Lidia Lombardi
Verso il Premio Strega/3

Sfide tra donne

Il gruppo Mauri Spagnol e il colosso Mondadori puntano al premio con due coppie di scrittrici. Vediamo quali sono le storie (e le chances) di Maria Grazia Calandrone, Lisa Ginzburg, Donatella Di Pietrantonio e Teresa Ciabatti

Doppio fuoco amico nella dozzina del Premio Strega per quattro scrittrici. Lo analizziamo in questa terza puntata dedicata a quattro titoli in gara ancorché facenti parte della stessa famiglia editoriale.

Il “doppio” più evidente è nel marchio Ponte alle Grazie, l’editrice nata a Firenze nel 1989 e presto diventata centrale nella vita culturale cittadina, poi – era il 1993 – acquisita dal Gruppo Mauri Spagnol attraverso Longanesi e trasferitasi a Milano. Allo Strega 2021 ha schierato ben cinque titoli, riuscendo a piazzarne appunto due tra i dodici finalisti. La coppia di autrici si fronteggia allora, fin dalla copertina: l’una mettendoci la faccia insieme con quella della mamma, perché la storia che narra è la propria storia, l’altra usando un dettaglio di una foto scattata nello studio di Morandi, una conchiglia conica, dentro la quale si “nasconde” la sua introversa protagonista.

Due vicende incentrate sulla famiglia. Che oltretutto trovano il nocciolo nell’apparente incomprensibile iato che si insinua tra i legami più stretti. Non sono di sangue per Maria Grazia Calandrone, più nota come raffinata poetessa. In Splendi come vita (224 pagine, 15,50 euro), invece, fa un romanzo del suo passato, che ruota attorno alla madre adottiva. E tutto il libro – tra ricordi, confessioni, riflessioni – è come una lunga lettera alla donna che la raccolse e protesse, bambina senza famiglia genetica. L’amore smisurato della piccola verso la persona che maggiormente le sta vicino si trasforma poi in disamore, tanto più algido quanto più senza un motivo preciso. Una sorta di rigetto da parte della figlia acquisita? Piuttosto una dolorosa perdita, che genera negli anni equivoci su equivoci, portando le due donne nel limbo della incomunicabilità. Tuttavia, la distanza, il rammarico sono anche i ganci che servono a risalire l’erta della consapevolezza di sé. La Calandrone cinquantenne, donna matura, guarda alla madre come donna, anch’essa matura. Scrive Franco Buffoni, che ha proposto il libro: “Il finale del romanzo ci riconsegna due adulte entrambe bisognose di amore e per questo amabili”.

Un muro tra due sorelle muove il plot di Lisa Ginzburg in Cara pace (256 pagine, 16 euro). Maddalena, la maggiore, è timida, quasi si nasconde in un guscio, un carapace appunto. Nina, la più piccola, è bella, capricciosa, egocentrica. Sono simbiotiche perché hanno costruito infanzia e adolescenza attorno a un vuoto.  Quando poi si allontanano, una a Parigi, l’altra a New York, mimano un contatto continuo grazie a Wathsapp. Il ritorno a Roma, nella casa dei genitori affacciata su Villa Pamphili, è come una svolta per Maddalena. Ripassa lucidamente, con improvvisa autonomia dal ruolo che le hanno imposto, padre e madre, amicizie, passioni, paesaggi, una storia d’amore e di abbandono immersa nel non detto. E’ frequente nella narrativa lo sviluppo della vicenda attorno alla riscoperta fatta dal protagonista dell’abitazione dell’infanzia – catalizzatrice di ricordi, e bilanci. Ginzburg però invece del consueto amaro epilogo della “letteratura sul ritorno a casa” conduce i personaggi principali verso la conquista di una “cara pace”, senza spettri e ombre. Annota Nadia Terranova, che ha promosso il libro: “Se la famiglia è un’istituzione sociale, un romanzo famigliare è sempre un romanzo politico: racconta i tic e le nevrosi dei legami dentro cui ci ingabbiamo da soli o da cui ci dimeniamo per liberarci, legami fondativi delle relazioni che avremo con il mondo. Nel solco di questa tradizione entra, con raro rigore e suprema eleganza” il romanzo di Lisa Ginzburg.

