacca. Nel 1945, quando Leopoli passa a far parte dell’Ucraina, Lem e tutta la sua famiglia saranno trasferiti d’autorità a Cracovia. Negli anni successivi, non essendosi laureato, dovrà accontentarsi di un incarico d’assistente ricercatore all’università, ma al tempo stesso insegna e rivede articoli scientifici e soprattutto, nei momenti liberi, comincia a scrivere. Dopo una prima prova autobiografica, nel 1951 esce il primo romanzo di successo, Il pianeta morto, e da questo momento, nonostante qualche intervento della censura, Lem godrà di un enorme successo di pubblico, dapprima in Polonia come nel resto dei paesi socialisti, poi in tutto il mondo.

Il grande riconoscimento arriva dieci anni dopo, nel 1961, con il già citato Solaris, il suo romanzo più celebrato, da cui verrà tratto dapprima, nel 1968, un film televisivo per la regia di Lidia Ishimbaeva e Boris Niremburg, poi nel 1971 il famoso lungometraggio di Andrej Tarkovskij, fino al recente e meno fortunato adattamento di Steven Soderbergh, del 2002. L’interesse per quest’opera resta inalterato nel tempo ed è dovuto a un plot semplice e al tempo stesso coinvolgente per il lettore/spettatore: Lem immagina un lontano pianeta, Solaris, appunto, ricoperto da un oceano senziente che sembra esserne l’unico “abitante” e che è in grado di interagire con gli umani (gli astronauti inviati in missione) leggendo la loro mente e ricreandone le esperienze e le paure più potenti in una serie di folgoranti allucinazioni. Nel caso dello psicologo Kris Kelvin, inviato sull’astronave in orbita intorno al pianeta a indagare su cosa stia succedendo ai suoi colleghi – uno di essi si è suicidato, gli altri sono in preda a un evidente collasso nervoso –, l’esperienza da rivivere è la presenza e il suicidio dell’ex moglie, che Kris non ha saputo prevenire.

Sempre piuttosto critico nei confronti degli adattamenti delle sue opere, Lem disprezzò profondamente la versione hollywoodiana di Soderbergh, ma non fu tenero nemmeno nei confronti del tentativo di Tarkovskij, su cui in effetti gravano alcune ombre o, se si vuole, il peso della Storia. Tarkovskij era giunto a un punto della carriera in cui, dopo il “pericoloso” successo internazionale dei film precedenti, L’infanzia di Ivan e Andrej Rublëv, doveva proporre alla censura russa un film che fosse finalmente non controverso e benaccetto; al regime sovietico, inoltre, nel contesto della guerra di propaganda interstellare interessava contrapporre qualcosa di valido a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, uscito nel 1968. Un adattamento di Solaris sembrava essere dunque più che fattibile e soddisfare le esigenze di tutte le parti in causa. Secondo Tarkovskij, tuttavia, il libro di Lem doveva essere un punto di partenza; poco interessato alla fantascienza in quanto tale, il regista si concentrò sugli aspetti etici legati al conflitto fra gli esseri umani e le nuove scoperte scientifiche. In questa limitazione dello spettro, come pure in tutte le modifiche intraprese (più giustificatamente) da Tarkovskij per trasformare il libro in un film, Lem vedrà sempre un’inaccettabile banalizzazione. Il culmine del conflitto fra i due si ebbe nell’ottobre del 1969, quando s’incontrarono a Mosca in presenza del critico letterario Lazar Lazarev. Per un equivoco, anzitutto, Lem scambiò il povero Lazarev per un emissario del regime comunista, inviato a controllare e riferire sull’incontro, e già questo lo mise a disagio e lo predispose al peggio. Nella conversazione, durata un paio d’ore, Tarkovskij gli spiegò fin troppo dettagliatamente, e forse con una certa arroganza, le modifiche e gli abbellimenti che avrebbe apportato alla trama – tutta la prima sequenza di quaranta minuti, che vede Kris nella dacia di famiglia, è un inno alla bellezza della Terra e ai legami familiari del tutto estraneo al romanzo – e si trovò di fronte uno scrittore chiuso a riccio, al quale il suo libro sembrava più che bastevole a se stesso, senza alcun bisogno degli effetti più o meno speciali che il regista stava evocando. Quando poi vide il film, tre anni più tardi, Lem si convinse definitivamente che del libro Tarkovskij non aveva capito nulla e che aveva semmai girato una sua versione personale di Delitto e castigo.

Una scena di “Solaris” di Andrej Tarkovskij

Le preoccupazioni e gli intenti dei due non avrebbero potuto essere più diversi: Lem aveva scritto un libro sulla difficoltà di comunicazione fra l’uomo e l’Altro, con i fantasmi del primo che sgorgano direttamente dall’inconscio e si materializzano per consentirgli una qualche forma, comunque incerta, limitata e votata al fallimento, di comunicazione con il secondo, mentre Tarkovskij materializza i peccati e le incoerenze degli umani, trasformando la presenza di queste figure, di questi spettri, in un’occasione di riscatto o di condanna. Come Lem dichiarerà in seguito, il film è per lui corroso da un sentimentalismo russo che converte anche il protagonista in un uomo che non abbandona mai del tutto la speranza, mentre nel libro è evidente come Kris decida alla fine di restare sull’astronave nella piena consapevolezza dell’inutilità di qualunque suo sforzo. Va perso, inoltre, il tentativo di Lem di descrivere un sistema extraterrestre di elevata complessità con il nostro limitato bagaglio di parole e di conoscenze. Eppure, va detto anche che, come dimostrano gli appunti di diario presi durante le riprese del film, Tarkovskij era stato forse il primo a capire – senza poterle forse rendere pienamente giustizia – la grandezza di Lem e delle sue speculazioni filosofiche, e ad esserne perfino, in qualche misura, tormentato. Non dimentichiamo che Tarkovskij dovette giocare una sua difficile partita anche con le autorità cinematografiche russe – alla fine, la dotazione originale del film fu dimezzata – e con la censura, che gli chiese ben trentacinque modifiche, la maggior parte delle quali ignorate dal regista a proprio rischio e pericolo.

Ma torniamo a Lem e al suo pensiero, declinato in opere fra le più diverse fino al 1987, anno in cui decise di smettere di scrivere. A parte numerosi altri romanzi, fra cui va citato almeno Il congresso di futurologia, del 1971, compone fra l’altro anche un curioso e pungente libro di finte prefazioni e recensioni, ovvero di prefazioni e recensioni a libri inesistenti, con timbri borgesiani e sicuramente ludici. Nei saggi che compongono la Summa Technologiae, poi, Lem affronta da antesignano e apripista i temi dell’ingegneria genetica, del rapporto fra essere umano e macchina, della robotica e dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale, ma anche della neutralità della tecnologia e del caso che tutto governa, insistendo sulla relatività e inanità di qualunque predizione scientifica.

Convinto com’era, e lo sostenne più volte, che nulla invecchi più rapidamente del futuro.

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