Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Stile Larry King

Ritratto di Larry King, il grande giornalista morto nei giorni scorsi. Il suo pregio maggiore era quello di mettere a proprio agio gli intervistati. E di riuscire così, sempre, a porre in piena luce le loro opinioni (o i loro vizi)

Larry King, leggenda del giornalismo televisivo americano è morto a Los Angeles a 87 anni in conseguenza del covid 19 che aveva contratto in dicembre. Nato Lawrence Harvey Zeiger figlio di immigrati ebrei dell’est europeo cambiò nome nel 1957 a Miami su suggerimento del suo manager (il suo era “troppo ebreo”) e divenne Larry King. Nella sua carriera ha avuto diversi up and down, ma si è sempre rialzato. Ci sono un paio di immagini che rimangono negli occhi quando si parla di lui: le sue bretelle quasi sempre abbinate alle cravatte sgargianti e le luci dello studio della CNN dove si sono succedute centinaia di migliaia di celebrità mondiali, più di 50.000.

 “Le due cose più importanti della mia vita sono state fondare CNN e assumere Larry Ling – ha affermato ieri Ted Turner, l’originale mitico proprietario dell’ormai celebre canale televisivo.

Larry King è stato alla CNN per 25 anni dal 1985 al 2010 e nel suo programma Larry King Live si sono succeduti presidenti degli Stati Uniti da Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter, Ronald Reagan, i due Bush, Bill Clinton fino a Barack Obama con le rispettive consorti e figure politiche internazionali come Nelson Mandela, Mikhail Gorbaciov, Il Dalai Lama, Yasser Arafat, Vladimir Putin, Margareth Thatcher, Tony Blair e molti altri. Inoltre con lui hanno dialogato personaggi dello spettacolo e dello sport tra cui Bob Hope, Bette Davis, Audrey Hepburn, Elizabeth Taylor, Paul McCartney, Mick Jagger, Prince, Barbra Streisand, Madonna, Lady Gaga, Liza Minnelli Michael Jordan e Lebron James. E poi ancora Al Pacino, George Clooney, Ron Hubbard, Jerry Seinfeld tra molti altri.

Due incontri con personaggi dello spettacolo sono rimasti memorabili: quello con Frank Sinatra nel 1988 e quello con Marlon Brando nel 1994. Ricordo di averli visti ambedue. Del primo artista, notoriamente sfuggente, non favorevole alle interviste e noto per avere spesso maltrattato i suoi intervistatori, ricordo invece l’amabile conversazione che ebbe con il grande giornalista a cui raccontò la propria vita e disse di essersi presentato allo studio solo perché gliel’aveva chiesto. Mentre del secondo anch’egli famoso per odiare le interviste e per essere molto difficile di carattere, nessuno può dimenticare il bacio che alla fine dell’intervista schioccò sulle labbra di King. Come nessuno può scordare la diretta che fece in occasione della fuga e della successiva cattura di O.J. Simpson il giocatore di football accusato di avere ucciso brutalmente la ex-moglie e il io suo compagno.  E di cui seguì l’intero processo che sugli schermi americani divenne un tormentone come nessun altro prima.

Dal 2010 quando appese al chiodo le sue bretelle rimase inattivo solo due anni. Poi tornò in uno studio televisivo. Così dal 2012, ha condotto altri programmi di intrattenimento: Larry King Now su Hulu e RT America, e settimanalmente, la domenica, Politicking with Larry King online sugli stessi due canali. Si era sposato 8 volte e si era separato anche dall’ultima moglie. L’anno scorso aveva perso due figli. Aveva avuto diversi infarti ed aveva superato il cancro. Sembrava non ci fosse niente che potesse farlo rallentare. “Il lavoro – aveva detto – è la cosa che mi riesce più facilmente nella mia vita”.

Era un maestro delle interviste, sapeva ascoltare, sapeva fare le domande giuste e soprattutto sapeva mettere chiunque si trovasse con lui nello studio a suo agio. Tanto è vero che molti personaggi famosi fecero affermazioni che, per loro stessa ammissione, non avevano mai fatto prima di allora. King infine aveva una dote fondamentale a cui molti giornalisti della stampa italiana si dovrebbero attenere: non aveva un’agenda personale da seguire attraverso un’appartenenza politica. Ted Turner ha detto a CNN proprio questo facendo un ritratto di King. Era un libero battitore. Anche politicamente sembrava alieno da qualunque schermo ideologico.

Una delle cose che mi colpirono di più quando arrivai per la prima volta negli States fu che dei giornalisti che si alternavano nei vari canali televisivi nazionali non si conosceva il colore politico. King era uno di questi.

Dei corsi di giornalismo che ho frequentato alla Loyola University ne ricordo uno in particolare tenuto da un professore che faceva parte della BGA (Better Government Association, un’agenzia di giornalismo investigativo) che parlò dei vari generi di giornalismo tra cui quello di entertainment di cui diceva che era molto delicato, perché celava la possibilità, (e qui stava tutto al giornalista) di potere conoscere fatti e opinioni a volte molto riservati. Il segreto era saper ascoltare e far parlare gli ospiti senza intimidirli e costruire un’intimità che li faceva sentire a casa. Avrebbero raccontato cose che non ci si aspettava. E per questo non si doveva avere un’agenda preordinata, che si soprammetteva a quello che avrebbero potuto o voluto dire. Si doveva essere capaci di farli sentire liberi di parlare. Ma adesso, ripensando a quei giorni mi rendo conto che è vero quello che disse Vittorio Zucconi quando Larry King lasciò CNN già nel 2010: “Con questo signore dal tono amichevole nella voce incatramata da milioni di sigarette lasciate a malincuore dopo un quintuplo by-pass coronarico e dalle robuste bretelle imitate in tutto il mondo, è finita un’era geologica della comunicazione televisiva. Quella della televisione per bene. Non ci potrà mai più essere uno come lui perché la tv che lo aveva fatto, e che lui aveva contribuito a fare, è un mondo finito”. Adesso oltre a continuare a essere, almeno in Italia, al servizio dei partiti, anche in America c’è un giornalismo che si è incattivito ed è divenuto meno professionale, specialmente nell’era Trump delle fake news, delle bugie non contestate (25.000 solo da parte del presidente negli anni del suo mandato) e degli estremismi ideologici che hanno avvelenato la stampa e il paese. Chi urla più forte vince e chi vuole riportare i fatti (e questo richiede tempo e denari come nel buon giornalismo investigativo locale) non è preso in considerazione. Chi inoltre non è al servizio dei partiti e fa del giornalismo di qualità e dunque produce cultura, proprio come Succedeoggi, ha invece vita più difficile e meno riconoscimenti.

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