Valentina Fortichiari
Il mare, Camilleri e Montalbano

Scrittura e nuoto

Per l'autore siciliano, “omo di mare”, l’acqua è stata un luogo della mente e del cuore imprescindibile, onnipresente. Del resto «trovare le parole giuste, levigare il linguaggio, in taluni passaggi asciugarlo, equivale alla sapienza di chi, nuotando, sa compiere i movimenti necessari e corretti per favorire galleggiamento e propulsione»

Nuotare, è risaputo, induce uno stato di benessere nel corpo e nella mente. Nuotare e meditare: lo sperimentano coloro che all’acqua sanno come affidarsi, senza paura, anzi con piacere, nuotatori esperti che conoscono la gioia di viaggiare, soprattutto in acque aperte, come in una lunga, corroborante passeggiata anche nella propria mente.

Lo sapeva bene lo scrittore Camilleri che il nuoto l’ha certamente praticato: non avrebbe mai potuto attribuire al suo personaggio Montalbano – lo scaltro, umorale commissario (suo alter ego? può darsi, in certi dettagli) – la felicità rinvigorente di una nuotata a mare. Dimostrando nei suoi libri che nuoto e scrittura sono un’accoppiata fertile. Trovare le parole giuste, abbandonarsi al piacere della scrittura, levigare il linguaggio, in taluni passaggi asciugarlo, equivale alla sapienza di chi, nuotando, sa compiere i movimenti necessari e corretti per favorire galleggiamento e propulsione, preferendo sempre uno stile in levare, semplice, composto, controllato, lo sforzo interamente celato sotto la superficie, con mani e piedi che non schiaffeggiano l’acqua, ma la sfiorano. Come il lavorio ostinato delle onde su un osso di seppia (oppure su un corpo), sino a renderlo di consistenza quasi setosa.

Andrea Camilleri (1925-2019) è nato e vissuto nell’antica Porto Empedocle (Vigata, nelle sue opere), in provincia di Agrigento, paese di pescatori e di piccole case a un piano, dipinte di bianco, giallo, azzurro. Precoce “omo di mare”, da bambino seguiva il padre a cacciar pesci di notte, che cucinavano lì per lì sulla barca. Quel suo mare di Sicilia che ha ‘carattere’ deve averlo conosciuto anche grazie a un fisico imponente, da nuotatore. Ed è probabile che le nuotate che fa compiere a Montalbano ci dicano qualcosa sul suo stile acquatico. C’è un elemento importante da non sottovalutare nella vita dello scrittore: Camilleri conosceva bene l’arte teatrale; titolare della cattedra di regia dell’Accademia nazionale di arte drammatica, è stato egli stesso attore. Come non evocare, nel 2018, al Teatro greco di Siracusa, la sua commovente interpretazione nel monologo di Tiresia? Sapeva che l’attore ha un elemento in comune con un nuotatore: l’importanza del respiro, il controllo della respirazione nel modulare la voce, le pause. 

Nuoto e scrittura: ovvero corpo e parola uniti per ottenere prestazioni ottimali dosando uno sforzo minimo, ovverosia respiro per meditare, affrontare il mare con tranquillità, e insieme capacità di domare i pensieri che premono nella testa per diventare storie, addomesticare la voce, l’irruenza delle parole, delle immagini.

Camilleri ha spesso parlato della propria ‘sicilianità’ come di una questione genetica spirituale culturale e filosofica. Una miscela di valori trasferiti pari pari nel suo personaggio, e magnificamente interpretati da Luca Zingaretti. È da notare che il primo romanzo della serie diventata nel tempo famosa e popolare ha un titolo emblematico, La forma dell’acqua (1994): fin dal primo momento per lo scrittore l’acqua è stata un luogo della mente e del cuore imprescindibile, onnipresente. Nella consapevolezza che l’acqua rappresenta l’abbraccio al quale si abbandonano i nuotatori che la amano e la rispettano, tanto più sapendo che il corpo, il peso e l’ingombro delle membra scompare magicamente nell’acqua, si volatilizza, diventa acqua nell’acqua, la quale non può assumere alcuna forma se non quella appunto dei corpi che vi si immergono. È questo il segreto del piacere che si prova nuotando: un abbraccio che sfiora e lambisce, simile a quello avvolgente e protettivo che culla i primordi della vita, in un essere che si va formando nel ricettacolo tondo di una madre.

Montalbano ha un fisico da nuotatore. Almeno il Montalbano cinquantenne, ovvero Zingaretti. Solitario al punto giusto come spesso sono i nuotatori che nel ritmo costante delle bracciate e del respiro, apparentemente monotono, fanno viaggiare la mente, i pensieri, e non si annoiano mai. Anzi, trovano nell’estasi solitaria e ipnotica di un contatto con l’acqua il momento migliore per stare con se stessi e acciuffare idee, fantasie, sogni. Persino illuminazioni improvvise, di quelle che, coi piedi piantati a terra, non sortirebbero tanto facilmente.

