Marco Ferrari
Quasi un "giallo" storico/letterario

Dante in Argentina

Il monumentale Palazzo Barolo di Buenos Aires conserva alcuni misteri: venne edificato per ospitare le ceneri dantesche, temendo che le guerre "europee" potessero distruggere la tomba di Ravenna. Perciò l'architetto Mario Palanti vi costruì un inferno, un purgatorio e un paradiso...

Dante a Buenos Aires, come a Firenze, a Ravenna, in Lunigiana. A 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, la casa editrice Colihue ha presentato la nuova traduzione della Divina Commedia realizzata da Claudia Fernández Speier nel paese dove più forte è l’italianità. Non a caso, nella capitale argentina c’è uno dei maggiori templi danteschi, legato a un grande mistero: Palazzo Barolo, nella centralissima Avenida de Mayo, numero civico 1370, un enorme labirinto dedicato al fiorentino, gemello di Palazzo Salvo a Montevideo.

Quale era lo scopo dell’edificio più alto della metropoli rioplatense? Il progetto era quello di portare le spoglie del Sommo Poeta in quella che fu nel primo Novecento la nuova grande capitale degli italiani, dove negli anni Trenta gli italiani superavano per numero tutti gli altri abitanti. A ideare il trasferimento furono un architetto, Mario Palanti, e un industriale, Luigi Barolo, entrambi massoni. Nato a Biella nel 1869, Barolo sbarcò dall’altra parte dell’Atlantico nel 1890, avviò un importante cotonificio a Valentin Alsina e divenne importatore di macchine tessili. Ad appassionarlo all’idea fu l’architetto Mario Palanti, nato a Milano nel 1869, accanito lettore della Commedia e arrivato in Argentina nel 1909 per costruire, assieme a Francesco Gianotti, il Padiglione Italiano all’Esposizione del Centenario dell’indipendenza dello Stato latino-americano, celebrato l’anno successivo. Sono loro gli artefici di Palazzo Barolo, dal 1997 monumento storico nazionale, dove è stato riattivato il grande faro che porta sulla cima, grazie al contributo dello Stato italiano per celebrare il Bicentenario dell’Indipendenza.

Dopo la guerra 1915-18, Palanti e Barolo temevano che una nuova catastrofe bellica si abbattesse sull’Europa e in particolare sull’Italia distruggendo l’ingente patrimonio storico-artistico della penisola, tra cui, appunto, il tempietto di Ravenna dove si conservano le ossa di Dante.

Costruito dall’architetto Camillo Morigia nel 1780, il tempietto è in stile neoclassico. All’interno, sopra il sarcofago, vi è un rilievo di Pietro Lombardo scolpito nel 1483 e raffigurante Dante davanti ad un leggio. Al centro arde una lampada votiva settecentesca alimentata con olio d’oliva dell’Appennino toscano, donato ogni anno dalla città di Firenze, la seconda domenica di settembre.

Le previsioni dei due italo-argentini, come si sa, si rivelarono esatte, anche se il secondo conflitto mondiale scoppiò più avanti.

Per prima cosa, scelsero un terreno centrale, in Avenida de Mayo, l’arteria principale della capitale federale che porta dal Palazzo del Congresso alla Casa Rosada. I primi ostacoli che si trovarono di fronte furono le regole urbanistiche che imponevano edifici non più alti di 20 metri per non oscurare la cupola del Congresso Nazionale. Barolo, grazie alle sue entrature, riuscì a strappare qualcosa di più consistente: una costruzione cinque volte superiore al massimo consentito. I lavori ebbero inizio nel 1919 e si conclusero nel 1923, anche se i due avevano progettato di trasferire le ceneri nel 1921 in occasione dei seicento anni dalla morte di Dante. Tutti i materiali erano stati portati dall’Italia, come per esempio i marmi di Carrara, salvo l’ascensore che arrivò dalla Svizzera. Fuori da alcuni appartamenti è rimasta la scritta «Non buttate cose dalla finestra e non sputate» perché all’epoca il tabacco da masticare era molto diffuso e tutti sputacchiavano fuori.

Al momento dell’inaugurazione, era il 7 luglio 1923, compleanno del poeta fiorentino, Barolo non c’era più, era morto l’anno prima, senza vedere conclusa la monumentale opera che avrebbe per sempre portato il suo nome. Fino al 1935, anno in cui è stato inaugurato il Kavanag, il Barolo è stato l’edificio più alto di Buenos Aires. Il palazzo celebra la prosperità dell’emigrante italiano, la storia che si trascina dietro e la cultura della terra natia in un’epoca in cui a Buenos Aires la gente proveniente dall’Italia cominciava a superare per numero i nativi.

Mario Palanti, allievo di Brera e del Politecnico, pittore e sculture, costruì il suo capolavoro in uno stile architettonico che mischia elementi del gotico veneziano e architettura religiosa dell’India. A giudizio dello storico dell’architettura argentina Carlos Hilger, Palazzo Barolo è il miglior esempio dell’architettura esoterica degli inizi del secolo XX.

