Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Salvate la poesia!

Michael Edwards, poeta e saggista inglese, grande esperto di letteratura francese, spara a zero sui poeti del paese di Racine e Hugo: «Se parlassero del loro paese e fossero più presenti nella vita pubblica sarebbero molto più ascoltati. E i francesi capirebbero che la poesia non è una pratica per iniziati...»

La Francia avrebbe bisogno del suo Walt Whitman, di qualcuno che scriva un grande poema sulla nazione come è stato Leaves of grass per l’America. Come succede in Inghilterra, dove i grandi poeti prendono spesso ispirazione dall’antica poesia popolare. “Se i poeti francesi parlassero del loro paese e fossero più presenti nella vita pubblica sarebbero molto più ascoltati e i francesi capirebbero che la poesia non è una pratica per iniziati”. A dirlo è Michael Edwards, poeta e saggista inglese, professore al Collège de France e membro dell’Académie française, intervistato da Le Figaro sul ruolo dei poeti e della poesia oggi in Francia, paese in cui vive da oltre venti anni (https://www.lefigaro.fr/livres/poetes-a-la-tribune-20210324).

L’occasione è Le Printemps des poètes, la settimana dedicata alla poesia, istituita nel 1998 dall’allora ministro della cultura Jack Lang, cui è collegato un concorso per gli studenti. “Perché i poeti non partecipano più al dibattito civile in Francia?” chiede la giornalista. La risposta per Edwards è nel confronto fra la realtà francese e la tradizione del mondo anglosassone. “Guardiamo al passato: Victor Hugo è stato un grande cantore dello spirito nazionale, Lamartine ha fatto politica, Claudel e Valéry hanno avuto un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico, Péguy e Aragon hanno scritto sulla Francia, cosa che, secondo me i poeti oggi non fanno più. Yves Bonnefoy e Philippe Jaccottet, che ammiro moltissimo, hanno scritto di temi importanti, finanche essenziali, ma che non interessano la maggior parte delle persone. Hanno avuto un atteggiamento defilato rispetto alla vita istituzionale. Bonnefoy ha perfino rifiutato l’invito ad entrare a far parte dell’Académie” – aggiunge il letterato, che scrive in inglese e in francese i suoi saggi sui grandi delle due letterature, in particolare Shakespeare e Racine.

“Al contrario di quello che accade in Inghilterra e negli Stati Uniti – continua Michael Edwards – dove abbiamo visto la giovane poetessa Amanda Gorman rubare la scena a Joe Biden il giorno dell’investitura con i suoi versi sull’America. E non è stata la prima volta che un poeta ha celebrato l’insediamento di un presidente americano. È stato così per Kennedy, Clinton e Obama. In Inghilterra e negli Stati Uniti, da sempre, il potere politico onora i poeti e i poeti scrivono sulla vita della nazione”. In Inghilterra – ricorda ancora Michael Edwards – fin dal XVII secolo, esiste la figura del poeta ufficiale, il poeta laureato, sulle orme dell’antica tradizione che ha visto Petrarca cinto di alloro nella sala del Senato a Roma nel 1341. Sono stati poeti laureati Wordsworth e Tennyson che, in epoca vittoriana, ha rappresentato il Regno Unito al pari della regina e del primo ministro. Oggi il poeta laureato rimane in carica per dieci anni, fa sempre parte della casa reale, anche se non ha più l’obbligo di scrivere un poema per ogni occasione ufficiale come accadeva un tempo”.

“Negli USA, a partire dagli anni trenta, è la Biblioteca del Congresso a nominare il poeta laureato – prosegue Michael Edwards –. Abbiamo esempi di poeti famosissimi come William Carlos Williams e Robert Frost, per non parlare di Joseph Brodsky e Louise Glück che, in seguito, hanno vinto il Nobel per la letteratura”. A proposito di Nobel, Edwards ricorda che il riconoscimento attribuito a Bob Dylan non ha fatto che accrescere il prestigio della poesia in America. La poesia francese, al contrario, è assente da troppi anni da Stoccolma.  “Sono solo due i poeti francesi premiati nel corso del ‘900, Frédéric Mistral nel 1904 e Saint John Perse nel 1960, mentre l’Inghilterra ha avuto Yeats e T.S. Eliot nella prima metà del secolo, Derek Walcott nel 1992 e Seamus Heaney nel 1995”.  Inoltre – aggiunge – negli USA c’è il Pulitzer Prize per la poesia che ha sempre una grande risonanza come del resto il premo T.S. Eliot in Inghilterra mentre la notizia del Goncourt per la poesia rimane destinata a pochi eletti, cosa che non accade quando viene premiato un romanzo.  

Lo scarso interesse dei francesi per la poesia deriva dall’abbandono dell’oralità a favore di uno stile quasi mistico, il che spiega il successo della poetry slam di Souleymane Diamanka? “Non credo che si possa contrapporre la visione al suono. Quello che mi ha affascinato e rapito in Bonnefoy è proprio la voce che posso immaginare mentre leggo le sue poesie. Lo stesso Jaccottet dirà che è proprio attraverso la voce di una poesia che si può coglierne la visione. Mi sembra piuttosto che fra Bonnefoy, Jaccottet e la poetry slam ci sia la differenza che passa fra una cantata di Bach e la musica pop. È sicuramente meno accessibile. Parlando di parola, del ritmo che prende colui che ascolta una poesia, mi chiedo se a scuola i ragazzi imparino ancora le poesie a memoria e le recitano ad alta voce. In questo modo, il ritmo della poesia, che è un modo diverso di parlare e vedere, penetra per sempre i loro corpi e la loro memoria”. Come insegnare la poesia ai ragazzi? “Consigliavo ai miei studenti di leggere la poesia ad alta voce, nella loro testa, magari muovendo le labbra come si faceva una volta. Perché la poesia richiede un’attenzione molto più acuta della lettura di un romanzo. È perfino più facile leggere Moby Dick o Delitto e Castigo di un sonetto che parla una lingua diversa dalla nostra per poterci mostrare  il mondo in modo nuovo”.

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