Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Cercasi letteratura

In Francia esce una conversazione tra Claudio Magris e Mario Vargas Llosa su letteratura e società. E i due scrittori tornano a dialogare sulla scrittura ai tempi del covid. La dittatura del mercato è arrivata dovunque: ormai domina anche la scrittura

Ci sono incontri fra grandi narratori che segnano un’epoca. Ne è un esempio la conversazione fra Mario Vargas Llosa e Claudio Magris sul ruolo dello scrittore e del romanzo, avvenuta nel 2009 presso la Biblioteca Nazionale di Lima. Per questo, la casa editrice francese Gallimard ha deciso di pubblicarne la trascrizione, tradotta con il titolo La littérature est ma vengeance, lo stesso dell’edizione mondadoriana del 2012. Le Figaro ha intervistato il Premio Nobel peruviano naturalizzato spagnolo e l’autore di Danubio in occasione dell’uscita del volume (https://www.pressreader.com/france/le-figaro/20210218/282428466895674/textview).

Nati negli anni trenta, francofoni, i due intellettuali hanno molti punti in comune. Nutrono profondo rispetto e ammirazione l’uno per l’altro. Hanno scritto regolarmente per grandi quotidiani (El Pais e Il Corriere della Sera), si sono cimentati nella politica attiva (sia pure in modi molti diversi) e hanno usato la letteratura per rivolgere uno sguardo critico e profondo sulla società. Entrambi lanciano un grido di allarme sul grande pericolo che minaccia il romanzo. «Oggi il problema della letteratura è la sua “frivolizzazione”. Si fa un gran dire che le persone durante la pandemia hanno ripreso a leggere. Ma, cosa leggono? Una letteratura superficiale, d’intrattenimento mentre proprio in questo momento la sua missione sarebbe quella di prendere di petto la realtà, scuotere e perfino irritare il lettore inquieto, metterne in dubbio le certezze» afferma Vargas Llosa ricordando che sono ormai rari gli scrittori convinti che un romanzo possa cambiare il corso della storia. «È impossibile oggi avere lo stesso sguardo di dodici anni fa sui rapporti fra la letteratura e la realtà. C’è stato uno sconvolgimento totale dovuto non solo alla pandemia ma anche al trionfo brutale dell’economia di mercato e alla globalizzazione di merci e sentimenti che ha cambiato il mondo più di quanto abbiano fatto gli eventi del passato, guerre comprese» gli fa eco Magris. «Conosco molti scrittori che durante il confinamento hanno perso la voglia di scrivere e perfino di leggere, oppure, al contrario, alcuni che hanno confessato di aver letto poco e di essersi messi a scrivere». 

Ma se oggi il romanzo ha perso il proprio ruolo e lo scrittore non ha più come scopo quello di lavorare sulla lingua e sullo stile, possiamo parlare di “postletteratura”? chiede l’intervistatore. «Non c’è più un Flaubert che per cinque anni lavora religiosamente su un saggio o su un romanzo» risponde Vargas Llosa. «In un mercato molto concorrenziale ormai i romanzi si scrivono solo in funzione della domanda anche se l’impegno dello scrittore dovrebbe essere determinante in questo momento di confusione fra verità e menzogna, a tutti i livelli della società. Il compito della letteratura, ricordiamolo, è mostrarci la verità. La letteratura è uno strumento di libertà». Dice, non senza amarezza, Claudio Magris: «Assistiamo al declino dell’impegno in tutti i campi, compresi i settori più importanti della letteratura. Nulla sfugge alle leggi implacabili della logica mercantile e nessun romanzo denuncia l’involuzione razzista e la rinascita dei nazionalismi e micronazionalismi nella nostra Europa».

Quale fra i vostri romanzi consigliereste oggi ad un giovane lettore? Conversazione nella Cattedrale, risponde Vargas Llosa: «Un romanzo che mi è costato tre anni di lavoro durissimo, attraverso il quale ho potuto mostrare e dimostrare i meccanismi e le forze che muovono una società. Dentro ci sono le mie letture e riletture di Flaubert, Balzac, Hugo e anche di Proust. Il romanzo come espressione di una società». Per Magris è Tempo curvo a Krems, che sarà pubblicato in Francia l’anno prossimo, sempre da Gallimard.

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