Francesco Arturo Saponaro
Al Festival della Valle d’Itria

Haydn e la Creazione

Si conferma la qualità e l’originalità del 47° appuntamento di Martina Franca. Con l’oratorio del Maestro austriaco, riproposto nella versione ritmica in italiano realizzata dal grecista Dario Del Corno nell’88 e con altri due rari titoli operistici: “Griselda” di Scarlatti e “L’Angelica” di Nicola Porpora

Curioso. Proprio il titolo che, per sua natura, non avrebbe dovuto assumere dimensione visiva, è stato invece lo spettacolo più ammirato e applaudito. Al 47° Festival della Valle d’Itria, a Martina Franca, si è sperimentata una splendida messa in scena de La Creazione, oratorio di Franz Joseph Haydn. È una pagina di fine Settecento. Per definizione, l’oratorio è una forma musicale di contenuto biblico ed edificante, che nasce nel clima controriformatore della Roma seicentesca. A differenza del melodramma, l’oratorio non si rappresenta, ma si esegue con orchestra, coro, e con i cantanti in piedi al leggìo, senza scene e costumi; e ciò proprio per la sua fisionomia religiosa e austera. Scompigliando le carte, viceversa, nel riprendere il capolavoro di Haydn il Valle d’Itria ha imposto due scelte inusuali, onorando la propria natura di festival, che deve appunto offrire proposte particolari. In luogo del testo originale in tedesco – e scavalcando i dogmi puristici oggi di moda – ha recuperato la versione ritmica in italiano che, già per l’edizione 1988 del Festival, fu chiesta al grecista Dario Del Corno, e oggi rivista da suo figlio Filippo, musicista e attuale assessore alla cultura nel Comune di Milano. Ma in più il Valle d’Itria ha costruito un inedito progetto scenico, fondato sulla regia di Fabio Ceresa, con scene di Tiziano Santi, costumi di Gianluca Falaschi e Gianmaria Sposito, disegno luci di Pasquale Mari. Questa cornice è stata quindi riempita dall’alta qualità della resa musicale, e dall’elegante, inesauribile, fantasioso movimento creato da danzatori e mimi dell’ensemble Fattoria Vittadini, coreografati da Mattia Agatiello. 

Illuminando la visione panteista e massonica di Haydn, che musicalmente dipinge la creazione in un divenire laico, intriso di senso della natura e dell’umanità come parte di essa, la regia ha impostato un parallelismo tra creazione divina e creazione umana. Le prime sei giornate sono associate ciascuna al sorgere di un’arte liberale, dall’architettura alla musica, con impeccabili tableaux vivants, e citazione dei cinque solidi descritti da Platone nel Timeo. Sospinto dalla bellezza della partitura haydniana, il racconto si snoda in un flusso continuo e sorprendente, che nel testo come nella musica, coerentemente al carattere ottimista e fiducioso del compositore, si conclude nell’Eden con l’apparizione e l’incontro di Adamo ed Eva, senza però giungere al peccato originale e alla conseguente cacciata. Molto pregevole il versante musicale, condotto dalla bacchetta di Fabio Luisi – sul podio della valorosa orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, e dell’inappuntabile Coro Ghislieri, preparato da Giulio Prandi – a un’esecuzione suggestiva, che ha messo accuratamente in evidenza ogni piega, espressiva e dinamica, della complessa partitura. Merito anche dell’eccellente compagnia di canto, che ha impegnato il soprano Rosalia Cid, il tenore Vassily Solodkyy e il basso Alessio Arduini nel dar voce agli arcangeli Gabriele, Uriele e Raffaele, con i giovanissimi Jan Antem, tenore poco più che ventenne, e il soprano Sabrina Sanza, protagonisti nella scena finale come Adamo ed Eva, scena che i due interpreti hanno valorizzato con intensità di accenti e freschezza di mezzi vocali.