Ancora intrecci problematici dentro le quattro mura di casa, ancora la contrapposizione con la madre, il rapporto con la sorella: è tutto questo Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio (168 pagine, 18 euro), che entra in lizza con il glorioso marchio Einaudi (Calvino, Vittorini, Ortese, Morante…), leggi galassia Mondadori, nella quale la casa dello Struzzo entrò nel 1994. È il seguito, per quanto ben distinto, di L’Arminuta, terza opera narrativa della scrittrice e Premio Campiello nel 2017. Stessa ambientazione, il suo Abruzzo, stessa famiglia nella quale l’io narrante torna dopo lunghi anni a Grenoble. Irrompe come un vento improvviso in casa della sorella Adriana. E subito inverte il ritmo delle giornate, delle certezze, degli affetti. Ma in questo romanzo le due, nonostante certe incomprensioni, si sostengono a vicenda nella fatica del rapporto con la madre, assente e disinteressata. Loro da adolescenti e da ragazze hanno tappato la carenza affettiva con amori possessivi. Ma anche con l’aiuto reciproco. A questo riflette la donna arrivata da Grenoble, sullo sfondo del quartiere marinaro di Pescara, quel Borgo Sud che trasuda tradizioni nella parlata, nel cibo, nelle costruzioni, negli scorci sul mare, ma che diventa universale per effetto della trasfigurazione letteraria. “Donatella Di Pietrantonio – osserva Nadia Fusini, testimonial del libro allo Strega – si conferma scrittrice di grande forza e solidità, che sa trovare la parola esatta per dire i sentimenti, grazie a una scrittura scabra ma densissima, che ha un passo tutto suo nel solco di una solida tradizione”.

Più complesso e stratificato Sembrava bellezza uscito per i tipi della capofila Mondadori (240 pagine, 18 euro) e firmato da Teresa Ciabatti, già finalista allo Strega nel 2017 con La più amata. Libro in parte autobiografico (anzi di “autofiction”), anche qui tiene campo la contrapposizione tra sorelle, che però si allarga alle coetanee: la protagonista, ormai cinquantenne, incontra una compagna del liceo, allora bruttina come lei, ma la cui sorella, Livia, era bellissima, anzi modello di bellezza per quante, nell’adolescenza, la contornavano. Solo che un incidente, un tentato suicidio forse, ne ha cristallizzato l’esistenza, relegando il suo corpo invidiato in una mente che si ferma ai diciotto anni. Sui tempi della scuola si riavvolge la protagonista, ora affermata scrittrice che si gode il proprio riscatto professionale, umano, estetico anche, tuttavia con l’ombra di una figlia che non le parla e se n’è andata lontano. Ma torna il passato, che Ciabatti impasta con la cronaca italiana. Le adolescenti toscane sono influenzate dalla sparizione di Emanuela Orlandi, per esempio: vorrebbero avere la sua sorte per essere finalmente notate. È uno spiraglio sul tema di fondo del romanzo: l’inganno, il mistero, l’apparire e l’essere. Interrogativi che si catalizzano appunto su Livia, doloroso miracolo di avvenenza preservata dall’inconsapevolezza. Ha segnalato il libro allo Strega Sandro Veronesi, toscano come Ciabatti e vincitore l’altr’anno. Per lui “Sembrava bellezza” “è un racconto talmente colmo di menzogne – la prassi nella comunicazione degli esseri umani, insieme al nascondimento, al malinteso, alla reticenza, alle omissioni – che alla fine rasenta la più intima delle confessioni. È un romanzo straziante, perché è uno strazio ritrovarsi a vivere tutta la vita in un corpo così lontano dal canone condiviso della bellezza; è un romanzo esilarante, la cosa più vicina ai libri di John Fante che mi sia capitato di leggere. È un romanzo che spazia dalla vitalità alla morte (…) e sulla meravigliosa vertigine della mitomania”. Ed è, secondo le cronache, tra i più accreditati alla vittoria finale.

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