Gianni Marsilli
Un nuovo “incendio” in Europa

Il populista portoghese

Nelle elezioni presidenziali in Portogallo, che hanno visto la conferma del conservatore Marcelo Rebelo de Sousa, la vera sorpresa è stato l'exploit di André Ventura. Avvocato, divo televisivo e populista con venature razziste: per il Paese è un campanello d'allarme

André Ventura ci credeva. Arrivare in seconda posizione alle presidenziali di domenica in Portogallo voleva dire spiccare il volo, coprire l’area politica che in Francia è sotto tutela di Marine Le Pen e in Italia di Matteo Salvini. Voleva dire relegare in terza posizione, magari con una percentuale a una sola cifra, la candidata socialista, e avviare il declino del suo partito e della sinistra intera oggi al governo del Paese.

Impensabile invece contendere il primato a Marcelo Rebelo de Sousa, che infatti è stato rieletto al primo turno con più del 60 per cento dei voti. Nessuno fa paura al 72enne Marcelo. Conservatore moderato, popolare senza un grammo di populismo, votato anche dai socialisti. Uomo di grande affabilità e sobrietà. Lo si può incontrare al supermercato in fila alla cassa, o nei dintorni della sua casa assai modesta, sempre la stessa da decenni. Per i portoghesi è come un padre, saggio e gentile, talvolta bonario. Sdrammatizza, rassicura, rasserena il clima politico. Non ha compiti esecutivi, un po’ come il presidente italiano, ma pratica con dovizia un’utilissima moral suasion

La scommessa di André Ventura era dunque quella di sopravanzare Ana Gomes, candidata socialista. Piazzarsi al secondo posto voleva dire installarsi nel paesaggio politico, che in Portogallo, a parte qualche cascame salazariano, non prevede nulla di corposo all’estrema destra, o almeno non lo prevedeva prima dell’arrivo dell’esuberante Ventura. Neanche quarantenne, giurista di formazione, ancora tre anni fa militava nel PSD, il partito socialdemocratico che in Portogallo è l’espressione del centrodestra. Piuttosto noto nel Paese dopo aver iniziato una carriera televisiva in veste di avvocato tonitruante tifoso del Benfica, storico club di calcio di Lisbona. Dopo un rovescio elettorale aveva sbattuto la porta del PSD e aveva fondato il suo partito, chiamandolo “Chega”, che vuol dire “basta!”, e dotandolo subito del linguaggio e degli slogan propri dei populisti europei.

André Ventura con Matteo Salvini

Aveva trovato poco ascolto in un Paese assai segnato dalla crisi del 2008, ma capace di un grande recupero negli anni successivi, in termini di prodotto lordo e di occupazione. Però, qualche traccia di quella scossa tellurica è rimasta. Per esempio il vuoto lasciato da più di 200mila diplomati e laureati portoghesi costretti ad emigrare per esercitare un lavoro qualificato. E soprattutto il fatto che quel vuoto, su iniziativa governativa, è stato poi riempito da immigrati siriani e dell’Europa dell’est. Ecco pronto lo spettro dello “straniero” che ruba il pane agli autoctoni: Ventura non ha perso l’occasione, e si è messo ad agitarlo freneticamente, assieme a quello di una fantomatica «invasione musulmana», laddove i seguaci di Maometto in Portogallo sono in quantità insignificante. Ultimamente, in piena pandemia, Ventura ha proposto un trattamento particolare per i rom, che sarebbero dovuti stare più confinati degli altri. Ha anche proposto di «restituire al suo Paese» una deputata originaria della Guinea Bissau, che aveva osato proporre la restituzione di alcune opere d’arte razziate nell’era coloniale. Insomma il solito cocktail populista, in un paese che ne era rimasto quasi immune. Così armato, domenica scorsa André Ventura ha preso più del 12 percento dei voti, decuplicando il bottino in un paio d’anni. Oltretutto arrivando con il fiato sul collo della candidata socialista Ana Gomes, attestatasi solo un punto al di sopra. L’ha aiutato anche il Covid, che proprio in questo mese di gennaio, dopo una prima ondata non troppo violenta, ha visto impennarsi i contagi dell’84 percento. È stato fin troppo facile denunciare il «lassismo» del governo. Pericolo scampato, certo. Il secondo posto avrebbe avuto l’aura di una vittoria trionfale. Dev’esserci rimasto male Matteo Salvini, che aveva inviato messaggi e tweet di accalorato sostegno. L’aveva fatto anche con Trump. È quindi lecito pensare che ai prossimi appuntamenti elettorali i candidati populisti, dopo aver toccato ferro e ammennicoli vari, lo pregheranno di astenersi. Resta il fatto che si è aperta una falla in quel piccolo magnifico Paese. Per ora è sotto controllo, ma la vigilanza oramai s’impone.

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