Anna Camaiti Hostert
Cartolina dagli Usa

Fantasmi americani

A un anno dall'assassinio di George Floyd, gli Stati Uniti sono sempre più segnati dalla radicalizzazione del conflitto tra repubblicani e democratici. I venti del razzismo non si sono placati e il Paese è ancora in preda alle lobby delle armi: lo scorso week end ci sono state sparatorie in 12 stati con un totale di più di 15 morti

È passato un anno dall’omicidio di George Floyd, ucciso barbaramente a Minneapolis da un poliziotto che ha tenuto il suo ginocchio premuto sul collo dell’uomo per 9 minuti e 30 secondi fino a farlo soffocare. Dopo il video della diciassettenne Darnella Frazier, che ha filmato la scena permettendo di vedere dal vivo l’orrore di quell’ assassinio a sangue freddo, altrimenti catalogato da parte della polizia come un incidente e imputato alla situazione medica di Floyd, sono accadute molte cose. A partire da quella data, infatti, manifestazioni inizialmente promosse negli States dal movimento Black Lives Matter si sono estese a tutto il mondo per rivendicare il diritto dei neri ad essere trattati e considerati cittadini di serie A a tutti gli effetti. E non solo negli Stati Uniti.

Inoltre Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd, è stato condannato da una giuria popolare. Anche questa è una cosa senza precedenti. Gli omicidi e i maltrattamenti da parte della polizia americana tuttavia non si sono fermati e riflettono il razzismo sotto pelle che è ancora presente nel paese. È nel suo DNA da sempre. Con particolare evidenza tra le forze dell’ordine. Non basta dunque che le mele marce vengano punite, come nel caso di Chauvin, non basta avere le cineprese che riprendono questi atti di violenza inaudita e non basta neanche la riforma della polizia, che è più che necessaria, se non si si riesce a estirpare il flusso dell’ingiustizia e della discriminazione dai cuori e dalle teste di queste persone. E questo è un problema che nel momento attuale di grandi tensioni sociali e politiche non sarà risolto facilmente.

Il paese infatti è preda di divisioni mai viste prima d’ora su tutti i fronti. Soprattutto sul fronte politico dove democratici e repubblicani sono più contrapposti che mai su tutte le decisioni da prendere a cominciare da quella commissione bipartisan che dovrebbe indagare sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Il partito repubblicano e i suoi elettori ritengono infatti in maggioranza che quel gravissimo evento non sia stato violento e se lo è stato è a causa di Black Lives Matter o di Antifa, della sinistra insomma. Inoltre nel partito repubblicano la maggioranza degli elettori ancora crede che il presidente legittimamente eletto sia Donald Trump e non Joe Biden. Il fantasma del vecchio presidente non solo non si è dileguato, ma sembra essersi impadronito dell’anima sempre più dannata dei repubblicani.

Ma anche sul piano sociale e razziale le tensioni sono profonde. C’è infatti il grave problema del controllo delle armi. Lo scorso week end ci sono state sparatorie in 12 stati con un totale di più di 15 morti. Anche i conflitti razziali ne risentono e non accennano a diminuire. La polizia ancora continua a uccidere neri e l’anno trascorso dalla morte di Floyd non sembra invertire la tendenza. In questo turmoil di contraddizioni a causa delle quali si tende a perdere la speranza, mi ha colpito profondamente la lettera di un padre nero al figlio di sei anni. Keith Magee pastore protestante e studioso di teologia si è trasferito con la famiglia dagli Stati Uniti nel Regno Unito. È stato il fondatore e il direttore del National Public Housing Museum a Chicago e si è speso come attivista per i diritti umani e la giustizia sociale. Dopo essere stato consigliere per gli affari religiosi nella campagna Obama for America e direttore del museo di African American History a Boston e Nantucket, lo studioso è adesso Visiting professor all’università inglese di Newscastle.

Nella sua lettera al figlio spiega perché ha ritenuto opportuno spostarsi dagli Stati Uniti in Inghilterra. In una recente intervista alla CNN specifica che per come stanno le cose in America al momento, non si sente sicuro a farvi crescere il proprio figlio. Infatti afferma che se pensa di portare suo figlio a giocare al parco sa che non sarà fermato o maltrattato. Zaydee, questo il nome del bambino, crescerà più sicuro nel Regno Unito Tra le considerazioni della sua lettera ce n’è una che mi ha particolarmente colpito perché, a dispetto di tutto, è un appello straziante a superare gli steccati razziali e a discutere insieme sulla storia controversa e contraddittoria di un paese che ancora ama. Per assicurarsi di avere un futuro. Magee ricorda al figlio “la fortuna di essere nato in un paese dove i sogni si avverano, almeno cosi dicono, e io spero che sia il tuo caso. Ma tu sei anche nato dentro una pelle nera e nell’America di oggi questo è ancora tragicamente un fardello pesante da portare. Ogni giorno prego di avere la forza di poterti aiutare a sopportare questo peso, di renderti fiero di chi sei e di insegnarti come navigare le correnti visibili e invisibili del razzismo”. Parla di decostruzione della mentalità razzista. E più avanti, incoraggiando la generazione del figlio ad impegnarsi per raggiungere obiettivi antirazzisti e di giustizia sociale scrive “i tuoi nipoti e pronipoti vivranno forse in un America nella quale la vera giustizia è valutata più positivamente dei semplici sogni. Dove tutti i poliziotti guarderanno a quelli come noi e penseranno di proteggerci e servirci (protect and serve è il moto della polizia americana) e non di neutralizzarci. Il processo di riconciliazione avverrà quando coloro che hanno la pelle scura e a cui è stato permesso di essere liberi dalle catene del trauma razziale, si sentiranno sicuri quando incontreranno un poliziotto invece di temere per le loro vite. Essere un non-bianco non significa avere un accesso minore al sistema sanitario, all’istruzione e alla sicurezza sociale. Il canale diretto scuola – prigione che affligge le comunità più povere e più nere sarà interrotto e tutti i giovani avranno la speranza di avere un futuro. Nessuno dovrà mai vedere un altro essere umano come un non pari suo a causa del colore della pelle. Credo che tale trasformazione richiederà decadi, ma se la morte orribile di Floyd significa qualcosa – il cambiamento deve iniziare da ora. Che gli americani siano uniti nel richiederlo e che si ritengano responsabili l’uomo nei confronti dell’altro finché non lo ottengono”.

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