Luca Zipoli
A proposito de "Il quaderno di Nerina”

Poesia delle parole

La nuova raccolta poetica di Jhumpa Lahiri, la narratrice bengalese che scrive (quasi) esclusivamente in italiano è un ricamo intorno al senso delle parole. Il suono della nostra lingua diventa un paesaggio dell'anima che coglie i segni della nostra storia. Anche letteraria

Dal cassetto di una vecchia scrivania scoperta in casa, a Roma, riemergono alcuni oggetti dimenticati dai precedenti proprietari: cartoline mai spedite, vecchi francobolli, un paio di foto. Spunta poi – ancora più inaspettatamente – un quaderno dalla copertina fucsia e ricco di poesie manoscritte e inedite, che si presenta privo di qualsiasi dettaglio se non quello che appare essere il nome dell’autrice, vergato sulla copertina: “Nerina”. È questa la circostanza da cui prende il via Il quaderno di Nerina, il nuovo librodi Jhumpa Lahiri, autrice americana, nata a Londra da genitori bengalesi, e che da dieci anni scrive pressoché esclusivamente in italiano (Guanda, 2021, 200 pagine, 14€). Il libro è il quarto che l’autrice Premio Pulitzer ha scritto direttamente nella nostra lingua, dopo i saggi In altre parole (2015) e Il vestito dei libri (2016), e il romanzo Dove mi trovo (2018), tutti editi da Guanda, ma è il primo in cui, staccandosi dalla prosa, sceglie la forma della poesia.

Riprendendo il fortunato topos narrativo del “manoscritto ritrovato”, Il quaderno di Nerina si presenta, infatti, come l’edizione di questo perduto manoscritto, costituito da 90 liriche ordinate in 7 sezioni e che l’autrice, nella prefazione, dice di aver ritrovato casualmente nella casa romana in cui si è trasferita da diversi anni con la sua famiglia. La misteriosa autrice del quaderno rivela il suo spessore poetico fin dal nome, che è lo stesso di un personaggio dell’Aminta di Tasso e della donna immortalata da Leopardi nelle Ricordanze. Priva di un’identità anagrafica ben definita, l’io lirico mostra degli indubbi tratti in comune con Lahiri stessa, dall’esistenza divisa tra varie città e culture (Roma, Londra, Calcutta e Boston), alla compresenza in sé di più lingue (il bengalese, l’italiano e l’inglese), dal profondo legame con la propria famiglia all’amore per la letteratura. L’alter ego poetico, in cui Lahiri evidentemente si rispecchia, non è però la sola protagonista del libro, perché a lei si affianca un altro personaggio misterioso, la curatrice Verne Maggio, italianista in Pennsylvania, che nel volume cura la nota al testo introduttiva, l’ordinamento delle liriche e le note di commento. Terza figura di scrittrice all’interno del volume, la studiosa non si limita però a un ruolo puramente servile nei confronti dell’opera che sta curando, e in molti casi le sue notazioni aggiungono significati ulteriori a quelli delle poesie, creando un ricco cortocircuito tra le liriche e il loro commento.

Sono tanti i temi che s’intrecciano in questa silloge poetica, da quello del viaggio (a cui è dedicata la sezione Peregrinazioni) a quello della famiglia (presente soprattutto in Generazioni), dalla descrizione di frammenti di realtà (Osservazioni)all’amore per l’italiano (Accezioni). Nel corso della raccolta, attorno a questo io lirico misterioso si disegna un’identità multiforme, composita, in cui coesistono varie lingue, diverse culture e che trova la sua definizione proprio in questa continua metamorfosi, nell’assenza di una caratterizzazione fissa e definitiva. Non a caso, la raccolta si apre emblematicamente su una poesia, Sparizioni, in cui il motivo ricorrente è quello della scomparsa improvvisa di oggetti, che quando vengono ritrovati in un secondo momento suscitano nel soggetto un’agnizione rivelatrice, a testimoniare come siano solo la perdita, lo smarrimento imprevisto, a permettere di ritrovarsi, di giungere a una definizione più complessa (e per questo più autentica) della propria identità.

Dal punto di vista stilistico, le liriche del quaderno privilegiano il verso libero, con prevalenza di versi brevi, e sono contraddistinte da una sintassi piana, che è funzionale a mettere in risalto i singoli vocaboli e i sintagmi che di volta in volta il testo vuole valorizzare. Da segnalare è anche la presenza di alcuni scarti linguistici rispetto all’italiano standard, che non sono da considerarsi come sviste ortografiche dell’autrice non madrelingua ma come tracce della sua poliglossia, volutamente lasciate a testo con l’obiettivo di plasmare una lingua poetica nuova, che è in grado di raggiungere significati più profondi proprio grazie ad alcune scelte grammaticali non consuete. Quest’approccio linguistico innovativo è evidente soprattutto in Accezioni, una sezione in cui l’autrice commenta alcuni dei vocaboli italiani che ha più amato scoprire nelle sue letture, e ne mostra la potenza espressiva attraverso alcuni procedimenti stilistici (paronomasie, neologismi, spostamenti di accento) che non sono meri sfoggi retorici ma potenzialità comunicative già insite in quelle parole e che la poetessa esplicita nel loro significato. Infine, le poesie sono intessute di diverse citazioni da testi letterari, da Leopardi a Yeats, da Natalia Ginzburg a Massimo Bontempelli fino a Elena Ferrante, che contribuiscono a definire il retroterra culturale e tematico in cui si è formata e arricchita l’identità della poetessa.

Densa nei contenuti e cesellata nello stile, la poesia di Jhumpa Lahiri, giunta dopo una lunga produzione in prosa prima in inglese e poi in italiano, appare già intensa e matura. In conclusione, Il quaderno di Nerina è consigliato sia a chi già conosce la scrittrice, e che la ritroverà qui in una sorta di nuovo esordio, in cui alcuni suoi temi chiave sono declinati in un’inedita forma poetica; sia a chi si approccia per la prima volta alla sua opera, e che troverà in questo libro una raccolta poetica italiana del tutto peculiare, perché generata da uno sguardo altro sulla nostra lingua e sulla nostra tradizione letteraria. Perché, in fondo, la spinta originaria di questa poesia è «spiegare | nel mio piccolo | come io | voglio bene | all’italiano» (p. 96).

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