Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Orrori quotidiani

Tre libri che raccontano dolori e misteri: Harry Mulisch e il catalogo delle colpe durante il nazismo; Rodolfo Landini e un giallo apparentemente inspiegabile; Emma Cline e la disgustosa noia di Harvey Weistein

La memoria. Luci e ombre, metafore e allusioni rendono affascinante questo thriller lungo oltre trent’anni, ed evitano che la narrazione sia banalmente poliziesca, con false piste e fiuti da detective. L’autore è Harry Mulisch ed è stato rieditato dalla Neri Pozza. S’intitola L’attentato (240 pagg., 18 euro), e venne tradotto la prima volta da Feltrinelli 35 anni fa. Mancano quattro anni alla caduta del regime nazista e siamo ad Haarlem, in Olanda, in un quartiere dove tutto, anche i nomi delle strade evoca serenità. Mentre va in bicicletta, viene ucciso un certo Fake Ploeg, ufficiale del Terzo Reich occupante. Per motivi oscuri il cadavere è trasportato davanti all’abitazione della famiglia Anton. Per rappresaglia la casa degli Anton viene bruciata, anzi completamente distrutta. I genitori di Anton, protagonista di questa incredibile vicenda, sono uccisi. Il fratello di Anton scompare, miracolosamente. Anton, non ancora adolescente si trova dinanzi a un ufficiale tedesco, che decide di trasferirlo ad Amsterdam. Ovviamente viene sbattuto in una cella buia. Anni più tardi il giovane si ricorderà che in quell’antro privo di luce c’era una donna affettuosa, che lo abbracciava. Data l’oscurità e la frammentarietà, non riuscirà mai a delineare i contorni di lei. Durante un’incursione aerea, il pilota morirà. L’aveva in custodia. Ora Anton è completamente solo. Vestito di stracci, deve rendere ragione di sé a un nazista «lazzarone», che lo fa spogliare accorgendosi che non è ebreo. I tedeschi ridono, lo sbeffeggiano e in Anton cresce a dismisura il senso di colpa.

Col passare del tempo nel ragazzo il senso di colpa viene rimosso. Studia, diventa medico. Caso non certo fortuito: esercita la professione dell’anestesista. Questo è un lasso di tempo tra la morte e una nuova vita; una sorta di metafora. Quel che accade nel mondo non lo interessa per niente. Per caso, in un’osteria, ascolta da un ex esponente della Resistenza un racconto strano: sono io quell’uomo che ha fatto fuori il nazista e ha trasportato il cadavere ai piedi della casa di Anton. Basta un attimo e il medico ricorda tutto. Chi fa la confessione rimarca il malefico piacere del male, anche se mosso dall’intenzione di risparmiare la vita di tanti altri. E a sua volta avverte il senso di colpa: «Ma non nei confronti di Dio, che non esiste». Il mondo interiore dei due, del medico e dell’ex esponente della Resistenza è destinato a scombussolarsi.

