Agnese Falcarin
Alle Fonderie Limone di Moncalieri

Le sedie della verità

Valerio Binasco mette in scena "Le sedie" di Ionesco con Michele Di Mauro e Federica Fracassi di fronte a una platea, causa covid, piena di vuoti. Un'occasione importante per capire come la vanità, talvolta, metta a nudo la verità

Può essere molto emozionante andare a teatro, alle Fonderie Limone di Moncalieri, accanto a Torino, dopo mesi di clausura pandemica forzata e vedere Le sedie (1952) di Eugène Ionesco. L’obiettivo dell’autore era avere in scena una miriade di personaggi ma solo due attori che parlano ad un pubblico fantasma, ad una serie di sedie vuote riempite dalla loro immaginazione. Ma qui, quelle sedie vuote fanno parecchio effetto viste da una platea in cui i posti liberi sono almeno il doppio rispetto a quelli occupati… I protagonisti della pièce, diretta da Valerio Binasco, sono due vecchi ottantenni: marito e moglie, rispettivamente Michele Di Mauro e Federica Fracassi. Li vediamo muoversi all’interno di una stanza con un solo ingresso, una sola finestra e una grande catasta di sedie. In un tempo indefinito e quasi post-apocalittico la coppia vive la solita e ormai vecchia routine.

Con il passare del tempo, i due hanno costruito la loro piccola realtà di illusioni, si sono immersi nei loro ricordi deliranti che vengono ingigantiti e confusi. Entrambi hanno un gran bisogno di dire e di raccontare senza avere, in realtà, niente di nuovo da raccontare e nessuno che li stia effettivamente ad ascoltare. La conferenza, organizzata per comunicare al mondo il messaggio fondamentale che l’uomo ha impiegato tutta la vita per comprendere, diventa allora l’occasione per raccontare le loro paure, i loro desideri, i loro rimpianti, i loro sentimenti e la loro follia, che poi si rivelano essere gli stessi tipici di ogni uomo.

Lo Ionesco scrittore ama smontare il mito di artisti importanti facendoli apparire come parodie di loro stessi e questo atteggiamento lo ritroviamo anche nel suo teatro. Nelle sue opere i personaggi si comportano e reagiscono in modo esagerato ad avvenimenti tutt’altro che straordinari. Egli porge una lente di ingrandimento allo spettatore per mostrargli la futilità di un’esistenza che si dimostra spesso mondana e senza scopi e che risulta raggiungere il culmine della sua assurdità quando mostrata nella sua estrema verità. Ed è quest’ultima la chiave di lettura che Binasco ha adottato per questa messinscena.

Nonostante i dialoghi pieni di contraddizioni e non-sequenzialità, il procedere macchinoso e faticoso di questo testo e la necessità di comunicare che si trasforma in una vera e propria illusione di avere effettivamente qualcosa da comunicare, in scena ci ritroviamo di fronte a due umani (diventati ormai parodie di loro stessi) che sono intenti a recuperare i ruderi della propria esistenza e allo stesso tempo sono ben coscienti del fatto che il tempo per loro è ormai passato.

Ionesco ci presenta queste due anime vecchie che brontolano e si distraggono continuamente diventando ridicoli e Binasco, con gli attori, i tecnici e tutti i responsabili di questa nuova produzione, pone invece l’accento sulla malinconia della vita trascorsa e sull’assurdità di un sentimento come l’amore che, nonostante lo scorrere del tempo, non li ha mai lasciati.

Alla fine non possiamo fare a meno di provare una sensazione simile alla pietà per due vecchi abbandonati a loro stessi e senza uno scopo preciso che, per un breve momento, ci hanno accolti, ci hanno invitati ad attendere con loro e ci hanno ospitati nelle loro vite.

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