L’edificio riflette completamente il sistema letterario e simbolico della Divina Commedia. Sulla cima funzionava un potente faro che si poteva vedere anche dall’altra sponda del Rio de la Plata dove lo stesso Palanti ottenne di costruire un edificio gemello all’angolo tra Plaza Independencia e l’Avenida 18 de Julio, nel cuore di Montevideo. Le bugie del faro rappresentano i nove cori angelici e la rosa mistica. Sul faro c’è la costellazione della Croce del Sud, che si può osservare allineata con l’asse di simmetria del Palazzo Barolo nei primi giorni del mese di giugno alle ore 19,45. Il progetto prese le mosse dalla sezione aurea come le misure del Tempio di Salomone e dal numero d’oro, in proporzioni di origine sacre che l’architetto individuò nella metrica della Divina Commedia. La divisione del palazzo corrisponde alle sezioni del poema: Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Il piano terra è l’Inferno, i primi 14 piani sono il Purgatorio, i restanti sono il Paradiso, il faro rappresenta l’occhio vigile di Dio. Il numero di gerarchie infernali è il nove, come nove sono le volte d’accesso all’edificio, che rappresentano passi d’iniziazione. Ognuna delle volte ha frasi in latino riprese da nove opere diverse, dalla Bibbia a Virgilio. La cupola si ispira al tempio induista Rajarani Bhudaneshvar, dedicato alla religione Tantra, rappresentando anche l’unione tra Dante e Beatrice.
I canti della “Divina Commedia” sono cento, come cento sono i metri di altezza del suntuoso palazzo. La maggioranza dei canti del poema hanno 11 o 22 strofe, i piani dell’edificio sono divisi in 11 moduli per fronte, 22 moduli di uffici per blocco. L’altezza è di 22 piani. Questo complesso di numeri rappresenta il circolo, che era la figura perfetta per Dante.
Le spoglie del poeta fiorentino avrebbero dovuto riposare sotto la volta centrale, su un piedistallo di bronzo nel piano terra, nel cosiddetto Passaggio Barolo. Quel visionario di Palanti preparò anche una statua di bronzo di 1,50 metri di altezza detta “Ascensione”, che rappresentava lo spirito di Dante. La statua poggiava i piedi su un uccello, un condor, a simbolo del viaggio eterno verso il Paradiso. Insomma, Dante sarebbe uscito dal Purgatorio per andare in Paradiso passando dalla Croce del Sud.

Due misteri restano incollati a questo edificio: nei versi 22-27 della prima parte del Purgatorio, Dante cita proprio la Croce del Sud. Come faceva a conoscere una costellazione non visibile dall’Europa e scientificamente identificata solo nel 1516? Il secondo riguarda l’autorizzazione data nel 1929 per l’apertura di una teca del Banco Rari nel Magazzino Manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze contenente due cimeli danteschi risalenti alle celebrazioni del 1865, sesto centenario della nascita del poeta. In quella occasione fu aperta la cassetta in cui riposavano le ossa di Dante per ricollocarle in un’urna più degna. Durante la ricomposizione, il tappeto sul quale poggiava la cassetta e il contenitore stesso furono liberati dai sedimenti, polvere e scaglie d’ossa del Sommo Poeta. Il notaio Saturnino Malagola autenticò questi prelievi che furono conservati in varie buste. Una di queste fu donata dallo scultore Enrico Pazzi, ravennate con studio a Firenze e autore della statua di Dante in Piazza Santa Croce, alla Biblioteca Nazionale. Le ceneri sono affiancate da una carta che ha ricevuto l’impressione del cranio di Dante. Erano forse destinate a Palazzo Barolo? Nessuno lo ha mai chiarito.

Le ceneri di Dante non uscirono mai dalla penisola per raggiungere la terra dove tanti italiani avevano costruito la loro seconda patria. La città dove Dante morì di malaria nel 1321 venne effettivamente bombardata durante la Seconda guerra mondiale, ma i suoi monumenti, tra cui il tempietto del Sommo Poeta, si sono salvati dal disastro bellico.

L’edificio di Buenos Aires resta un paradosso architettonico nella città dalla geometria rigorosa, quasi uno zodiaco, secondo Jorge Luis Borges. Molti simboli, sia nell’ascensore che ai piani, rimandano alla cultura massonica e ai suoi riti. Oggi, sotto il grande passaggio del palazzo si trova una reception in vetro per il portiere da dove partono le visite guidate alle strane forme progettate da Palanti che hanno attratto registi come Russell Mulcahy che ha ambientato qui alcune scene di Highlander II del 1991. Nel 2012 è uscito il video documentario El rascacielos latino, con la regia di Sebastián Schindel, che parla delle curiosità dell’edificio. Durante la visita si prende uno degli undici piccoli ascensori decorati e si sale sino alla sommità del faro. Alla fine, resta un certo fascino di mistero, grandezza ed esoterismo, come testimoniano le citazioni dell’edificio da parte del poeta peruviano Alberto Hidalgo e in alcuni brani di tango. Adesso nei piani di Palazzo Barolo sono ospitati soprattutto uffici di avvocati e commercialisti, ma anche appartamenti privati dove hanno vissuto inquilini importanti come l’ex Presidente della Repubblica Marcelo Torcuato de Alvear e la pittrice Raquel Forner.

Palanti divenne la firma più prestigiosa del modernismo architettonico argentino costruendo un centinaio di edifici, tra cui la Facoltà di Diritto, il Museo di Storia Naturale, il Cinema Presidente Roca, Palazzo Vasena a San Isidro, la Società di Mutuo Soccorso della Boca, lo Chalet Bancalari oltre alla Scuola di medicina di Rosario e il Gran Hotel Casinò di Mar del Plata. Non del tutto soddisfatto della ciclopica impresa, Palanti si trasferì a Montevideo dove costruì Palazzo Salvo di 26 piani. Poi nel 1930 fece ritorno in Italia non trovando altrettanto successo e vedendo progressivamente perire i suoi grandi progetti. Visse a lungo e morì nel 1979 restando un fedele adepto di Dante.

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