Attilio Del Giudice
Un racconto di gelosia

Vite diverse

«Arturo era un tipo geloso e s’era fissato che io ci mettevo le corne con Duilio, il falegname, che teneva la poteca vicino casa nostra. Ogni giorno usciva in mezzo il discorso su questo Duilio...»

Non ero tanto bella, però mi piaceva ballare e nella balera ci andavo il martedì che la padrona mi faceva smontare alle quattro e mezza. Là conoscetti Arturo, che non sapeva ballare, allora io ci imparai i primi passi. Lui voleva fare le schifezze con me, ma io non volevo perché all’epoca non si facevano le schifezze tra fidanzati. Però lui insisteva assai e diceva che se non ce le facevo fare, si metteva con Maddalena, che non teneva la puzza sotto il naso comme a me e non faceva tante storie. Io allora ce le feci fare un poco,  lui, però, aumentava sempre, pure che non ci pensava al  matrimonio, ma poi lo convincetti perché ci dicetti: “Guarda, che io, se non ci sposiamo,c erte cose che tu vuoi fare a forza ogni volta che ci vediamo, non le posso fare più, perché il parroco, don Gabriele, me lo ha detto che è peccato mortale e lui non mi può dare più l’assoluzione pure se dico 200 Ave Marie e 200 Paternostri. Là per là Arturo si incazzò e dicette che io ero cretina che dicevo i fatti nostri al prete, ma poi, a poco a poco, quando vedeva che io rimanevo come una statua di marmo quando mi metteva la mano dentro le mutande, si fece capace.

Il vestito da sposa me lo prestò stesso Maddalena, che s’era sposata a Nicola il fornaio. Mio padre non venne perché era morto. Mia madre venne con la zia Concetta e coi testimoni, due morti di fame che aveva portato zia Concetta e che volettero 50 euro per uno. Mia madre piangeva, perché me ne andavo a Pomigliano dove lavorava Arturo e lei rimaneva sola o al massimo con zia Concetta, che era sorda e non ci sentiva nemmeno con quelle cose che si mettono nelle recchie e sono speciali e si vede nella televisione che quelli che se le mettono ci sentono che è ‘na bellezza.

Arturo era un tipo geloso e s’era fissato che io ci mettevo le corne con Duilio, il falegname, che teneva la poteca vicino casa nostra. Ogni giorno usciva in mezzo il discorso su questo Duilio. Arturo diceva che non si poteva fidare, che ero una zoccola e altri insulti pesanti. Io mi ero imparato a non rispondere e quando lui attaccava con questa storia di Duilio, io mi mettevo a cantare la Panzè per dispetto. A poco a poco cominciò ad alzare le mane e pure a sputarmi addosso. Un giorno trovò un pezzo di legno piallato in cantina e disse che era venuto il falegname e che avevamo fatto tutto sul letto matrimoniale ammuri come due vermi e che poi io avevo nascosto in cantina il pezzo di legno, se no lui si insospettiva. Io allora dicetti che lui o era strunzo o era malato in capa e doveva andare dal medico. Allora lui mi dette prima un pugno in faccia e quando stavo a terra mi dette un sacco di calci che, dato che ero incinta, abbortetti.

Di mazzate ne ho prese quasi ogni giorno, sempre a causa della gelosia che teneva per Duilio. Un giorno mi sfogai con Maddalena.

 “Sisì, tu si’ fessa – dicette Maddalena – io ci mettesse veramente i corne, accussì si impara. Duilio è pure più bello di tuo marito. Chi tu fa fa’ a fare la mugliera fedele? Tanto, pure che tu sei innocente, chillo sempre come una zoccola ti tratta”.

Però Arturo una mattina, verso le cinque e mezza, murette, perché si era rotta la valvola mitrale che sta nel cuore, come dicette il dottore, che quando succede non c’è niente da fare.

Sono passati parecchi anni, ora sto sola sola e lo penzo sempre. Cioè penzo che Arturo se mi vatteva, mi vatteva perché si metteva appaura che io mi innamoravo di Duilio, me ne scappavo e lo lasciavo come un turzo.


Accanto al titolo, Orson Welles in “Othello”.

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