Legami di sangue. Molti scrittori, tra cui Georges Simenon, non s’attardano a descrivere il detective (nel caso specifico Maigret) formulando una specie di carta d’identità. I suoi tratti fisici e caratteriali emergono durante il racconto. Rodolfo Landini, d’origine romagnola, e autore di molti libri, dotati di una prosa agile e senza inutili elucubrazioni, si premura invece di comporre addirittura una prefazione sul protagonista. Il commissario Lodovico Presti, vive da solo, odia la televisione, ama invece la lettura. Della sua vita privata non fa trapelare nulla. La sua passione è il mare, ma non ci vive ai bordi. Quando può, raggiunge il suo capanno lambito dall’acqua, ed è felice. Ed ecco uno dei suoi più lunghi racconti (in tutto sono sette), Miele assassino. Fa parte di una raccolta, edita da Oligo Editore (14 euro, 157 pagg., e intitolata Il passato è un fuoco che brucia). Qualche frase di troppo a essere proprio pignoli, ma la prosa di Landini scorre veloce e in modo corretto. Sono le due di notte e scatta l’allarme: ««moglie e figlio», gli dicono, senza bisogno di aggiungere altro. Marini, la vittima, è sovrintendente della Narcotici. “in quello che pare il soggiorno, davanti al televisore, due corpi senza vita. Una donna e suo figlio (otto anni), affetto da sindrome di Down. Primo inevitabile commento: «Un colpo di pistola alla nuca, peggio di un’esecuzione». Stanza da letto: Marini è vivo per miracolo, imbottito di vodka e altre sostanze. E la pistola dov’è? Prima incongruenza: la pistola ordinanza (di calibro diverso rispetto a quella che viene trovata nel cassetto blindato del comodino. Sullo stesso c’era un romanzo di Amos Oz, scrittore israeliano.  La seconda: la finestra del soggiorno, all’arrivo degli investigatori era aperta. Gli agenti s’affacciano. Presti raccoglie una testimonianza: Marino da qualche tempo non era più lo stesso. Presti va all’ospedale, il paziente si dice incerto: «Gliel’ho detto, ero sbronzo e avevo fumato uno spinello… forse volevo suicidarmi». Nemici: la vittima pronuncia un nome: «Adelmo Miele, lui sì che mi odia a morte». Si viene a sapere che Miele, indagato due anni fa prostituzione, (poi, segnalato in Questura come consumatore abituale di stupefacenti (poi prosciolto), è attualmente disoccupato. Tutto qui? Assolutamente no e qui sta il bello: «Pare che questo tale fosse il fidanzato della moglie del Marino, prima che questi la sposasse. Lo rintracciano, ma non ne esce nulla di importante. Presti: «Nessuna traccia di sparo e a questo punto l’unica fonte d’accusa è rappresentata da lui stesso». Non riveliamo altro, ovviamente, a parte un impiccato, la cui morte risale “certamente a qualche giorno orsono”. Poi è il rebus delle impronte sotto la finestra. Ma abbiamo promesso di fermarci qui, senza spiegare una storia davvero ben congegnata.

Un nome a metà. Non c’è bisogno, per la narratrice americana Emma Cline, precisare che l’orrido protagonista ha anche un cognome: Weinstein. L’uomo, che ha generato il movimento “me too”, ricattava le attrici: o vieni a letto con me o ti scordi di sognare di fare l’attrice o di continuare a farle la starlet. In una villa del Cennecticut, coltiva ancora delle speranze, tra cui quella di farla franca o iniettare in dubbio con la con stazione dei reati. Sbeffeggiando il destino aveva detto che molte delle sue prede avevano continuato a frequentarlo, “anche dopo”: non è questa la difesa principe a scudo della valanga delle accuse più sporche? La dichiarazione ha generato scandalo nello scandalo, e il suo spudorato equilibrismo voleva essere l’asso nella manica della difesa. Tirare mattina è cosa difficile per un uomo indebolito che attende l’arrivo dell’infermiera, sperando che gli “aggiusti un po’ la schiena”. In testa coltiva la speranza che i “favori fatti” – e sono tanti – siano un benevolo boomerang. Sbaglierà: la condanna è di 23 anni “per abusi sessuali”. Eccolo qui il protagonista, lessicalmente scolpito pure nell’omonimo titolo (Harvey, Einaudi, 104 pagg., 12 euro). Il predatore, che ricorda tanto i bersagli del detective del detective Clint Eastwood, è lì sul giardino antistante la villa, con braccialetto elettronico alla caviglia, grottescamente occultato da “calzini rossi papali”. Il racconto di Emma Cline è uscito sul New Yorker, col titolo Rumore bianco (famoso romanzo di Don Delillo). Ma nulla assolve “il produttore” il cui volto e il cui corpo paiono già una ributtante colpevolezza, «che trasformava in Oscar quel toccava». Re Mida, almeno, maneggiava oro. Senza fare vittime.

Facebooktwitterlinkedin