Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Storie di malinconia

La “fisica della malinconia” di Georgi Gospodinov, la casa dei piaceri e dei segreti di Andrea Camilleri e gli incubi argentini di Samanta Schweblin: tre modi di raccontare i sogni e la solitudine

Labirinti. L’autore di Fisica della malinconia è Georgi Gospodinov (classe 1925), uno dei più noti e premiati della Bulgaria, meritoriamente tradotto in italiano dalla casa editrice Voland (320 pagg., 15 Euro). Il titolo è splendido. Potrebbe chiamarsi anche smarrimenti o labirinti. È composto da capitoli, alcuni dei quali brevi e acuminati, cui non possiamo che sentirci vicini e partecipi. Racconti, resoconti, pensieri ma, come ha scritto Hemingway «Il lettore è libero di accogliere questo libro come un romanzo». L’autore indugia sovente sul mondo visto come un ansiogeno labirinto: «Questo Minotauro non è spaventoso, ma triste. Un Minotauro malinconico». Già, la malinconia «ha il suo pane», e questo pane contiene smarrimento, indecisione su quale strada imboccare.

Curioso anche un argomento trattato dal narratore bulgaro. Il compratore o il venditore di storie vissute. Lo è stato, Gospodinov. «Ho comprato (pagando davvero, ndr) questa storia alla fine di ottobre, nei pressi della frontiera greca… una donna incinta che stava attraversando il confine… ha preso i soldi… non sono sicuro che abbia capito». E ancora: «Che guadagno ne ricavo?… posso muovermi lungo i corridoi di tempi diversi. Possedere l’infanzia di tutti quelli dai quali l’ho comprata, possedere le loro donne e i loro affanni. Per ammucchiarli nei cassoni di Noè di quella cantina». Un mercante di storie. Non è poi questo l’essenza del mestiere dello scrittore? Storie tutte vere, naturalmente. «Sono l’uomo che compra il passato. Una volta provarono a vendermi il passato di una nazione intera, lo rifiutai».

Bordello. Questa è la storia di una casa chiusa. Storia che ne contiene altre. L’autore è Andrea Camilleri, il testo è stato pubblicato dalla Mondadori nel 2006. L’editore Sellerio, che ha lanciato il compianto narratore siciliano, lo ha riportato nella sua elegante scuderia. Scrive nella nota finale l’autore: «Questo scritto intende essere semplicemente una vacanza narrativa… non è un racconto storico né un racconto poliziesco, è un racconto fortunatamente inqualificabile… e non è autobiografico». S’intitola La Pensione Eva (211 pagg., 14 Euro). Tre ragazzini, tra cui Nenè, sognano lo «sciauro» (profumo) e il corpo delle “signorine”, che a scadenza stabilita cambiano città. Venivano chiamate “la quindicina”. Vicende anche di amore appassionato, di spionaggio politico (a favore del Pci durante il fascismo), di suggestioni religiose. La “casa” si trova a Vigata, cittadina inventata da Camilleri e teatro delle imprese del commissario Montalbano. Per esempio, durante un bombardamento alleato una delle ragazze sale sul tetto a vedere le stelle. A un certo punto scende davanti a lei un paracadutista “mericano”. Lei crede sia un angelo. Lo nasconde in un contenitore senza acqua, gli porta da mangiare e alla fine racconterà tutto alla maitresse Flora. Al ragazzo viene concesso di pranzare con le prostitute (divieto assoluto di “consumare”). Lì fa anche i compiti e prende lezioni da alcune donne più acculturate di altre. Curiosa anche la vicenda di un “baronello”, ultra sessantenne che s’innamora perdutamente di una sensuale ragazza. Il padre si irrita e gli taglia i fondi. Capita che una bomba sventri la sua villa. È ritrovato un braccio, il suo anello infilato a un dito. Ovviamente è dato per morto. A guerra pressoché finita, Nenè lo ritroverà a bordo della sua fuoriserie e scoprirà il mistero della sua apparente morte… Alla Pensione Eva le vicende si accavallano. Alcune molto strane. Come quella di Stefano che aspetta nel salone il suo turno. Ha con sé una valigetta. Passa molto tempo nella stanza di Liuba e desta curiosità. Flora scoprirà che nella valigetta ci sono due abiti, quello di un prete e quello di una suora. Stefano si veste da suora e si confessa e racconta del diavolo che lo tormenta. Nenè, passati mesi avventurosi altrove, torna a Vigata con un amico. La Pensione è ridotta in macerie, ma nessuno è morto. I due mangiano pesce e bevono tanto vino in spiaggia. Poi tornano là dove c’era il miraggio del piacere. Nenè accetta dall’amico una sigaretta. Non aveva mai fumato. Camilleri conclude così il romanzo: «E si fumò la prima sicaretta della sua vita».

Per strada. È possibile che un racconto sia insieme drammatico e divertente? Sicuramente sì, a patto che la penna sia ottima. È il caso di Samanta Schweblin, una delle scrittrici argentine di maggior spicco (nel paese delle pampas ci sono molti cognomi tedeschi e italiani). Il filo conduttore è rappresentato dalla curiosità per le case altrui. Come recita il titolo: Sette case vuote (edizioni Sur,134 pagg., 15 Euro).  «Ci siamo perse, dice mia madre. Frena e si china sul volante. Le sue dita sottili da vecchia si aggrappano alla plastica». Questo è l’incipit del primo racconto. Madre e figlia hanno sempre condiviso un morboso interesse per le abitazioni degli altri. Non fa eccezione questo episodio: le due donne sono in auto e vagano tra le strade, il guaio è che è piovuto tutta la notte precedente. Procedere nel fango è difficile. A un certo punto devono tornare indietro, ma la madre facendo manovra invade il giardino di una villa, e s’impantana. Esce la proprietaria, molto arrabbiata. L’anziana madre s’accascia sul sedile, l’altra dice di voler chiamare un’ambulanza. Ma chi paga i danni? Non abbiamo soldi, ma pagheremo, risponde la figlia della guidatrice. Per una serie di stranezze la madre entra nella casa, guarda dappertutto, si serve del bagno, si sdraia sul tappeto «come se volesse abbracciare l’intera villa». Dopo varie peripezie le due donne tornano a casa. La madre – e non è la prima volta – ruba un’antica zuccheriera, che va poi a seppellire nel suo giardino. Le raggiungerà la proprietaria della casa violata. Nel racconto intitolato Un uomo sfortunato (e non riveliamo perché, ovviamente) una bambina – è la sorella che racconta – beve una tazza di candeggina. Panico. La madre non sa cosa fare, si limita a chiamare il marito. Questi cerca di raggiungere l’ospedale, ma c’è molto traffico sull’avenida. Chiede alla figlia di togliersi le mutandine e con queste, sventolate come una bandiera, attira l’attenzione di un’autoambulanza. La bambina narrante si siede nella sala d’aspetto, imbarazzata per l’assenza delle mutande. Si avvicina un uomo di mezza età che, capìta la situazione, l’accompagna in un supermercato alla ricerca dell’indumento intimo. Lo trovano, di colore nero. Appena usciti l’equivoco è palese e lo “sfortunato” lo è una volta di più. L’autrice ha una prosa svelta, precisa e psicologicamente profonda.

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