Giuseppe Grattacaso
A proposito di "Us"

Noi e gli adolescenti

Il nuovo romanzo di Michele Cocchi, pur scritto (e uscito) prima della pandemia, è una riflessione di straordinaria attualità sulla condizione di quegli adolescenti che vivono in un mondo parallelo, solitario e virtuale, dal quale non riescono ad avere contatti con la realtà

Regola non codificata, ma certamente in vigore, vuole che di un romanzo si scriva, se non prima dell’uscita, nelle settimane immediatamente successive alla pubblicazione, che sono poi quelle in cui, nella maggior parte dei casi, si consuma la vita in libreria di un volume di narrativa. Esclusi casi eccezionali, e fatta salva ovviamente la permanenza dei classici di ogni epoca, la visibilità di un romanzo anche in tempi normali, che non sono certo quelli che stiamo attraversando, rischia di ridursi a pochi giorni, complice le malsane esigenze del marcato editoriale e la difficoltà di distinguere dall’una all’altra produzione.

Premessa necessaria per dire che scriverò di un libro che è stato pubblicato un anno fa e che peraltro ha avuto un riscontro piuttosto significativo, come merita, da parte della critica e di un pubblico, a quanto è dato sapere, variegato per età e per condizione culturale. Ho le mie buone ragioni, comunque, per proporre qualche riflessione su Us di Michele Cocchi, edito da Fandango (320 pagine, 17 Euro). Innanzitutto il romanzo è stato pubblicato nel marzo del 2020, insomma proprio all’inizio del lungo periodo di emergenza che ancora ci costringe a insoliti ritmi di vita. E un segregato, un autorecluso, un separato dagli altri, esiliato dal mondo, è il giovane protagonista della vicenda, Tommaso. Il ragazzo da più di un anno vive da confinato, pur senza pandemia in atto, almeno non di carattere virale, che non sia quel virus che costringe tanti, in particolare adolescenti, a rinchiudersi in un mondo virtuale, fatto di videogiochi e di assenza di relazioni vere, quelle cioè che avvengono “in presenza”, come ci siamo ormai abituati a dire. Tommaso da un po’ di tempo si trasferisce ogni sera in un suo mondo parallelo, che è quello del videogame Us, nome che, come viene specificato nel corso della narrazione, va inteso come pronome personale inglese. Insomma il gioco si chiama Noi e questo qualcosa vorrà pur dire.

“Niente scuola, niente sport, niente amici. Che vita è? Sempre attaccato a quel coso”. Così lo apostrofa sua mamma, che inconsapevolmente sembra stia parlando della condizione di tanti adolescenti durante il lockdown, quello che a partire dal marzo dello scorso anno ci ha riguardato tutti. Del resto Tommaso cerca di non ascoltare, “indossa uno scafandro e fluttua nel vuoto, astronauta senza gravità”. È il suo modo per difendersi, per esistere “senza essere nel tempo”. Condizione che sappiamo oggi tutti riconoscere, che abbiamo in qualche modo sperimentato, senza essere degli hikikomori, senza essere vittime della condizione patologica di ritiro sociale, che appartiene al buon Tommaso.

Il romanzo di Cocchi ha insomma il merito di farsi leggere con ancora più interesse a un anno dalla pubblicazione. La realtà si è affaccendata ad aggiungere contenuti imprevisti al vivere di tutti i giorni, che Cocchi aveva già in precedenza in qualche modo recepiti. Capita quando un’opera narrativa, come dovrebbe sempre essere ma come avviene sempre più raramente, non si sforzi solo di piacere, non spenda buona parte delle sue energie nella costruzione di un intreccio mozzafiato, ma ci ponga di fronte a qualche idea forte, a un sentimento del mondo.

