Erminia Pellecchia
Oggi, alle 18, su Rai5

Una Cantata per sognare

Con «Trianon Opera», torna Roberto De Simone che ha riscritto la "Cantata dei pastori" in una versione che da un lato esalta la grande tradizione musicale settecentesca e dall'altra punta sul recupero di qualcosa che abbiamo perso: l'immaginazione

Un’esplorazione storica e antropologica sulla religiosità partenopea. Tra astrazione e pietas, cultura alta e sentire popolare, letteratura e oralità, storia e metastoria, allegorie medievali e metafore multisignificanti, compiremo, nocchiero Roberto De Simone, una affascinante traversata tra canto, poesia fonetica e musica di alta qualità sulla rotta della grande scuola napoletana del Settecento. Quella dei compositori «in grado di scrivere opere ricche di significati anche contraddittori» come Pergolesi, Cimarosa, Broschi, Giordano, Vinci, Bellini e Mozart, «il più grande artista creativo di sempre». Quella dei sopranisti, «i grandi cantanti evirati che, non per soldi ma per devozione, nel periodo natalizio, si esibivano nelle chiese e nei teatri parrocchiali per un vasto pubblico sia pur culturalmente differenziato»

Occasione sarà lo spettacolo Trianon Opera, prodotto dal Teatro Trianon Viviani in collaborazione con Scabec e Fondazione Campania dei Festival-Campania Teatro Festival, che debutterà oggi, 30 aprile, alle 18 su Rai5 (poi sarà disponibile su Raiplay), in attesa di goderlo dal vivo nello storico spazio di via Forcella la vigilia del prossimo Natale, come auspica la direttrice artistica Marisa Laurito. La messa in scena è del maestro ottantasettenne che con Davide Iodice – la regia televisiva è di Claudia De Toma – ha costruito un racconto onirico, giocato tra melodramma, sceneggiata, teatro di Pulcinella e opera dei pupi, intorno a Il Vero Lume tra le Ombre – più nota come Cantata dei Pastori – di Andrea Perrucci, orfana di un Sarchiapone «troppo abusato e scaduto in una comicità ai limiti del varietà».

Già, il barbiere pazzo e omicida, in questa particolare rilettura dove è stata recuperata la dimensione devozionale del teatro morale gesuitico, è assente. O meglio, riportato alla vocazione originale di fine Seicento di saltimbanco teso a smorzare, con lazzi circensi, i toni a volte troppo didascalici della rappresentazione. Su un palcoscenico pensato come un teatrino di marionette, lui stesso pupo «insieme ad attori che si muovono all’antica», avrà il ruolo di accendere la scintilla dell’ironia «senza la quale – avverte De Simone – non si fa cultura».

De Simone mette al centro la ricchezza della tradizione «contro il degradato vuoto della contemporaneità teatrale, musicale e cinematografica». Il teatro che si fa oggi – insiste – non fa più sognare. «É il frutto di una malintesa visione realistica, siamo totalmente invasi da un finto naturalismo per cui si recita col microfono in bocca, parlandosi addosso non più declamando». Questo neorealismo teatrale sta distruggendo l’immaginario dei sogni, accusa il regista e musicologo che in questo ultimo lavoro, complesso e poetico, vuole restituire al pubblico magia, mistero e stupore. La lotta tra bene e male che tesse il canovaccio della Cantata, cucito sulla trama ispirata dai Vangeli apocrifi e dal culto popolare del viaggio verso Betlemme di Maria e Giuseppe avversato dal diavolo che vuole impedire la nascita di Gesù, diventa metafora del conflitto che investe oggi la cultura in Italia.

Il diavolo non è più il crudele Belfegor, ma «una presunta cultura decisa, col pretesto di indagarli, ad ammazzare i sogni e che persegue la morte dell’immaginario con blabla sociologici». È amaro il maestro napoletano, trasforma la presentazione di Opera Trianon in una lezione magistrale. «Non so quali tremende conseguenze avvertiremo fra una trentina d’anni, quando dell’immaginario il pubblico italiano, abituato a rassicurarsi su tutto, e a informarsi su pc e telefonini, sarà totalmente privo. Era il teatro che lo alimentava, e il teatro non è qualcosa che accade a caso ma richiede artificio e professionalità altissima – lamenta –. Vorrei che la cultura ci riportasse ai vecchi giochi, al teatro delle marionette, a quello shakespeariano che con le sue scenografie dava allo spettatore la possibilità di immaginare, mentre oggi è invalso l’uso di scene costruite cinematograficamente, con elementi che non si giovano più della pittura scenografica che era artificio dello spazio. Oggi l’artificio non si intende più, è tutto reale, fagocitato dall’intenzione diabolica di una cultura nemica della creatività». Si rivolge ai genitori, agli insegnanti: «Educate i ragazzi all’immaginazione».

E lancia la sfida di un teatro-teatro che ritorni a sognare e far sognare, rinnovando l’amore mai spento, nel suo lungo percorso di ricerca, per la multiforme struttura drammaturgica della Cantata, allestita nel 1974 al San Ferdinando, seguita dall’adattamento televisivo – prima produzione a colori del Centro Rai di Napoli – andato in onda il 23 dicembre del 1977 sulla Rete 1. Nel 2000 la rimodula in saggio e ora la ripropone con questa riscrittura visionaria del secolare testo perrucciano, che ha “donato” – non ha voluto alcun compenso – ad un teatro, il Trianon Viviani, a lui caro.

Per il nuovo allestimento ha chiamato giovani talenti (tra i solisti della Nuova Polifonia diretta da Alessandro De Simone figura anche un fisarmonicista di sedici anni, per non parlare delle voci bianche del Coro Calicanto di Silvana Noschese e del piccolo Luca Lubrano nei panni di Benino) e nomi noti come Michele Imparato (Maria Vergine), Pino Mauro (Giuseppe), Rosario Toscano (Belfegor), Oscar Di Maio (lo scrivano Razzullo), Veronica D’Elia (Gabriello Arcangelo), Biagio Musella (il pescatore Ruscellio). Attori napoletani dalla grande tradizione popolare «che si affiancano – spiega – alla interpretazione delle arie di bravura della splendida coloratura vocale di Maria Grazia Schiavo. Una macchina concertante esaltata dalle scene di Gennaro Vallifuoco autore anche del sipario con richiami a Croce, De Filippo e ai ragazzi della Nave Scuola Caracciolo, dai fondali dipinti da Raffaele Di Maio, dai costumi fantasiosi di Giusi Giustino e dai pupazzi della burattinaia e contastorie Flavia D’Aiello.

Sarà, al momento, un’avventura, causa Covid, solo televisiva, sperando «che la Rai non metta i sottotitoli, come se l’arte non fosse in grado di esprimersi senza ausili didascalici», polemizza De Simone che per il piccolo schermo ha scritto un attualissima Entr’acte: «Ma mo, nfine arrivate, / a lu Trianon chiammate / pe’ misteriose vie / a recitare da nu munno a n’ato / sta Cantata / cu nu pubbrico assente in pandemia / senza sichi e senza sbattute ‘e mano / senza chi ce sente o ce vere / alla cecata, / cunzideranno chest’esibbizione / na partita a tressette cu lu muorto, / n’incontro ‘e boxe / senz’avversarie / addo chiavammo punie rint’a ll’aria / fino a mettere nderra / kappa-o l’avversario / cuntanno la vittoria».

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