Lidia Lombardi
Al Museo Barracco di Roma

Le donne di Dante

Da Marta Dell’Angelo a Giosetta Fioroni: Alessandra Mammì ha chiamato dieci artiste a dialogare con i versi della “Vita Nova” di Dante. Una bella occasione per riflettere sull'idea di donna del poeta; e per verificarla nella nostra contemporaneità

L’eterea Beatrice, tutta levità di intelletto, grazia, anima? Macché, ecco il suo corpo esanime, nudo, pesante, immanente, senza volto ché il capo si nasconde dietro l’omero di chi la porta come un sacco sulle spalle. È anche questo la donna vagheggiata da Dante in una coinvolgente mostra allestita fino al 19 settembre prossimo in un prezioso contenitore capitolino, il Museo Barracco di scultura antica che, nell’eclettico palazzetto rinascimentale di Corso Vittorio Emanuele II, ospita tra opere egizie, mesopotamiche, romane, greche i lavori di dieci artiste contemporanee ispirate dalla Vita Nova del Sommo Poeta.

È Marta Dell’Angelo a reificare il corpo senza vita della donna tanto amata, a tracciarne il penzolare delle gambe e delle braccia, fardello terreno dai colori ocra e rosati dipinto ad olio su una tela che si sovrappone ad un’altra, dalla quale sbucano le parole de La Vita Nova: “Allora mi parea che lo cuore, ove era tanto amore, mi dicesse: “Vero è che morta giace la nostra donna”(…) e sì forte era la mia immaginazione, che piangendo cominciai a dir con verace voce: “Oi anima bellissima, come è beato colui che ti vede”.

Nella sala al piano terreno, quelle membra dipinte che testimoniano il drammatico passaggio dalla vita alla morte hanno sullo sfondo una statua antica della collezione Barracco, figura muliebre anch’essa senza testa. E nei due piani superiori l’allestimento della mostra – curata da Alessandra Mammì e presentata dal Centro Studi Roccantica nell’ambito delle celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante – fa dialogare ciascuna delle altre nove opere contemporanee con i pezzi collezionati nella seconda metà dell’Ottocento dal barone Giovanni Barracco e da lui donati nel 1904 al Comune di Roma. Ecco allora che la sequenza dei quattro medaglioni di Giosetta Fioroni (unica donna nel rivoluzionario gruppo anni Cinquanta di pittori della Scuola di Piazza del Popolo) sono la ripetizione ossessiva dello stesso soggetto, due profili avvicinati come per baciarsi, come ossessivo è l’innamoramento. E sono collocati tra reperti egizi: un sarcofago, una testa di faraone.

Irrompe anche la cronaca del Novecento nella ricognizione sull’amore, sulla donna, sul passato/presente. La fotografa siciliana Letizia Battaglia traduce in storia contemporanea l’incontro tra l’Alighieri e Beatrice, ritraendo in bianco e nero tre “gentildonne” della sua terra: Rosa Schifani (vedova di Vito, agente di scorta di Giovanni Falcone), una bambina dal mediterraneo innocente volto, il busto di Eleonora d’Aragona.

L’allunaggio ha ispirato invece la filmaker Rä di Martino (nella foto), abituata a contaminare contesti artistici differenti: dunque nei suoi “Allunati n.20” sullo sfondo di immagini del satellite della Terra fornite dalla Nasa si stagliano in foglia d’oro i profili di un uomo e di una donna, a loro volta ombre rubate, spiega l’artista, al film di Bernardo Bertolucci del 1963, Prima della Rivoluzione.

Meno oscuro anche se stratifica svariati input il messaggio di altre opere. Con un collage che adopera una velina azzurra per lo sfondo e tocchi di pastello, Sabina Mirri immagina Dante come un ermafrodito che fonde in sé il poeta e la sua musa ispiratrice e che disteso come una divinità arcaica dai molti seni ricrea il mondo grazie ai suoi versi.

Impegno terzomondista, femminista ed ecologista quello di Marzia Migliora che presenta tre opere tra collage e disegno dai “Paradossi dell’abbondanza”.  Dalla banca dei nove semi, fondata in India dalla attivista Vandana Shiva, le contadine riescono a sollecitare un’agricoltura sostenibile e a darsi un lavoro capace di migliorare la loro condizione sociale ed economica. Insomma, dalla donna angelicata a quella che si fa imprenditrice di se stessa con la fatica nei campi. I nove semi salvifici oltretutto si interfacciano con il numero nove, costante simbolica ne la Vita Nova: “Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto…”.

Il libro dantesco che genera altri libri. Elisabetta Benassi, abituata a scuotere il senso da qualsiasi oggetto, parte appunto dal volumetto dell’opera giovanile di Dante fornitole dagli ideatori della mostra e lo fa diventare l’innesco per una performance collettiva. “Se ti chiami Beatrice questo libro è tuo” ha scritto a pennarello sulla copertina invitando tutte le bambine e le ragazze dai 9 ai 24 anni omonime della donna angelicata a riceverne una copia in omaggio, in edizione firmata e numerata.

Un libro d’arte realizza invece Elisa Montessori ne “La voce di Beatrice”. Le pagine si dispiegano ad organetto in una teca, ciascuna recante in inchiostri e smalti un fiore evocato da Dante nel XXII canto del Paradiso per il giardino della vagheggiata. “Perché la faccia mia si’ t’innamora/ che tu non ti rivolgi al bel giardino/ che sotto i raggi di Cristo s’infiora?/ Quivi è la rosa in che ‘l verbo divino/ carne si fece; quivi son gli gigli/ al cui odor si prese il buon cammino”./ Così Beatrice; e io che a’ suoi consigli/ tutto era pronto ancor mi rendei/ a la battaglia de’ debili cigli”.

Collage in formato di libro è “Senza titolo” di Micol Assael. Che incolla su un personalissimo diario le frammentarie testimonianze del proprio tempo passato, una parte di tutto il Tempo del mondo, il cui fluire ispira il Sommo Poeta. Così scrive sequenze di numeri su biglietti, scontrini, tracce del suo vissuto, dei suoi viaggi. Memore del primo paragrafo della Vita Nova: “In quella parte del libro de la mia memoria a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova”.

Patrizia Cavalli, poetessa, gioca infine con i propri versi (e con la Musa di Dante) distendendoli, alternandoli e quasi storpiandoli nella scrittura automatica con la quale riempie le dodici gouaches intitolate “Ma quale amore?”. Facendo ironica eco al celeberrimo “Donne che avete d’intelletto amore…”, la Cavalli rima così: “Tu sei quel che si dice la mia Musa,/ se non mi amusi più/ perdo ogni scusa”.

La mostra La vita nova. L’amore in Dante nello sguardo di dieci artiste dopo il Museo Barracco di Roma (aperto nel pomeriggio dal martedì alla domenica) farà tappa a Napoli e in altre città italiane e straniere.

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