È pastosa la nuotata di Montalbano-Zingaretti, grintosa, quasi focosa, passionale, a volte incontrollata, con tante sbavature di potenza, di umore ‘nivuro’. Certamente una nuotata che oscilla tra una necessità di calmarsi, di sciogliere la tensione nella dimensione informe del mare, senza asperità oppure ostacoli (se non il corpo molle di un “catafero” nel quale un Montalbano in preda al terrore si imbatte al largo, Il giro di boa), e il piacere di un abbandono quasi erotico nel perdersi senza meta lontano, verso il confine ultimo del mare, mai seguendo la costa, immemore, appagato e felice. I due stili di nuotata differiscono: il primo strappa la bracciata, affanna la respirazione, produce spruzzi; il secondo trova una cadenza di balletto, rallenta la respirazione ogni tre bracciate, si gode un’andatura quasi automatica, lasciando che il corpo, i muscoli, facciano tutto da soli.

Montalbano non solo ama nuotare, spesso al mattino, con luce d’alba, cieli chiari e un mare tavola, non disdegnando l’impatto con un’acqua gelata che risveglia e rimette in vita. Nuota rischiando a volte crampi: «Principiò a nuotare a bracciate lente e larghe. Il sciauro del mare era violento, trasiva pungente nelle narici, pareva sciampagna. E Montalbano quasi s’imbriacò, perché continuò a nuotare e a nuotare… compiacendosi d’essere addiventato una specie di pupo meccanico. A farlo tornare di colpo omo fu il crampo improvviso che l’azzannò al polpaccio della gamba mancina» (Il giro di boa). Nuota a occhi “inserrati”, a volte in apnea, spingendosi in profondità a cercare un’auto affondata col morto, senza muta, orgoglioso di possedere la resistenza della gioventù nonostante i 53 anni, «di essere stato ancora in grado di cimentarsi in quelle faticose immersioni» (L’odore della notte). Ma nuota persino a «morto, senza pinsari a nenti», galleggiando come un ramo, leggero e inconsistente come una foglia (La gita a Tindari), tenendo gli occhi chiusi come nel sonno oppure guardando le nuvole (i ‘nivuli’), anzi respirandole, per poi tornare a casa, buttarsi sul letto «tutto vagnato com’era, e s’addrimmiscì» (Il ladro di merendine).

Oltre a ciò, come tutti gli innamorati dell’acqua marina, Montalbano ha bisogno di stare lungamente a guardarla dalla verandina, ammaliato, di osservare da solo o in compagnia uno scenario che non stanca mai gli occhi. E quando il mare è in tempesta, sotto le sferzate di tramontana, gli pare ancora più seduttivo, se tiene a freno la paura allo scorgere in lontananza le luci tremolanti dei pescatori in pericolo. Adora camminare sulla battigia, ascoltando il rumore dei pensieri misto a quello della risacca, una «passiata a ripa di mare», magari sino al faro, con l’aria fresca che pulisce pelle, polmoni, fantasie.

Il ‘vecchio’ (per modo di dire) Montalbano, alias Zingaretti, nuota a braccia tese, senza piegare il gomito come sarebbe opportuno, quasi incrociando le braccia, la destra spingendola più lunga sopra la testa, e questa troppo alzata durante la respirazione. Una nuotata non ortodossa, un po’ rudimentale, ma di potenza. Il giovane Montalbano, alias Michele Riondino, ha una nuotata diversa, coerente al suo fisico sottile, longilineo: una nuotata delicata, più composta, mai strappata. Capace di uccidere in situazioni di emergenza, o nervoso sino al punto di litigare in maniera violenta (mentre il vecchio Montalbano-Zingaretti ama in prevalenza fare ricorso a battute sarcastiche), entra in mare persino di notte, temerario, in una sfida che ha dalla sua la vitalità di un giovane a volte incosciente, ignaro che il mare può tradire e tramutarsi in fatale nemico.

Tali differenze sono evidenti soltanto nella versione televisiva, naturalmente. Camilleri, il suo mare di Sicilia lo teme, lo onora, lo rispetta sempre, apparecchiando al lettore parole che sanno descrivere la furia del mare tra fascinazione e paura, il misterioso potere dell’acqua attraverso aggettivi e soprattutto verbi tanto vividi, eloquenti, da dipingere un quadro dove la forma del mare si può non soltanto vedere e toccare, ma odorare e ascoltare, perfino assaggiare quasi fosse un piatto di arancini, di triglie fritte, di «patati cunsati» che «poteva essere nenti e poteva essere tutto a seconda della mano che dosava il condimento….» (L’odore della notte). È un mare tempestoso, affamato, voracissimo, che divora la spiaggia: «Tirava infatti una tramontana gelida e stizzosa, la rena s’infilava negli occhi e nella bocca, i cavalloni partivano alti sulla linea dell’orizzonte, s’ammucciavano appiattendosi darrè a quelli che li precedevano, ricomparivano a picco a filo di terra, s’avventavano, affamati, sulla spiaggia per mangiarsela» (La revisione).

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