Roberto Mussapi
Every beat of my life

O Grande Aldilà!

La ricerca dell’Infinito è «una meta della poesia in quanto tale». Leopardi l’ha declinata in modo perenne. Anche Tagore, spesso presente su queste pagine, si è misurato con “l'Oscuro lontano”. Lo invoca in versi struggenti. Irrequieto, nostalgico…

Leopardi ha declinato l’infinito, memorabilmente. Tutti i poeti ne sono avvinti e insieme dolorosamente lontani, pieni fino all’ebbrezza e nello stesso tempo abbandonati. Sono venuti al mondo per trovare il filo in cui comunione e abbandono coincidono.
Immediato pensare a Leopardi, che fissa una visione perenne dell’Infinito, ma a volte sfugge come questo sia una molla, una causa, una meta della poesia in quanto tale. Che cosa significa l’“Odi et amo” di Catullo, se non la disperazione di non poter fondere nella vita amore e odio, la pienezza sentimentale?
William Butler Yeats, uno dei miei più amati, spesso presente in queste pagine, scopre nell’indiano Tagore un’invocazione all’infinito struggente e ardentemente poetica, cioè persa, abbandonata, e nello stesso tempo già traboccante di acque dell’infinito.
Come, qui. Anche Tagore è un ospite non saltuario, in queste pagine: senza poeti del genere, come potrebbe continuar a battere, infinitamente, il nostro cuore?

Sono irrequieto. Ho nostalgia di cose lontane.

La mia anima desidera toccare il limite

dell’Oscuro Lontano.

O Grande Aldilà, o l’acuto richiamo del tuo flauto!

Dimentico, sempre dimentico che non ho

ali per volare, che sono legato a questo luogo per sempre.

*

Sono insonne nella mia angoscia, uno straniero

in terra straniera.

Il tuo alito mi mormora una impossibile

speranza.

Il mio cuore comprende il tuo linguaggio

come fosse il mio.

O Lontanissimo, o l’acuto richiamo del tuo flauto!

Dimentico sempre dimentico che non conosco la strada,

che non possiedo un cavallo alato.

*

Niente mi interessa: sono un vagabondo del mio cuore.

Nella nebbia assoluta delle languide ore,

quale grandiosa visione di te

prende forma nell’azzurro del cielo!

O Meta Lontanissima, o l’acuto richiamo del tuo flauto!

Dimentico, sempre dimentico che tutti i cancelli

sono chiusi, nella casa dove vivo solo!

Rabindranath Tagore
Da Il giardiniere, Guanda, traduzione di Brunilde Neroni

Nell’immagine, “Low Sun and Clouds over Calm Sea” di William Turner

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