Loretto Rafanelli
Due raccolte poetiche

Multiforme Macadan

«Un volgere di accenti, di influenze, di incontri … un superamento degli spazi abituali» che lascia spazio a «uno scenario aperto». Le poesie dell’autrice romena riflettono le sue esperienze di vita – sia dal punto di vista linguistico, sia per la varietà dei paesaggi frequentati

Dell’arte del tradurre in poesia, la più complicata delle discipline, la poetessa Eliza Macadan, ci pare una vera maestra, lo rileviamo leggendo i suoi versi – pensati e dapprima scritti in romeno – in italiano; un italiano, aggiungiamo, ricco, sofisticato, armonioso, che neppure fa pensare a un processo di traduzione. Pare giusto partire da questo dato, assai raro da riscontrare. Ci riferiamo in particolare a ben due libri recenti pubblicati dalla Macadan presso Passigli editore, uno del 2019 e uno del 2020, il primo col titolo Pianti piano, il secondo In ginocchio fino all’arcobaleno, raccolte che vengono dopo ben sette libri editi sempre nella nostra lingua dalla poetessa romena. La Macadan che vive tra Bucarest e la moldava Bacau, dove è nata, ha quindi la lingua italiana come principale punto di riferimento, ciò da numerosi anni, forse venti. Penso quindi che sia da salutare con simpatia questa affezione al nostro paese e questo amore per il nostro idioma e per la nostra cultura. La poetessa ha peraltro un lungo percorso poetico alle spalle, è nata nel 1967, con significativi riconoscimenti nel nostro territorio (premi Camaiore e Fabriano, tra gli altri) oltre che un intenso impegno culturale presso la capitale romena. 

Eliza Macadan ha insito nei suoi versi il fuoco ardente di uno sguardo che travalica ogni confine, geografico, umano e culturale e si coniuga con decisione a istanze creative mai incapsulate in piccoli passaggi: «l’eternità stava in cima alle colline/ bruciata dal sole/ io l’apprendevo mentre rincorrevo/ la linea dell’orizzonte». Ma c’è pure in questa scrittura la semplicità dei respiri («è qui tutta la felicità/ in ogni singola cosa o casa/ nell’albero e nelle sue foglie/ nell’erba dove cammino scalza/ nella sabbia lungo il mare»), oltre che le pause tenere del tempo, che è veloce come un battito («ci aspetta sulle rotaie/ per fermare in tempo/ il treno/ o per fermare in treno/ il tempo»). Poi possiamo aggiungere: intervalli di ricordi e di avvolgenti fragori, che spingono il lettore a una sentita e profonda lettura, fatta di rimandi e richiami ulteriori, di spazi interrogativi e di visioni infinite. Poesia che a volte segue un filo che viene dal silenzio, dal mistero: «il mattino esce dalla stanza gelata/ apre la porta di dietro si/ arrampica sui muri/ scivola sulle tubature/ sul nickel accecante/ un pensiero scaduto/ non puoi ricostruire/ la tua via in una città/ che sprofonda». La poesia della Macadan è un volgere di accenti, di esperienze, di influenze, di paesaggi, di incontri, tanto che si può individuare un superamento degli spazi abituali o natali, mentre emerge con maggior nitore uno scenario aperto, direi multi accentato, e di conseguenza multiforme, ciò che deriva senz’altro dalle esperienze di vita dell’autrice, che come dal punto di vista linguistico, tra il romeno, il moldavo, l’italiano e il francese, così nell’esperienza di vita attraversa i vari paesaggi che si intersecano e si distinguono, si uniscono e si separano nei versi con sorprendente tensione.

E dei vari segmenti, quello dell’amore non può che scuotere il lettore con quel siderale sguardo al corso degli eventi, come ben appare in questi versi: «lamento ininterrotto di corpi/ l’agosto che lo vuoi solo/ per te e per me è un sonno/ pomeridiano da cui/ ci svegliamo con malinconie/ bocche asciutte/ più stanchi di prima». O ancora in questa bella incisiva poesia: «ti cercherò ti chiamerò/ ti piangerò con l’acqua di tutte/ le piogge mi troverai/ mi libererai dal grido terrore/ angelo accampato nell’occhio/ della fronte spada sapiente/ ora sorgi astri nuovi». E sottile la tristezza si insinua e incalza e come un campanello risuona «insieme alla sua ombra» e allora urge dire: «la prossima estate mi vorrai ancora?/ nella piazza assolata/ tutto passa/ tutto finisce/ tutto muore/ e anche l’amore». La vita è così, e allora «il dolore/ lo poso sulle mie ginocchia/ lo accarezzo bisbiglio quasi gli parlo/ gli dico che staremo bene/ saremo pace». Ma poi c’è la tenerezza di fronte ai piccoli nipoti verso cui «non abbiamo più storia/ non ho una ninnanna/ da cantare» ma pure è necessario andare oltre alle disavventure della vita, ai guasti morali e ambientali e imporsi un cielo sereno e amico e con forza e coraggio, con responsabilità e amore, ricordare che c’è qualcosa di importante da tenere presente perché infine: «la terra non è più nostra ma/ dei nostri figli». 

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