Valerio Apice
L'Italia al tempo del Covid

Per un teatro necessario

L'emergenza sanitaria ha bloccato il teatro. Eppure in un piccolo centro dell'Umbria, Marsciano, è andato avanti un laboratorio che, avvicinando bambini e attori, ha indicato una vita d'uscita (possibile) dalla paralisi generale

Valerio Apice è già noto ai nostri lettori giacché questo non è il primo intervento ospitato da Succedeoggi: è un Pulcinella ormai ventennale, radicato nel territorio dell’Umbria, precisamente a Marsciano. Lì, insieme a Giulia Castellani – che ha collaborato con lui per la stesura dell’intervento che pubblichiamo qui sotto – oltre a svolgere la sua attività di ricerca scenica intorno alla maschera che ha scelto come alter ego, tiene da molti anni una preziosa attività laboratoriale avvicinando bambini e ragazzi del luogo. In questo modo, Valerio Apice e Giulia Castellani hanno costruito una vera e propria comunità teatrale che dall’incontro e dallo scambio di tecniche e emozioni trae la sua forza.


Il tempo sospeso, che da marzo 2020 ha imposto un altro ritmo alla nostra vita e al nostro lavoro, questo tempo per noi è stata bottega, casa, tempo di ricerca. Nello spazio del laboratorio teatrale che caratterizza gli aspetti significativi del Teatro Laboratorio Isola di Confine, abbiamo resistito nella continuità di un incontro sempre cercato, sia da noi teatranti che dai ragazzi e dalle famiglie che ci seguono. E in questo spazio abbiamo ritrovato il seme di nuovi linguaggi riguardo l’arte teatrale, ma ci siamo anche “persi” nel bosco di una fiaba che stiamo riscrivendo insieme alla comunità che ci circonda (https://youtu.be/Y6JMW4fWoHU).

Questi mesi hanno visto scomparire la parola teatro da molti discorsi istituzionali; abbiamo assistito alla chiusura di grandi teatri e di piccoli spazi dove la caratteristica dell’incontro dal vivo era indispensabile; abbiamo assistito (e assistiamo ancora) al dibattito e alla riflessione sull’utilità o meno degli strumenti social e audiovisivi per la fruizione teatrale. Tutti questi argomenti hanno condizionato anche le nostre azioni. E non ci siamo mai fermati. Da marzo 2020 con le Storie di Buonanotte Nicolino (https://youtube.com/playlist?list=PLHiNSN6Tt2lrTaMDYQm81W8qS0BLHTWs3), a giugno con la ripresa dei laboratori all’aperto (https://youtu.be/ReKEvUiuHmA), ad agosto con la prima edizione del Teatro Comunità Umbria Fest ospitando il premio Ubu Lino Musella, Roberto Piumini e contando più di 500 presenze di pubblico (https://fb.watch/2I3t8E8j5n/), a settembre con la ripartenza dei laboratori alla Sala E. De Filippo, il nostro fare teatro in un paese di provincia a contatto con bambini e adolescenti, ci ha trasformato dal punto di vista del desiderio di socializzazione e ci ha messo nella condizione di sperimentare nuovi linguaggi legati all’arte teatrale e alla comunicazione dell’esperienza. 

Chi siamo? Da dove siamo partiti? Una frase di Eugenio Barba, nostro ospite per dieci anni dal 2009 al 2019, ha rappresentato per noi una profezia concreta: «Quello che il vostro Teatro Laboratorio Isola di Confine ha realizzato in questi anni è un modello particolare, quasi unico. Avete cominciato utilizzando il vostro “saper fare” con i bambini nelle scuole, collaborando con i maestri e motivando i genitori. Avete saputo applicare la tecnica specifica dell’attore che consiste nel creare relazioni non solo con un testo, con il passato o la contemporaneità, con lo spazio fisico e sociale, ma anche con situazioni che non sono direttamente legate allo spettacolo. Avete adoperato la vostra esperienza teatrale come strumento culturale, cioè di trasformazione».

Il nostro teatro è cresciuto, prima nelle scuole della provincia umbra, poi nella nostra Sala E. De Filippo a Marsciano dove abbiamo cercato di far dialogare cuore e disciplina, etica ed estetica, maestri e bambini. Vorremmo che proprio la condizione del laboratorio ponga le basi per farsi comunità, per ripensare i luoghi per la diffusione del teatro. È necessario ripensare i mezzi “performativi” a partire soprattutto da quegli occhi che non hanno mai smesso di guidarci e quelle voci che ci continuano a interrogare e che sono di quei cinquanta bambini e adolescenti che ci danno la possibilità di attraversare quest’anno difficile con spirito di meraviglia a partire dall’infanzia del teatro. «L’infanzia è un luogo assoluto, senza tempo, luogo di transito, in cui non si può sostare, ma tornare sempre». (Chandra Livia Candiani)

La condizione del laboratorio ci ha suggerito di cercare l’essenza nel territorio delle relazioni con tutte le difficoltà che hanno aguzzato il nostro ingegno: con le mascherine che hanno svelato altri occhi; con la difficoltà di abitare gli spazi secondo le norme del distanziamento, suggerendoci la necessità di nuovi compiti; con il numero limitato di partecipanti per i laboratori che ci ha dato la possibilità di approfondire il lavoro individuale. È stata una continua scoperta, in una direzione diversa da quella abituale.

L’anno del Covid-19 ha creato un senso di impotenza rispetto al concetto di spettacolo, come se nell’impossibilità di fare spettacolo l’attività teatrale si dissolvesse. Spesso ho pensato all’azione di Grotowski, quando nel 1970, ha smesso di fare spettacoli e è giunto all’arte come veicolo con il suo Workcenter: «…l’uomo che sogna un ruolo nella vita: diventare ‘attore’, può sentire, in maniera del tutto naturale che il suo compito è di andare in direzione dello spettacolo. Ma può anche sentire qualcosa di diverso, egli può sentire che tutto questo dono, tutto questo amore è un’apertura verso un’altra comprensione; e sentire che questa comprensione non la può trovare che attraverso un lavoro personale con un maestro…». (P. Brook, “Grotowski, l’arte come veicolo”)

A me Pulcinella, maschera che indosso dal 1998, quest’anno ha permesso di sostare ancor di più in un teatro delle relazioni, mi ha fatto ritrovare ciò che mi mancava dell’infanzia napoletana e la scintilla che è scoccata tra la maschera e la comunità di bambini e ragazzi a Marsciano mi fa sperare in un teatro necessario. Che senso ha tuffarsi in gesti ingenui, in frasi pronunciate cantilenando, in improvvisazioni che non trovano efficacia nella ripetizione? Non saprei rispondere, ma ricominciare da questo spazio bambino ci ricorda le visioni dei maestri che ci hanno preceduto, nella speranza di poter rendere concrete quelle visioni.

«Il neo-nascente è nudo, umile, indifeso, senza parole – è pre-tutto.
Pre spettacolare – pre monetale – pre società dello spettacolo.
Ma compie l’atto teatrale più grande che ci sia.
L’entrata in scena primaria.
Quell’apparire unico, fondante, necessario, assoluto, luminoso –
Di fronte a cui il resto è ghirigoro, orpello, commento».
(Giuliano Scabia, Il bambino d’oro)


Testo scritto in collaborazione con Giulia Castellani

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