Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Tre storie per male

Un giallo violento a Tangeri per Yasmina Khadra, i bassifondi di Roma per Aurelio Picca e la provincia horror di Andrea Vitali: a metà strada tra la letteratura di genere e il racconto del disagio sociale

L’onore. La storia si svolge a Tangeri, anche se l’autore è un algerino che attualmente vive in Francia e pubblica i suoi romanzi col nome della moglie, Yasmina Khadra, perché è politicamente inviso alle autorità del suo paese. Il precedente romanzo è già stato segnalato (ed elogiato) su queste colonne. Quest’ultimo, edito sempre da Sellerio, s’intitola L’affronto (254 pg. 14 euro). È una sorta di caccia al colpevole di uno stupro, avvenuto nella casa del vicecommissario Driss Ikker, il quale, entrato nella stanza da letto, vede la moglie legata alla testiera, completamente nuda. Prima ancora di reagire qualcuno gli dà un forte colpo in testa. Quando rinviene dallo svenimento, esce di casa sconvolto. Lo cercano e alla fine lo trovano in un sordido alberghetto strapieno di alcol e con una prostituta al suo fianco. Con estrema fatica il sovrintendente Aghroub lo mette in auto e lo porta nel cortile del commissariato, il cui capo, Rachid Bazz, è noto per provare «un maligno piacere nello stringere all’angolo i sottoposti; così da assaporare il gusto del potere». Ikker sarà curato e, non fidandosi dei suoi colleghi, intraprende una sua personale inchiesta.

L’autore ci porta così a conoscere sia i bassifondi di Tangeri, dove Ikker, che non rivolge più la parola alla moglie, sfoga con l’alcol e la solitudine la sua rabbia, sia le ville di milionari. Tra questi figura la locale reginetta Margot, alias Layla, una donna «che tiene in pugno tutta la città» e che ha ereditato dal padre «un patrimonio inverecondo che non riusciva a dilapidare, nonostante il suo tenore di vita stravagante come pochi». Alcuni poliziotti vivono al di sopra delle loro possibilità, e questo mette in luce una dilagante corruzione. Ikker è tuttavia testardo. Ha in mano un gioiello trovato nella stanza matrimoniale, luogo dello stupro. Questo prezioso oggettino lo porterà in sobborghi malfamati, sede di povertà e di malaffare. Al termine della sua tribolata indagine (di botte ne prenderà e sarà pedinato), la polizia omertosa lo spingerà ad accanirsi con il segretario del commissario. Sarà la stessa moglie ad ammettere circostanze che certamente sono spiacevoli (è un eufemismo) per entrambi i coniugi. Il vicecommissario Ikker conoscerà la verità. Nella forma più amara possibile.

Roma. La capitale, secondo l’autore, «era innamoratissima di noi, un plastico scolpito dalle scintille dei tram. Roma vibrava, sbandava. La città cadaverica più maestosa al mondo». Parliamo di Aurelio Picca, uno scrittore di gran forza lessicale, ben lontano dalla “correttezza” di chi scrive romanzi dentro la morsa banale delle scuole di scrittura. Il suo ultimo furioso e dolente romanzo s’intitola Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, edito da Bompiani (250 pg., 17 euro). Il protagonista si chiama Alfredo Braschi, che racconta, in un monologo a volte spietato, la vita di un assassino e sequestratore (non più vivo), Laudovino De Sanctis detto Lallo lo zoppo, e questo a causa di una Tbc ossea. Ha occhi strabici, azzurri e impenetrabili. Si porta addosso il peso di sette omicidi, quattro sequestri di persona, undici condanne definitive e due avventurose evasioni. Tutto questo in una Roma non ancora ferita dalla banda della Magliana. C’è qualcosa di nobile, osserva Picca, nella cattiveria “preistorica” che affascina il protagonista. Nelle vittime dello zoppo ci sono uomini che hanno bisogno di amore, che sono malinconici perché, scrive Picca, «La tristezza è superiore alla morte, è il fantasma della morte». Nel racconto non c’è un minimo scorcio di speranza. Impossibile galleggiare in momenti di quiete. La vendetta non riesce a placare il dolore in queste creature, condannate a fare i conti con se stesse.

Il male. Abituato alla dolcezza del lago – abita a Bellano, sponda sinistra del lago di Como, e fino a poco fa era medico – Andrea Vitali, paragonato spesso a Piero Chiara per i suoi romanzi di provincia, catapulta il suo nuovo protagonista, Fonseca, nelle montagne dove «le sue cime sono più scure del buio che le circonda». Il libro s’intitola infatti Il metodo del dottor Fonseca, edito da Einaudi Stile Libero (192 pg., 16,50 euro). Questi, un ispettore, deve risolvere un caso che potrebbe essere banale, ossia un ragazzo che ammazza la sorella e diventa latitante. Ma si trova subito invischiato in un’atmosfera horror. La narrazione diventa gotica, tra effetti paranormali, traffici di organi, e addirittura un’auto, antropomorfizzata, che sembra quella descritta da Stephen King in Carrie. Non è finita: se la vede con un caso criminale dell’Ottocento. Il suo diretto superiore, uomo disgustoso- non a caso è chiamato “Il maiale” non apprezza i suoi metodi. Il Fonseca, prima di essere convocato per risolvere il caso, abita in una stanza sporca e disordinata, in mezzo a un habitat sul punto di marcire. C’è puzza dappertutto, dentro e fuori. Il romanzo di Vitali, del quale non riveliamo il finale, è diverso dai suoi soliti, ed è forse dovuto alla consapevolezza che i polizieschi, popolati da detective, vittime e false scorciatoie, è un genere che rischia di diventare desueto, e comunque ripetitivo.

Facebooktwitterlinkedin