Di grande interesse anche gli altri due titoli operistici, titoli rari, com’è abitudine del Festival di Martina Franca. Dopo trecento anni dalla sua apparizione, ha rivisto la luce, nella revisione di Luca Della Libera, l’opera Griselda, composta da Alessandro Scarlatti (1660-1725) su libretto di Apostolo Zeno, che si ispirò all’ultima novella del Decamerone di Boccaccio. Decisamente astrusa la trama, nella quale succede poco, ma davvero bellissimi i versi di Zeno. Soprattutto, si conferma la grandezza compositiva di Scarlatti, in una partitura che offre un flusso continuo di pagine mirabili per l’alta fattura musicale. George Petrou dirige il complesso strumentale La lira di Orfeo e il Coro Ghislieri: l’orchestra possiede un bel suono, il coro risponde bene, ma la direzione di Petrou è piuttosto uniforme, e non sempre ottiene il necessario rilievo drammaturgico. Difficile il compito di Rosetta Cucchi: la sua regia si impegna nel racconto dell’improbabile vicenda, ma indulge anche in soluzioni banali, come l’ambientazione siculo-mafiosa su scene di Tiziano Santi e costumi di Claudia Pernigotti. Magnifica la prova del cast vocale. Nel ruolo del titolo, Carmela Remigio esibisce da par suo proprietà di fraseggio, rotondità e calore del timbro vocale, incisività interpretativa. Il controtenore Raffaele Pe disegna al meglio ogni accento e risvolto del suo personaggio, Gualtiero. Accanto a lui, il contralto Francesca Ascioti, nei panni maschili di Ottone, conferma il suo straordinario bagaglio vocale e attoriale: fascinoso il timbro morbido e denso, agili e piene le colorature, intensa la penetrazione drammatica. Brillante Miriam Albano, anch’ella nel personaggio maschile di Medoro, specie nei ripetuti episodi di agilità e coloratura, e meritevoli anche il Corrado di Krystian Adam, e la Costanza di Mariam [sic] Battistelli, nonostante qualche problema d’intonazione nella parte iniziale. 

Il terzo, anch’esso raro, spettacolo operistico del Valle d’Itria di quest’anno è L’Angelica di Nicola Porpora (1686-1768), celebre esponente della scuola operistica napoletana, nonché ricercatissimo maestro di canto. L’autore definisce “serenata” la propria creazione, perché di dimensioni più contenute rispetto al “dramma per musica”. Comunque, al suo apparire nel 1720, L’Angelica vanta due storici debutti: quello di Pietro Metastasio come librettista, poi fortunatissimo nel Settecento, e quello di un adolescente Farinelli, che diverrà il più celebre dei castrati. La trama è tratta dall’Orlando furioso ariostesco, ed è centrata sulla passione amorosa fra Angelica e Medoro che farà perdere il senno a Orlando. Anche qui molto bravi i cantanti. Ekaterina Bakanova conferisce ad Angelica, oltre alla presenza scenica, una vocalità limpida ed espressiva, sicura anche nelle agilità. Il mezzosoprano Teresa Iervolino è un Orlando di bello stile, con un velluto vocale morbido e omogeneo che le permette di fraseggiare con raffinata sicurezza e con le accensioni drammatiche dovute al suo personaggio. La figura di Medoro è affidata a Paola Valentina Molinari, che risolve egregiamente il suo ruolo anche tra impervie agilità, o nei colori dolenti della struggente aria, la più bella della partitura, in cui colloquia con il violoncello. Da ricordare anche le onorevoli prove di Gaia Petrone nella parte di Licori, di Barbara Massaro, Tirsi, di Sergio Foresti, Tìtiro. Sul podio de La lira di Orfeo, il direttore Federico Maria Sardelli ha concertato con polso sicuro e gusto elegante, grazie alla sua profonda esperienza in questo repertorio. Non un granché l’impianto visivo di Gianluca Falaschi, che ha firmato regia scene e costumi con luci di Pasquale Mari, coinvolgendo anche gli artisti della Fattoria Vittadini con la loro grazia disinvolta e impalpabile. 

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