Michele Cocchi, che è psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza e ha all’attivo i racconti di Tutto sarebbe tornato a posto (Elliot), con cui ha esordito nel 2010, e i romanzi La cosa giusta (Effigi) e La casa dei bambini (Fandango), costruisce una narrazione che ha dentro tante cose e che costringe il lettore a posizionare in maniera instabile il proprio punto di vista, oscillante, come quello di Tommaso, tra una realtà costantemente in sospensione e un mondo virtuale che appare straordinariamente realistico. Del resto il protagonista, pur nel suo isolamento da autoconfinato, vive con grande partecipazione le vicende del videogioco a cui prende parte e che gli chiede di terminare cento “campagne” di un’ora e mezzo ciascuna. Le missioni possono portare i partecipanti a sostenere la popolazione serba nel corso della guerra che dilaniò all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso quel territorio che allora si chiamava Jugoslavia, o essere a fianco dell’esercito italiano nel terribile episodio, voluto dal regime fascista durante la guerra d’Eritrea, dello sterminio operato nel monastero etiope di Debre Libanos, o ancora vivere le vicende che portarono alla conclusione del regime dell’apartheid in Sudafrica. Come suggerisce Tommaso “con Us hanno inventato qualcosa di unico: (…) ciò che scegli di fare durante le missioni non modifica soltanto l’esito della partita, ha a che fare con te, e soprattutto coi tuoi compagni, che non sono più pixel, ma persone in carne e ossa”. Insomma la realtà quotidiana e quella quotidianamente virtuale si intrecciano, e la seconda ci porta inaspettatamente, ma in maniera estremamente opportuna, a porci domande e sviluppare riflessioni sulla storia più recente, quella del Novecento, su tante vicende che ci riguardano ancora da vicino, su cui gli adolescenti vorrebbero sapere, ma che la scuola finisce per affrontare solo in maniera molto marginale. Che ne sanno i nostri studenti delle scuole superiori della guerra d’Etiopia e del comportamento dei nostri soldati?

In qualche modo Tommaso cerca di riappropriarsi di un legame con gli altri, con le sue difficoltà e le sue contraddizioni, attraverso il videogioco Us, delegando la ricerca al suo avatar Logan, che partecipa alle avventure in squadra con Rin, la ragazza amante dei manga, e con Hud, il più spregiudicato dei tre, che a volte può apparire cinico, ma che invita i compagni a considerazioni inedite o comunque non scontate. Di fronte ad esempio alla volontà di scegliere tra una posizione giusta e una ritenuta sbagliata, fa notare come “a volte si fa quello che è necessario fare e stop, non c’è scelta”. È proprio Hud però che considerando l’azione militare di Debre Libanos, dove l’esercito fascista italiano massacrò tra le diecimila e le trentamila persone, e lo sconcerto suo e della sua squadra, esclama che la colpa è della generazione dei genitori: “Ci fanno credere che si può avere tutto, che tutto è possibile, senza raccontarci la verità. Ci lasciano marcire nella nostra zona di comfort, senza farci pensare a niente”.

In effetti, anche la frattura tra Tommaso e la sua famiglia, e in particolare i suoi genitori, continua a dilatarsi: il ragazzo resta chiuso in un suo spazio separato dove “deve pensare solo a galleggiare” e nel quale non deve confrontarsi con gli altri, “nessuno può chiedergli nulla o pretendere qualcosa da lui”; la mamma e il padre provano, con i mezzi inadeguati che hanno a disposizione, a dialogare, ricavando solo sconfitta e frustrazione e dunque alimentando il distacco.

I tre avatar si incontrano prima di ogni partita in “anticamera”, dove hanno la possibilità di considerare le loro azioni, in qualche modo di conoscersi, anche se il gioco li costringe, pena la squalifica, a non parlare della loro vita reale. La vicenda virtuale, anzi le varie situazioni che si realizzano in diversi e spesso lontani scenari, li porta a capire che “ogni uomo – come si esprime il personaggio di Rolihlahla nel giorno della riconciliazione in Sudafrica – è legato agli altri uomini, deboli o forti che siano, e che tutti gli uomini sono legati a ciò che li circonda. La guerra (…) fa male agli uomini, ai vinti così come ai vincitori”.

Us, il romanzo, è insieme una delicata vicenda personale, di un ragazzo che vive con sofferenza la sua volontaria esclusione dal mondo, ed è storia di tutti, quella che tendiamo a dimenticare e che invece sempre irrompe nelle vite con la sua forza e le sue domande. Tommaso potrebbe riuscire ad uscire dal suo isolamento e liberarsi dal suo scafandro, tutti noi altri scrollarci di dosso lo stato abulico in cui da tempo ci siamo ritrovati, solo stringendoci, come suggeriva il Leopardi de La ginestra, in una “social catena”, o come dice il Grande Saggio del videogioco Us, sapendo che “la fratellanza è indispensabile, soltanto se vi sosterrete l’un con l’altro arriverete alla fine”.

Ce la farà Tommaso a superare il confine rappresentato dal perimetro del giardino di casa, che non oltrepassa da quattordici mesi? Ce la farà a sentire i suoi compagni di squadra come fratelli? Ci riusciremo Noi?

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